Mary Shelley L’ultimo uomo
Queste
parole vennero sillabate tremando dall'uomo di ferro. Adrian replicò:
"Dove davvero vorreste fuggire? Dobbiamo restare tutti; e fare del nostro
meglio per aiutare i nostri simili che soffrono." "Aiutare!"
disse Ryland, "non c'è aiuto – gran Dio, chi parla di aiuto! Tutto il
mondo ha la peste!" "Allora, per evitarla, dobbiamo lasciare il
mondo" osservò Adrian, con un sorriso gentile. Ryland gemette: gocce di
sudore freddo gli coprirono la fronte. Era inutile opporsi al suo parossismo di
terrore; ma lo calmammo e lo incoraggiammo; così, dopo un po', fu in grado di
spiegarci le cause del suo allarme. Lo riguardava piuttosto da vicino. Uno dei
suoi servi, mentre lo stava servendo a tavola, era improvvisamente caduto morto.
Il medico aveva dichiarato la morte per peste. Cercammo di calmarlo – ma noi
stessi non eravamo calmi. Vidi lo sguardo di Idris vagare da me ai suoi figli,
con un ansioso appello al mio giudizio. Adrian era assorto in meditazione. In
quanto a me, ammetto che le parole di Ryland risuonavano ancora nelle mie
orecchie: tutto il mondo era infetto - in quale ritiro incontaminato avrei
potuto salvare i miei amati tesori, fono a che l'ombra della morte non fosse
passata da sopra la terra? Affondammo nel silenzio: un silenzio che beveva i
racconti dolenti e i pronostici del nostro ospite. Ci eravamo allontanati dalla
folla, e, saliti i gradini della terrazza, ci dirigemmo al castello. Il nostro
mutamento di umore colpì quelli più vicini a noi; e, attraverso i servi di
Ryland, si sparse presto la notizia che era fuggito dalla peste di Londra. I
gruppetti vivaci si sciolsero – si trasformarono in capannelli mormoranti. Lo
spirito di allegria si eclissò; la musica cessò; i giovani lasciarono le loro
occupazioni e si riunirono. La spensieratezza che li aveva fatti vestire in
maschera, decorare le loro tende, e riunirli in gruppi fantastici, sembrò un
peccato e una provocazione contro il terribile destino che aveva posto la sua
mano paralizzante sulla speranza e la vita. (…) |