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Lunario dei giorni di paura


Diciassettesima settimana

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Samuel Pepys

Diario di un peccatore

 

5 luglio. Mi sono alzato presto per spedire il bagaglio e i letti a Woolwich, dove mia moglie si trasferisce. Più di settecento persone sono morte di peste in questa settimana.

26 luglio. Il duca e il re sono giunti questa mattina da Hampton Court. Li ho seguiti fino da sir Carteret e ho passato la mattinata con loro. Si è parlato molto e ho avuto occasione di conversare sia col re che col duca, poi sono andati tutti a pranzo ma io non ero invitato. In tutta modestia, non avrei potuto pretenderlo, tuttavia mi è rincresciuto che sir Batten sia stato della partita – avendone beninteso maggior diritto – e io no. Ma in questo si vede il mio orgoglio e la mia follia. Sono andato invece con Castle, abbiamo passeggiato, poi abbiamo mangiato magnificamente. Intanto il re aveva finito di pranzare e con le barche siamo andati verso Woolwich, dove ho potuto abbracciare mia moglie e ammirare i quadri che dipinge e che sono abbastanza interessanti. Al ritorno ero seduto nella barca del re e ascoltavo i suoi discorsi col duca. Dio mi perdoni se oso criticarli, ma mi accorgo che più ci si avvicina ai grandi più si è portati a ignorare la differenza che passa tra loro e gli altri uomini, anche se sono, come questi, principi fra i più nobili e coraggiosi. Contento della mia giornata, alla fine della gita ho preso una carrozza e mi sono fatto condurre dai cugini Joyce. Lì ho saputo di parecchie morti nella parrocchia – quaranta la notte scorsa, e la campana non ha mai cessato di suonare – e poiché Ann Joyce non era in casa sono tornato alla Borsa, per andare a far quattro chiacchiere con la bella signora Batelier. È davvero una delle donne più affascinanti che io conosca. L’epidemia non cessa di far vittime anche nella nostra parrocchia, cosa che mi induce ad affrettare il mio lavoro perché sia tutto in ordine per la pace del mio corpo e dell’anima mia.

27 luglio. Mi sono fatto svegliare alle quattro e ho preparato dei documenti da far firmare a Hampton Court. Sono anche riuscito a portare alla firma un’altra ordinazione di navi, che penso potrà darmi qualche guadagno. Finito il lavoro ho voluto assistere alla partenza dei reali per Salisbury. Poco dopo sono partiti anche il duca e la duchessa e io ho avuto l’onore di baciare la mano a quest’ultima, una manina bianca e grassottella. Era bello vedere le graziose dame abbigliate come uomini, con giubbe di velluto e cappe con nastri e pizzi. Solo la duchessa non stava bene in quell’abbigliamento. A casa ho letto il bollettino settimanale. Si arriva a un totale di 1.700 decessi per l’epidemia, cosa che ha convinto i miei colleghi a installarsi a Deptford. Per conto mio non so cosa decidere.

31 luglio. Mi sono recato presto a Deptford, e ho trovato sir Carteret e Milady pronti a partire. Indossavo il mio abito di seta a bottoni d’oro con belle guarnizioni di pizzo ai polsi. Dovendo assistere a un matrimonio ero veramente a posto ed elegante. Abbiamo dovuto attendere la marea per un paio d’ore, e con nostro vivo dispiacere siamo arrivati a cerimonia finita, quando gli sposi già uscivano dalla chiesa. La sposa sembrava molto triste, ma forse era soltanto un po’ più seria che di consueto. Tutti l’hanno abbracciata tranne me, finché lady Sandwich non mi ha esortato a farlo. Il pranzo è stato allegro ma non spigliato come è di solito questo genere di feste. Dopo il pranzo la comitiva si è divisa: io mi sono ritirato con lady Sandwich per consegnarle del denaro. Al tramonto è stata servita la cena e dopo la cena c’è stata la preghiera generale, cui hanno partecipato anche gli sposi. Poi a letto. Io solo sono potuto entrare nella stanza dello sposo mentre si svestiva. Era molto allegro, poi è stato chiamato nella camera della sposa e si è messo a letto con lei. Ho baciato la sposa che era già a letto, poi ho tirato le tende con la maggiore serietà, e mi sono ritirato. Tanta modestia e decenza mi sono parse assai più piacevoli che i soliti schiamazzi e scherzi di queste circostanze.

