L'amore ai tempi del colera Gabriel García Márquez Mondadori Quando Florentino Ariza la vide per la prima volta, sua madre
l’aveva scoperto prima che lui glielo raccontasse, perché gli andarono via la
parola e l’appetito e passava le notti in bianco a rigirarsi nel letto. Ma
quando cominciò ad aspettare la risposta alla sua prima lettera, l’ansia si
complicò con diarree e vomiti verdi, smarrì il senso dell’orientamento e aveva
svenimenti repentini, e la madre si terrorizzò perché le sue condizioni non
assomigliavano ai disordini dell’amore ma agli scempi del colera. Il padrino di
Florentino Ariza, un anziano omeopata che era stato il confidente di Tránsito
Ariza ai tempi in cui lei era un’amante segreta, si allarmò pure lui a prima
vista per le condizioni del malato, che aveva il polso debole, il respiro
affannoso e i sudori pallidi dei moribondi. Ma la visita rivelò che non aveva
febbre né dolore in alcuna parte e che l’unica cosa concreta che sentiva era un
bisogno urgente di morire. Gli bastò un interrogatorio insidioso, prima a lui e
poi alla madre, per constatare un’ennesima volta che i sintomi dell’amore sono
gli stessi del colera. Prescrisse infusi di fiori di tiglio per svagare i nervi
e suggerì un cambiamento d’aria per cercare conforto nella distanza, ma quello
cui anelava Florentino Ariza era tutto il contrario: godere del suo martirio.
Tránsito Ariza era una meticcia libera, con un istinto per la felicità guastato
dalla miseria, e si compiaceva delle sofferenze del figlio come se fossero sue.
Gli faceva bere infusi quando lo sentiva delirare e lo avvolgeva in coperte di
lana per ingannare i brividi, ma al contempo gli faceva coraggio affinché si
svagasse nella sua prostrazione. «Approfittane adesso che sei giovane per
soffrire tutto quello che puoi» gli diceva, «che queste cose non durano tutta
la vita.» (...) |