Giovanni Verga
Quelli del colera
Il colera
mieteva la povera gente colla falce, a Regalbuto, a Leonforte, a San Filippo, a
Centuripe, per tutto il contado - e anche dei ricchi: il parroco di Canzirrò,
ch'era scappato ai primi casi, e veniva soltanto in paese per dir messa a sole
alto, l'aveva pigliato nell'ostia consacrata: a don Pepe, il mercante di
bestiame, gliel'aveva dato invece in una presa di tabacco, alla fiera di
Muglia, un sensale forestiero - per conchiudere il negozio - diceva lui. Cose
da far rizzare i capelli in testa! Avvelenata persino la fontana delle Quattro
Vie; bestie e cristiani vi restavano, là a Rosegabella, venti case, un bel
giorno era capitato il merciaiuolo, di quelli che vanno in giro colle
scarabattole in spalla, e quanti misero il naso fuori per vedere, tanti ne
morirono, fin le galline. Ciascuno badava quindi ai casi propri, collo schioppo
in mano, appiattato dietro l'uscio, accanto la siepe, bocconi nel fossatello,
per le fattorie, nei casolari, da per tutto. Quelli di San Marino s'erano anche
armati, uomini e donne. Volevano morir piuttosto di una schioppettata, o
d'altra morte che manda Dio. Ma il colera, no, non lo volevano!
Nonostante questo lo scomunicato male andavasi avvicinando di
giorno in giorno, tale e quale come una creatura col giudizio, che faccia le
sue tappe di viaggio, senza badare a guardie e a fucilate. Oggi scoppiava a
Catenavecchia, il giorno dopo si sentiva dire che era alla Broma, cinque miglia
soltanto da San Marino. Una povera donna gravida di sei mesi, per aver aiutato
certa vecchia che l'era caduto l'asino dinanzi alla sua porta, e fingeva di
piangere e disperarsi, era stata presa da dolori quasi subito, ed era morta,
lei e il bambino: sangue d'innocente che grida vendetta dinanzi a Dio!
La sera, da quelle parti, chi aveva il coraggio di arrischiarsi
sino in cima alla salita, vedeva dietro la china che nasconde il paesetto i
fuochi e i razzi avvelenati che sembravano quelli della festa del santo
patrono, tutti col capitombolo verso San Martino, e il domani poi si trovavano
le macchie d'unto per terra e lungo i muri; qua e là si sussurrava dei rumori
strani che si udivano la notte: gatti che miagolavano come in gennaio, tegole
smosse quasi tirasse il maestrale, gente che aveva udito bussare all'uscio dopo
la mezzanotte - nientemeno - e dei carri che passavano per le stradicciuole più
remote, come delle macchine asmatiche che andavano strascinandosi di porta in
porta, soffiando e sbuffando, il Signore ce ne scampi e liberi!
Il venerdì, verso mezzogiorno, Agostino, quello delle lettere, era tornato
dal rilievo della Posta colla borsa vuota e tutto stravolto. Sua moglie,
poveretta, al vederlo con quel viso, si cacciò le mani nei capelli: - Che avete
fatto, scellerato? Dove l'avete preso tutto quel male in un momento? - Egli non
sapeva dirlo. Laggiù, arrivato al ponte, s'era sentito stanco tutt'a un tratto,
e s'era seduto un momento sul parapetto. Prima di lui c'era seduto un
viandante, il quale si asciugava il sudore con un fazzoletto turchino.
- Don
Domenico, il fattore, l'aveva predicato tante e tante volte, di badare sopra
tutto a certe facce nuove che andavano intorno, per le vie, e nelle chiese
perfino! (Potevate sospettarlo, nella casa di Dio?) Cavavano fuori il
fazzoletto, finta di soffiarsi il naso, e lasciavano cadere certe polverine invisibili,
che chi ci metteva il piede sopra poi, per sua disgrazia, era fatta!