6 agosto. Mi sono alzato e mi sono fatto pettinare dalla mia piccina, con la quale sono stato amabile fino a porre le mani sulle cose del suo seno, ma devo smettere per tema di grandi inconvenienti4. Dopo mi sono messo al lavoro in camera mia. La sera sono andato a Woolwich e mi sono coricato assai presto. 10 agosto. Sono preoccupato del continuo infierire dell’epidemia. In tutto quattromila morti, di cui tremila di peste in una settimana. Pare che Alderman Bence, rincasando, sia inciampato in un cadavere che era per la strada. A casa ha raccontato la cosa alla moglie, che era incinta e che è morta subito, per lo spavento. Ho deciso di fare testamento. La città è malsana e non si può essere certi di vivere da un giorno all’altro.

 12 agosto. L’ufficio è chiuso. Sono rimasto a casa a dar ordine alle mie carte l’intera mattinata, poi a Deptford chiamato da sir Carteret. Terminati i miei affari ho incontrato il vecchio Bagwell, che ha voluto condurmi a casa da sua figlia e poi ci ha lasciati soli. Naturalmente ho fatto quello che ho voluto con lei5. Ho poi mangiato e bevuto e sono tornato a casa a terminare il mio lavoro. La mortalità è tale che non si seppelliscono più i morti la notte come prima, ma anche di giorno. Milord ha decretato che tutti i sani devono rincasare per le nove per dar modo ai malati di uscire a prendere aria. C’è stato un morto anche sulle nostre navi a Deptford, sulla Providence che era pronta a salpare. Tutto ciò è molto preoccupante.

 15 agosto. Mi sono alzato alle quattro per andare dal capitano Cocke, a Greenwich. L’ho trovato ancora a letto e questo ha riportato alla mia memoria il sogno della notte scorsa. Avevo fra le braccia lady Castlemaine ed ero autorizzato a prodigarle tutte le carezze che desideravo. Poi ho sognato che tutto questo non era che un sogno, ma poiché era un sogno e mi dava un tale piacere vorrei dire, come Shakespeare, quale gioia sarebbe se dopo morti potessimo ancora sognare sogni di quel genere. Così non avremmo della morte il terrore che abbiamo adesso, in questi tristi tempi di epidemia. Tornato a casa, la sera, sulle scale della chiesa ho inciampato nel cadavere di un appestato! Grazie a Dio non me ne sono sentito troppo disturbato, comunque cercherò di non restar fuori troppo tardi, la notte. 16 agosto. Ho messo a posto le mie carte a casa, poi sono andato in ufficio. Con Hater ho scritto varie lettere, poi ho consegnato a lui il mio testamento con l’incarico di consegnarlo a mia moglie dopo la mia morte. Dall’ufficio sono andato alla Borsa. Che tristezza vedere le strade della città deserte! Ogni casa, ogni porta chiusa dà sospetto. Due negozi su tre sono chiusi. Dalla Borsa sono andato da Smith con il signor Fenn. A noi si è unito il capitano Cocke e insieme abbiamo consumato una buona cena in perfetta allegria. Cocke è un vero epicureo: mangia e beve con il più grande piacere e con la maggiore libertà di questo mondo. Alla Borsa correvano le voci più disparate. Taluni affermavano che avevamo catturato molte navi olandesi, altri che la nostra flotta è in grave pericolo perché si è trovata di fronte le forze navali olandesi, di oltre cento unità. In verità tutti vivono nella più grande ansia, ma nessuno sa niente di preciso. Ho saputo che l’indisposizione di lord Hiching si è trasformata in ulcere. Poveretto! E pensare che è venuto dalla Francia per incontrarsi con la sua amante!

22 agosto. Mia moglie, assecondata dalle sue due cameriere, che tra parentesi sono delle ottime ragazze, ha tentato di persuadermi a comprarle una collana di perle. Le ho promesso che gliene comprerò una del valore di sessanta sterline, nel termine di due anni, se farà progressi nella pittura. Andando a piedi verso Greenwich mi sono imbattuto nella bara di un morto di peste, presso la fattoria Corme. Era lì dalla sera prima e nessuno ha provveduto a farlo interrare. Si sono accontentati di mettervi qualcuno a guardia per impedire l’ingresso alla fattoria. È una cosa veramente crudele. Questa epidemia ci rende feroci l’uno verso l’altro peggio delle belve. Nel pomeriggio ho fatto una passeggiata e mi sono incontrato con le signore Bagwell, madre e figlia: sono andato con loro, in casa della figlia e lì faciebam le cose que ego tenebam a mind to con elle, ho bevuto, ho chiacchierato, poi me ne sono andato a piedi sulla strada di Redriffe, un po’ seccato di dover rifare la strada degli appestati. Comunque, ci sono passato, e di là sono tornato a casa. Ho fatto qualche esercizio sul violino, poi ho cenato e sono andato a dormire.

