Fred Vargas Parti in fretta e non tornare Il
titolo del romanzo di Fred Vargas, il terzo della fortunata serie del
commissario Adamsberg del XIII arrondissement di Parigi, è una rivisitazione dell’antico detto latino “Cito, longe fues et tarde redeas”,
ovvero “Presto, fuggi lontano e torna tardi”, che nel Medioevo veniva
utilizzato per definire l’unica possibilità di salvezza dalla peste nera. La
peste nera quindi nella Parigi moderna, evocata non per architettare trame
distopiche, ma piuttosto per dare corpo a un sottile e pauroso piano criminale
la cui matassa verrà dipanata con successo dal placido commissario Adamsberg.
La Vargas, il cui vero nome è Frédérique
Audouin-Rouzeau, oltre ad essere una scrittrice ormai affermata è una eminente
archeozoologa, specializzata nello studio degli animali in epoca medioevale,
con numerose pubblicazioni sui meccanismi di trasmissione uomo-animale della peste del trecento e sul
ruolo di maiali e pulci nello scatenarsi delle epidemie di peste nera.
Una competenza che traspare per intero nella serrata e appassionante trama del
romanzo. Adamsberg
finí di ritagliare in fretta e furia quell’articolo che, nel mucchio, si
distingueva per il suo contenuto, ricco e ponderato. Giusto quello che mancava
per dar fuoco alle polveri, benzina sul focolaio nascente. Il titolo era
enigmatico: La malattia nº 9. La malattia nº 9 La questura, per voce
del capo divisione Pierre Brézillon, ci ha assicurato che i quattro decessi
misteriosi verificatisi nel corso di questa settimana a Parigi erano opera di
un serial killer. Le vittime sarebbero state uccise per strangolamento, e il
commissario capo Jean-Baptiste Adamsberg, responsabile delle indagini, ha fatto
pervenire alla stampa delle foto assolutamente inequivocabili dei segni di
strangolamento. Ma è ormai noto a tutti che, parallelamente, un informatore
anonimo attribuisce questi decessi a un’incipiente epidemia di peste nera,
terribile flagello che un tempo devastò il mondo. Di fronte a questa
alternativa, permettiamoci di sollevare un dubbio sulla peraltro ineccepibile
dimostrazione dei nostri servizi di polizia facendo un salto indietro di
ottant’anni. Parigi ha cancellato dalla memoria la storia della sua ultima
peste. Eppure l’ultima epidemia che colpí la capitale risale soltanto al 1920.
Partita dalla Cina nel 1894, la terza pandemia pestosa devastò le Indie, dove
fece dodici milioni di morti, e toccò tutti i porti dell’Europa occidentale,
Lisbona, Londra, Oporto, Amburgo, Barcellona… e Parigi, tramite una chiatta
proveniente da Le Havre che svuotò le stive sull’alzaia di Levallois.
Fortunatamente, come ovunque in Europa, la malattia ebbe vita breve e declinò
nel giro di qualche anno. Nondimeno colpí novantasei persone, in particolare
nelle periferie nord ed est della città, nelle misere comunità di
straccivendoli alloggiati in baracche insalubri. Il contagio penetrò fin dentro
le mura e fece una ventina di vittime nel cuore della città. Ma per l’intera
durata dell’epidemia il governo francese non ne fece parola. Le comunità a
rischio furono vaccinate senza che la stampa venisse informata della vera
ragione di tali misure straordinarie. L’Ufficio epidemie della Questura, in una
serie di note interne, insistette sulla necessità di nascondere il male alla
popolazione – male che pudicamente denominò «la malattia nº 9». Ecco quanto
scriveva il Segretario generale nel 1920: «Un certo numero di casi di malattia
nº 9 sono stati segnalati a Saint-Ouen, a Clichy, a Levallois-Perret e nel
diciannovesimo e ventesimo arrondissement. (…) Richiamo la vostra attenzione
sul carattere strettamente confidenziale di questa nota e sulla necessità di
non diffondere l’allarme tra la popolazione». Fu una fuga di notizie a
permettere al quotidiano «L’Humanité» di rivelare la verità nell’edizione del 3
dicembre 1920: «Il Senato ha dedicato la seduta di ieri alla malattia nº 9. Che
cos’è la malattia nº 9? Alle tre e mezza, grazie al signor Gaudin de Villaine,
abbiamo appreso che si tratta della peste…» Lungi dal voler accusare i
rappresentanti della polizia di falsificare i fatti, oggi come ieri, per
nasconderci la verità, questo piccolo cenno storico ricorda utilmente ai
cittadini che lo Stato ha le sue verità che la verità non conosce e che in
qualsiasi epoca ha sempre saputo servirsi dell’arte della dissimulazione. Pensieroso, Adamsberg lasciò ricadere il
braccio, con il devastante articolo tra le dita. La peste del 1920, a Parigi.
Era la prima volta che ne sentiva parlare. Compose il numero di Vandoosler. –
Ho appena letto i giornali, – disse Marc Vandoosler senza lasciargli il tempo
di parlare. – Qui ci si avvia alla catastrofe. – Poco ma sicuro, – confermò
Adamsberg. – Questa epidemia del 1920 c’è stata davvero o se la sono inventata?
– C’è stata eccome. Novantasei casi di cui trentaquattro mortali. Degli
straccivendoli dei sobborghi e qualche persona del centro. L’ondata è stata
particolarmente violenta a Clichy; intere famiglie. I bambini raccoglievano i
ratti morti nelle discariche. – E come mai non è dilagata? – Vaccinazioni e
profilassi. Ma, soprattutto, i ratti sembravano immunizzati. Quella fu l’agonia
dell’ultima peste europea. |