Il giorno
stesso, a precipizio, chi aveva qualche cosa da portar via, e un buco dove
andare a rintanarsi, in una grotta, fra le macchie dei fichidindia, nelle
capannucce delle vigne, era fuggito dal villaggio. Avanti il somarello, con
quel po' di grano o di fave, il cesto delle galline, il maiale dietro, e poi
tutta la famiglia, carica di roba. Quelli che erano rimasti, i pių poveri, da
principio avevano fatto il diavolo, minacciando di sfondar le porte chiuse, e
bruciare le case dei fuggiaschi; poscia erano corsi a tirar fuori dal magazzino
tutti i santi del paese, come quando si aspetta la pioggia o il bel tempo,
l'Addolorata, coi sette pugnali di stagno, san Gregorio Magno, tutto una spuma
d'oro, san Rocco miracoloso che mostrava col dito il segno della peste, sul
ginocchio. All'ora della benedizione, nel crepuscolo, quelle statue ritte in
cima all'altare buio, facevano arricciare i peli ai più induriti peccatori.
Si videro delle
cose allora da far piangere di tenerezza gli stessi sassi: Vito Sgarra che si
divise dalla Sorda, colla quale viveva in peccato mortale da dieci anni; padre
Giuseppe Maria a far la croce sul debito degli inquilini che proprio non
potevano pagarlo; Angelo il Ciaramidaro andare a messa e a comunione come un
santo, senza che gli sbirri gli dessero noia, e la notte dormire tranquillo nel
suo letto, colla disciplina irta di chiodi e insanguinata al capezzale, accanto
allo schioppo carico che ne aveva fatte tante. Misteri della Grazia! come
diceva il predicatore. Tutta la notte, in fondo alla piazzetta, si vedeva la
finestra della chiesa illuminata che vegliava sul villaggio, e di tratto in
tratto udivasi martellare la campana, alla quale rispondeva da lontano una
schioppettata, poi un'altra, poi un'altra - una fucilata che non finiva più,
pazza di terrore, e si propagava per le fattorie, pei casolari, per le ville,
per tutta la campagna circostante, dove i cani uggiolavano, sino all'alba.
La domenica mattina, spuntava appena l'alba, si vide una cosa nuova
nel Prato della Fiera, appena fuori del villaggio. Era come una casa di legno,
su quattro ruote, con certe figuracce brutte dipinte sopra, e lì vicino un
vecchio carponi, che andava cogliendo erbe selvatiche. I cani avevano dato
l'allarme tutta la notte, e quello del maniscalco, che stava da quelle parti,
non s'era dato pace, quasi avesse il giudizio!
- Eccolo là, povera bestia! gli manca solo la parola! -
Il maniscalco raccontava a tutti la stessa cosa, via via che
andavasi facendo gente dinanzi alla bottega. La gente guardava il cane,
guardava la baracca, e scrollava il capo.
Dirimpetto, sugli scalini della croce in campo alla strada, c'erano
altri in crocchio che guardavano, e parlavano sottovoce fra di loro, col viso
scuro. Dal muro del cimitero spuntava lo schioppo di Scaricalasino, malarnese,
che accennava a tre o quattro altri suoi compagni della stessa risma, lontan
lontano, verso la Broma, e poi verso Catenanuova, con gran gesti neri al sole.
Dal ballatoio della Giovanna suo marito chiamava gente anche lui, in fondo alla
piazza, agitando le braccia in aria. - Quello! Quello! - gridavasi da un
crocchio all'altro. E il vecchio carponi era corso a rintanarsi. Sul finestrino
del carrozzone era passata una figura scarna di donna, coi capelli
scarmigliati; poi s'erano uditi strilli di ragazzi e pianti soffocati. Dalla
strada principale giungevano il farmacista, il Capo Urbano, le guardie, col
giglio sul berretto e grossi randelli in mano. La folla dietro, come un
torrente, mormorando, uomini torvi, donne col lattante al petto. Da lontano,
verso San Rocco, la campana sonava sempre a distesa. Don Ramondo, colle mani e
colla voce andava dicendo alla folla: - Largo, largo, signori miei! Lasciatemi
vedere di che si tratta -. Poi sgusciarono dentro il baraccone tutti e due, lui
e il Capo Urbano; le guardie sbatterono l'uscio sul naso ai più riottosi. Ci fu
un po' di parapiglia, un po' di schiamazzo, qualche pugno sulla faccia. Infine
il farmacista e il Capo Urbano ricomparvero vociando tutti e due che non era
nulla, il Capo Urbano sventolando un foglio di carta in aria, don Ramondo
sgolandosi a ripetere: - Niente! Niente! Son poveri commedianti che vanno
intorno per buscarsi il pane. Poveri diavoli morti di fame -.