25 agosto. Ho saputo che Burnett, il mio medico, è morto di peste. Un mese fa è morto il suo servo e ora è toccato a lui. Povero infelice!

28 agosto. Appena alzato sono andato da Colvill, l’orefice. Da qualche giorno non andavo in città, che è deserta, e tutti quelli che si incontrano hanno l’aria di essersi già congedati dalla vita. Penso di dare un addio, oggi, alle strade di Londra. Non so cosa fare col mio denaro, perché intendo stabilirmi a Woolwich: forse lo metterò in una cassaforte di ferro, almeno per un certo tempo. Nel pomeriggio ho mandato tutta la mia roba a Woolwich.

30 agosto. Appena uscito ho incontrato Hadley, il nostro commesso; gli ho chiesto notizie, e mi ha detto che la peste aumenta sempre più anche nel nostro quartiere dove sono morte nove persone benché ne siano state dichiarate soltanto sei, cosa molto riprovevole perché il pubblico non si rende conto della gravità dell’epidemia se si seguita a tenergli nascoste le vere cifre. Sono andato fino a Moorfields per vedere (che Dio perdoni la mia temerarietà) se mi capitava di incontrare qualche generale, ma Dio non lo ha permesso. Però, che viso travolto hanno tutte le persone che si incontrano per la strada! E tutti parlano di peste e di morte e tutta la città sembra abbandonata. A casa ho messo in ordine la contabilità di Tangeri e la mia personale. Con grande gioia ho scoperto che posseggo ben 2.180 sterline oltre all’argenteria e mobili che valuto a 250 sterline. Di questo sia benedetta la bontà del Signore. Sono andato a letto soddisfatto ma stanco per aver a lungo vegliato.

 31 agosto. Avevo un appuntamento a Greenwich, in ufficio, e vi sono andato per tempo. Ho pranzato poi con sir Boreman e sir Biddulph in casa di Boreman. C’era un ottimo pasticcio di cacciagione e del buon vino. La sera sono tornato a Woolwich e ho passato allegramente la serata con mia moglie e altri. Così termina questo mese di grande tristezza per tutti a causa della peste, che miete sempre nuove vittime. Il numero dei morti ogni giorno è stragrande e nessuno se ne cura, perché sono troppi e anche perché i quaccheri non vogliono che si suonino le campane per quelli che muoiono di peste. Pare che la nostra flotta sia andata incontro a quella olandese, forte di cento vascelli. Le spese di guerra sono enormi e il Paese non è in grado di fornire denaro né il Parlamento ne darà dell’altro. Quanto a me non mi lamento, benché abbia una gran paura di prendere la peste oppure di acchiapparmi un raffreddore partendo, come faccio, assai presto al mattino e tardi la sera per raggiungere la famiglia.

 3 settembre (giorno del Signore). Mi sono alzato presto, per indossare il mio abito nuovo di seta colorata. Ho anche messo la parrucca nuova che ho già da tempo ma che non osavo mettere perché a Westminster c’era la peste quando l’ho comprata. Chi sa che specie di moda vi sarà quando l’epidemia sarà finita. Nessuno vorrà portare parrucche per paura dell’infezione, perché i capelli potrebbero essere stati tagliati dalle teste degli appestati. In chiesa ho sentito un sermone noioso, poi a casa in buona compagnia. Ho accompagnato lady Penn e sua figlia. Di ritorno ho incontrato Cocke e ho passeggiato a lungo con lui sul sagrato della chiesa. Mi ha parlato del pessimo modo in cui siamo governati. Nessuno bada agli affari dello Stato e tutti si preoccupano unicamente del loro interesse e del loro piacere, a cominciare dallo stesso re. L’epidemia infierisce e pare che la gente abbia perso la ragione. Segue in frotta i cortei funebri, proprio perché ciò è stato vietato, per il gusto di vedere interrare i morti. È stato fatto un ricorso contro un sellaio il quale, dopo aver seppellito i suoi figli, rimasto con la moglie e un bimbo di pochi anni, ha cercato di salvare almeno quello e lo ha affidato, nudo, nelle mani di un amico che lo ha condotto a Greenwich, rimanendo in casa con la moglie ad attendere la morte. Non abbiamo dato importanza al ricorso e abbiamo riconosciuto il diritto del brav’uomo ad agire come ha fatto per la salvezza del suo bambino.

