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Lunario dei Giorni di Memoria


Appendice 6

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Sonderkommando

Salmen  Gradowski

 

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Quello di Salmen Gradowski, ebreo polacco nato nel 1909 a Suwalki e deportato nel dicembre del 1942, è uno dei soli nove scritti testimoniali riguardanti le attività del Sonderkommando che operò ad Auschwitz Birkenau e ritrovati dopo essere stati sepolti sotto terra. Tanto più importante quanto fondamentale nel dipanare alcuni nodi rimasti per lungo tempo irrisolti anche nella più accreditata memorialistica della Shoah, restando i membri dei sonderkommando e le loro attività solitamente sconosciute o non correttamente riportate dagli altri deportati. Per molto tempo le testimonianze degli ebrei che più direttamente collaborarono alle fasi finali dello sterminio non vennero pubblicate, quasi a voler sottacere la zona più buia dello sterminio, quella indicibile poiché più contaminata dal male e dalla morte, ancora in vita, di ogni umanità. Queste terribili pagine, di difficilissima lettura e metabolizzazione, testimoniano invece di una coscienza ancora presente, forse in disperata ricerca di assoluzione, che nella scrittura e nella testimonianza dell’orrore – perché l’indicibile non venisse sommerso per sempre nel nulla del silenzio – cercava di restare ancora aggrappata a una parvenza di dignità e al voler rimarcare la differenza che restava comunque intatta tra carnefici e vittime.

 

 Con le mani tremolanti, i nostri fratelli girano le leve e sollevano quattro catenacci.  Si sono aperte due porte, di due immense tombe. Si spande una zaffata atroce di morte. Tutti sono attoniti, e non riescono a credere ai loro occhi. Quanto tempo? Quanto tempo è trascorso, abbiamo ancora negli occhi l'immagine di questi giovani corpi vibranti di donne, di uomini. Risuona ancora nelle nostre orecchie l'ultima eco delle loro parole.  E ancora ci insegue lo sguardo profondo dei loro occhi, gonfi di lacrime.

  E ora, in un solo colpo, cosa sono diventate? Le migliaia, le migliaia di vite che si sono agitate, hanno gridato, hanno cantato, ora giacciono a terra irrigidite dalla morte. Più nessun suono, nessuna parola, le bocche si sono chiuse per sempre. Gli sguardi sono fissi, i corpi contratti nell'immobilità. Nel silenzio agghiacciante non si ode che un leggero gorgoglio, quasi impercettibile, [prodotto da]gli umori dei corpi morti che fuoriescono dagli orifizi. E l'unico movimento in questo immane mondo di morte.

  I nostri occhi sono sbarrati, come ipnotizzati, sul mare di cadaveri nudi, che si presenta alla nostra vista. Scopriamo un mare di nudità. Essi giacciono gli uni sugli altri, frammischiati, aggrovigliati, in un intreccio indistricabile, come se, prima della morte, il diavolo avesse imposto un gioco atroce e avesse loro ordinato queste pose. Qui, uno galleggia, disteso, sul mare dei cadaveri. Là, un corpo è avvinghiato a un altro, entrambi seduti contro il muro. Da quest'altra parte, non sporge che un pezzo di un dorso, la testa e le gambe sono sommerse da altri corpi. Altrove, spunta una mano, una gamba, mentre il resto del corpo è sprofondato in questo mare di nudità. Non si vedono che frammenti dei corpi umani sulla superficie di questo mare di nudità.

  Su questo immenso mare galleggiano delle teste. Affiorano dalla superficie delle onde. Danno l'impressione di nuotare nel grande e profondo mare, solo le teste emergono da questo profondo abisso di nudità.

  Le teste, bionde, brune, castane, spiccano in questa generale nudità.

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