La folla nonostante li seguiva mormorando e accavallandosi come un
mare. Sulla piazza il Capo Urbano fece anche lui il suo discorsetto: - Via!
via! State tranquilli. Sono o non sono il Capo Urbano? - Poi infilò l'uscio
della farmacia con don Ramondo. La folla cominciò a diradarsi. Alcuni andarono
a casa, a contar la notizia; altri, siccome il sagrestano si slogava sempre a
sonare a messa, entrarono in chiesa. Qualcheduno, più ostinato, ritornò verso
il Prato della Fiera. Quei poveri diavoli di comici, che si tiravano dietro la
loro casa al par della lumaca, passato il temporale, tornarono a metter fuori
le corna ad uno ad uno, appunto come fa la lumaca. Il vecchio aveva sciorinato
all'uscio un gran cartellone dipinto. La moglie, con un tamburo al collo,
chiamava gente; i ragazzi, camuffati da pagliacci, facevano mille buffonerie, e
la giovinetta, colle gambe magre nella maglie color di carne fresca, un fiore
di carta nei capelli, il gonnellino più gonfio di una bolla di sapone, le
braccia e le spalle nere fuori dal corpetto di seta stinta, soffiava nella
tromba, col poco fiato del suo petto scarno. Pure era una novità pel paese, e i
giovinastri correvano a vedere, spingendosi col gomito. Inoltre i comici
avevano altri richiami per il pubblico: un cardellino che dava i numeri del
lotto; il ronzino che contava le ore, e indovinava gli anni degli spettatori
colla zampa; un ragazzo che camminava sulle mani, portando in giro, stretto fra
i denti, il piattello per raccogliere la buona grazia. Quando si era fatta un
po' di gente, calavano il tendone un'altra volta, e rientravano tutti a
rappresentare la commedia coi burattini, la donna col tamburone al collo,
gridando sempre dalla piattaforma: - Avanti, signori! Avanti, che comincia! -
Si pigliava alla porta quel che si poteva: un baiocco, delle fave, qualche
manciata di ceci anche. I ragazzi gratis. Fino alla sera, tardi, ci fu ressa
dinanzi alla baracca, sotto il gran lampione rosso che chiamava gente da
lontano. Amici e conoscenti si vociavano da un capo all'altro del Prato della
Fiera; si scambiavano i frizzi salati e le parolacce come dentro avevano fatto
Pulcinella e la Colombina. Nessuno pensava più al castigo di Dio che avevano
addosso.
Ma la notte - ci volevano più di due ore alla messa dell'alba - tac
tac, vennero a chiamare in fretta lo speziale. - Presto, alzatevi, don Ramondo,
ché dai Zanghi hanno bisogno di voi! - Il poveraccio non riusciva a trovare i
calzoni al buio, in quella confusione. Zanghi, steso sul letto, freddo, colla
barba arruffata, andava acchiappando mosche, colle mani fuori del lenzuolo, le
mani nere, gli occhi in fondo a due buchi della testa. Sua moglie seminuda, coi
capelli sulle spalle, tutta gonfia e arruffata anche lei come una gallina
ammalata, correva per la stanza, cercando di aiutarlo senza saper come, coi
figliuoli che le strillavano dietro. - Dottore! dottore! Cos'è? che ve ne pare?
- Don Ramondo non diceva nulla: guardava, tastava, versava la medicina nel
cucchiaio, colle mani tremanti, la boccetta che urtava ogni momento nel
cucchiaio, e faceva trasalire al tintinnìo. E il malato pure, colla voce
cavernosa, che sembrava venire dal mondo di là, balbettando: - Don Ramondo! Don
Ramondo! Che non ci sia più aiuto per me? fatelo per questi innocenti, ché son
padre di famiglia! - Poi, come s'irrigidì, colla barba in aria, e i figliuoli
si misero ad urlare più forte, aggrappandosi alle coperte di lui che non udiva,
don Ramondo prese il suo cappello, e la donna gli corse dietro in sottana
com'era, colle mani nei capelli, gridando aiuto per tutto il vicinato. Spuntava
l'alba serena nel cielo color di madreperla; alla chiesa, lassù, si udiva
sonare la prima messa.