7 settembre. Mi sono alzato alle cinque, pieno di timori di prendermi un malanno, ma mi sono avvolto bene in coperte di lana e sono andato alla Torre per prendere visione del bollettino settimanale. I morti sono 8.252 di cui 6.978 di peste. Queste cifre fanno pensare che l’epidemia è ben lontana dall’essere in periodo di decrescenza. Con la carrozza di Povy sono andato a Swakely, da sir Viner. C’è stato un intrattenimento assai piacevole, dopo di che avendo ottenuto da lui la promessa di denaro che ero venuto a cercare sono tornato in città, sempre in compagnia di Povy, che mi ha messo al corrente delle ultime novità di Corte. Pare che il re non stia affatto bene, è sempre di cattivo umore e stanco di tutto. 10 settembre (giorno del Signore). Sono dovuto tornare a casa a piedi perché uno dei miei barcaioli si è ammalato ieri. Per fortuna da due giorni ho percorso un altro cammino. A Woolwich ho trovato Andrews; con lui e con Hill ho suonato e cantato fino alle cinque del pomeriggio. Il tempo era pessimo, soffiava un vento forte e pioveva a scrosci. Ciò nonostante, bene avvolti nelle coperte, Andrews e io abbiamo preso congedo e ci siamo diretti verso Greenwich. Mia moglie mi è venuta incontro dicendomi subito che suo padre è ammalato. Le ho detto che temo si tratti di peste perché ho visto la porta di casa chiusa. Allora, assai preoccupata, mi ha chiesto di mandare qualcosa ai suoi. Gliel’ho promesso e lo farò. Prima di uscire mi è giunto un foglio espresso da parte di Coventry, con la lieta novella dell’incontro della flotta di lord Sandwich con una parte della flotta olandese. Pare che abbiamo catturato due navi provenienti dalle Indie Orientali e sei o sette altre con importante bottino. Ora pare che si dia la caccia al resto della flotta. La notizia mi ha riempito talmente di gioia che non ho saputo trattenermi in casa e sono andato a raggiungere il capitano Cocke e sua moglie a Greenwich. Con loro, con lord Bruncher e la sua amante abbiamo organizzato una succulenta cena e abbiamo passato due allegrissime ore.

 12 settembre. Mia moglie mi ha mostrato una lettera del fratello, in cui si parla della malattia di suo padre che è gravissima, sì che si dispera di salvarlo. Per quanto la cosa mi sia rincresciuta, confesso che non ho provato un vero e proprio dispiacere. Ho deciso di mandargli qualche cosa, forse venti scellini, nella mia prossima lettera.

14 settembre. Sono andato a piedi a Greenwich con l’intenzione di proseguire per Londra, dove non vado da parecchio tempo. Da una lettera di lord Sandwich ho appreso che la nostra flotta si è incontrata con diciotto navigli olandesi e li ha catturati tutti. Con la lettera sono andato alla Taverna dell’Orso, presso il ponte, e mi sono fatto dare un bicchiere di vino e un pezzo di formaggio. Ho dovuto attraversare a piedi il ponte perché l’epidemia ha fatto molte vittime nei dintorni, e sono andato alla Borsa. Era insolitamente affollata. Ho fatto fatica a isolarmi e cercar di parlare con meno gente che potevo. Ormai non si osservano più i regolamenti sulla chiusura delle case infette e così si corre rischio di fermarsi a conversare con persone che hanno già addosso il malanno. A casa sono andato a prendere alcuni oggetti da portare a Woolwich, ma ho ascoltato il consiglio di Griffin circa l’argenteria e il resto e ho lasciato tutto nella cassaforte. Nessuno immagina che si lasci argenteria e denaro in una casa vuota. Tornato a casa ho fatto un po’ di riassunto di questa giornata di contentezza e di malinconia, come quasi tutte le giornate della mia vita. Prima di tutto la gioia di trovare al loro posto il denaro e le argenterie che avevo lasciato a Londra, poi la grande notizia della battaglia navale a noi favorevole, poi il decrescere dell’epidemia, circa cinquecento casi in meno, e la speranza che la settimana ventura la situazione sia ancora migliorata; poi l’incontro con molti convogli funebri che attraversavano di pieno giorno la città. La Taverna dell’Angelo è chiusa, quella della Torre anche. Quel che è peggio l’altra sera, mentre ero nella taverna in procinto di scrivere una lettera, qualcuno moriva nelle stanze accanto. Ho sentito infatti la padrona dire al marito che c’era un malato grave ma che sperava non fosse di peste. Ho anche saputo che uno dei battellieri che mi conduce di solito si è ammalato venerdì ed è morto sabato. Anche i miei due servi hanno perduto il padre nei giorni scorsi e tutto questo mi provoca grande malinconia. Ma è meglio mettere da parte i pensieri tristi e cercare di far coraggio a mia moglie e a quelli che la circondano. Ho cenato con una bella tinca pescata dal signor Shelden, poi mi sono messo a letto.

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