Per le stradicciuole ancora buie si udiva uno sbatter d'usci, un
insolito va e vieni, un mormorio crescente. Sull'angolo della piazza, nel caffè
di Agostino il portalettere buon'anima, avevano dimenticato il lume acceso,
nella bottega vuota, i bicchieri ancora capovolti nel vassoio, e dinanzi
all'uscio c'era un crocchio di gente che discuteva colla faccia accesa. Neli,
il maggiore dei figliuoli, sporgeva il capo di tanto in tanto fra le tendine
dello scaffale, più pallido del suo berretto da notte, cogli occhi gonfi, per
vedere se qualcuno venisse a prendere il rum o l'acquavite. E a tutti coloro
che l'interrogavano dall'uscio, senza osare di entrare, rispondeva quasi sempre
scrollando il capo: - Così! Sempre la stessa! - Poi si vide uscire dalla parte
del vicoletto la ragazzina che andava correndo dal sagrestano per le candele
benedette.
Ogni momento giungeva qualcheduno che veniva dalla casa di Zanghi,
e aveva visto dall'uscio spalancato il letto in fondo alla camera, col lenzuolo
disteso, le candele accese al capezzale e i figliuoli che piangevano. Altri
portavano altre brutte notizie. - Il Capo Urbano che stava imballando le
materasse; il farmacista che tardava ad aprire la bottega. La folla cominciava
ad ammutinarsi a misura che cresceva. - Cristiani del mondo! Che ci vogliono
far morire davvero come bestie nella tana! -
Uno, colla faccia stralunata, raccontava come Zanghi avesse
acchiappato il male, nella baracca dei commedianti. L'aveva visto lui, coi suoi
occhi, il vecchio che lo tirava per la falda del vestito perché gli pareva che
volesse passare a scappellotto. - Anche comare Barbara! che pur non si era
mossa di casa! - E quell'infame Capo Urbano che andava dicendo: - Non è nulla,
non è nulla -, e mostrava la carta bianca! Quella era la carta del Sotto
Intendente che ordinava di lasciar spargere il colera! Ah! volevano proprio
farli morire come bestie nella tana, cristiani di Dio!
Tutt'a un tratto si udirono dietro lo scaffale delle grida: -
Mamma! mamma! - e delle grida di dolore disperate. Neli irruppe nella bottega
urlando come una bestia feroce, coi pugni sugli occhi. Un parente corse lesto
lesto a chiudere gli scaffali, per tutta quella gente che s'affollava nella
bottega e nessuno poteva tenerla d'occhio.
Allora la folla, quasi fosse corsa una parola d'ordine, si mosse
tutta come una fiumana, gridando e minacciando. Un'anima buona si mise le gambe
in spalla, e corse per le scorciatoie dal Capo Urbano, a dirgli che scappasse.
Ma il poveraccio, da un bel pezzo, fiutando come si mettevano le cose, aveva
infilato l'usciolo dell'orto, carponi fra le viti, e preso il volo pei campi.
Quelli del baraccone stavano facendo cuocere quattro fave, a
ridosso del muricciuolo, seduti sulle calcagna, per covar la pentola cogli
occhi, tutta la famiglia. A un tratto udirono gridare: - Dalli! dalli! - e
videro la folla inferocita che correva per sbranarli. - Signori miei! siamo
poveri diavoli, poveri commedianti che andiamo intorno per buscarci il pane! -
Il vecchio annaspava colle mani, per fare intendere le sue ragioni; la donna
copriva i figlioletti colle ali, come una chioccia; la giovinetta colle braccia
in aria. Arrivò una prima sassata, che fece colare il sangue. Poi un
parapiglia, la gente in mucchio accapigliandosi, gli strilli delle vittime, che
si udivano più forte. - No! no! non li ammazzate ancora! Vediamo prima se sono
innocenti! vediamo prima se portano il colera! - C'erano pure delle anime buone
in quella ressa. - Ma gli altri non volevano intender ragioni: Neli di comare
Barbara, che gli sanguinava il cuore dall'angoscia, Scaricalasino che aveva
visto coi suoi occhi Zanghi stecchito sotto il lenzuolo, massaro Lio che si
sentiva già i dolori di ventre addosso. In un attimo la baracca fu tutta
sottosopra: i burattini, gli scenari, i cenci, la poca paglia fradicia dei
sacconi. Poi, dopo che non ebbero più dove frugare, fecero un mucchio d'ogni
cosa, e vi appiccarono il fuoco. - Bravo! E adesso come farete a scoprire se
portavano il colera? - gridarono alcuni. Ma il povero capocomico non sentiva e
non badava più a nulla, né le grida di morte, né le falci, né le scuri; pallido
e stravolto, col sangue giù per la faccia, i capelli irti, gli occhi fuori
della testa, voleva buttarsi sul fuoco per spegnerlo colle sue mani, urlando
che lo rovinavano, che gli toglievano il suo pane, strappandosi i capelli dalla
disperazione, in mezzo alla famigliuola tutta pesta e malconcia, scampata per
miracolo alla strage. - Meglio, meglio che ci avessero uccisi tutti! - Neppure
il colera li aveva voluti, da per tutto dove l'avevano incontrato, stanchi ed
affamati.
Ancora, dopo cinquant'anni, Scaricalasino, il quale è diventato un
uomo di giudizio, dice a chi vuol dargli retta, che il colera ci doveva essere,
nel baraccone. Peccato che lo bruciarono! Quelli erano bricconi che andavano
attorno così travestiti per non dar nell'occhio, e buscavano centinaia d'onze a
quel mestiere.
Dove avevano saputo far le cose bene era stato a Miraglia, un
paesetto mangiato dal colera e dalla fame, il giorno in cui s'erano viste lì
pure certe facce nuove per la via dove da un mese non passava un cane, e la
povera gente, senza pane e senza lavoro, aspettava il colera colle mani in
mano. Anche costoro mostravano di essere dei viandanti rifiniti dal lungo
viaggio, come una famigliuola di zingari: l'uomo che si dava per calderaio, la
moglie che diceva la buona ventura, la figlia, una bella bruna, la quale doveva
averne fatte molte, così giovane com'era, e portava attaccato al petto cascante
un bambino affamato e macilento. Dei suoi diciotto anni non le erano rimasti
che due grandi occhi neri, degli occhi scomunicati che vi mangiavano vivo.
Anch'essi si portavano dietro tutta la loro casa in un carretto sconquassato,
coperto da una tenda a brandelli, che veniva avanti traballando, tirato da un
somarello sfinito. Siccome la popolazione si era commossa al loro apparire, e
minacciava, il sindaco accorse anche qui colle guardie, armate sino ai denti,
gridando da lontano: - Via! via! - come si fa ai lupi. Loro a ripeter la
commedia che venivano da lontano, che li avevano scacciati da ogni dove, che
erano affamati, e preferivano li uccidessero a schioppettate. Allora, per non
saper che fare, temendo di accostarsi per paura del colera, li lasciarono lì,
fuori del paese, guardati a vista come bestie pericolose. Nessuno chiuse
occhio, quella notte, la vigilia di San Giovanni, che c'era un chiaro di luna
come di giorno. Tutt'a un tratto, coloro che stavano a guardia, nascosti dietro
il muro, videro lo zingaro che s'era avventurato carponi sino alle prime case,
razzolando in un mondezzaio. Colà l'uccisero di una schioppettata, senza dirgli
neppure: - guardati! - Dopo gli trovarono un torsolo di cavolo che ci aveva
ancora in pugno, e il petto della camicia tutto gonfio di bucce e frutta
marcia. Al rumore, alle grida che si udivano da lontano, tutto il paese fu in
piedi subito, e la caccia incominciò. La vecchia fu raggiunta all'argine del
fossatello, barcollando sulle gambe stecchite. La giovane dinanzi al carretto,
che voleva difendere la sua creatura, come succede anche alle bestie, con certi
occhi che facevano paura, e cercava di afferrare le scuri per aria, colle mani
insanguinate. Dopo, frugando fra i cenci della carretta, si disse che avevano
scovato le pillole del colera e ogni cosa. Ma quegli occhi più d'uno non poté
dimenticarli. E ancora, dopo cinquant'anni, Vito Sgarra, che aveva menato il
primo colpo, vede in sogno quelle mani nere e sanguinose che brancicano nel
buio. Però, se erano davvero innocenti, perché la vecchia, che diceva la buona
ventura, non aveva previsto come andava a finire?
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