L’ultimo viaggio
Irène Cohen-Janca
- Maurizio A.C.Quarello
Ieri - una stretta al cuore ma la testa
alta e una canzone sulle labbra - abbiamo raggiunto la nostra nuova dimora, al
numero 33 di via Chlodna, dall'altra parte.
Il dottor Korczak si oppone sempre alla
tristezza e alla rassegnazione.
Quando è cominciata la guerra e l'esercito
tedesco ha invaso la Polonia nel settembre del 1939, quando le bombe
piovevano su Varsavia e squarciavano il cielo di rossi bagliori, Pan Doktor parlava alla radio per sollevare
il morale dei polacchi, correva tra fiamme e macerie per aiutare i
feriti, e faceva persino il clown per scacciare la disperazione.
Quando i tedeschi ci hanno obbligato a
lasciare la nostra Casa in via Krochmalna, Pan Doktor ha voluto che la nostra
partenza assomigliasse al viaggio di una grande compagnia di teatro, e non a un
misero trasloco. Abbiamo percorso le strade come un circo
in parata. Noi, i centosettanta inquilini dell'orfanotrofio - Felek, Aaron dai
polmoni deboli, Weintraub con una gamba sola, Mendel, Chaim l'imbroglione,
Moniek, Genia, Ania, Regina, Maryla e tutti gli altri - abbiamo orgogliosamente
marciato dietro la verde bandiera di Re Matteuccio I che garriva al vento.
Pan Doktor, Pani Stefa - la signora Stefa -
e tutta la squadra degli assistenti scortavano il lungo corteo.
Trasportavamo lampade, lenzuola e coperte,
disegni, piante, gabbie con i nostri uccellini e i nostri piccoli animali
domestici. Rinchiuse nelle tasche, le cartoline
ricordo che Pan Doktor distribuisce perché non ci si dimentichi delle nostre azioni,
di quelle buone ma anche di quelle cattive. Ce ne sono diverse, come la
cartolina dei fiori data per aver sbucciato un sacco di patate, o la cartolina
dell'inverno per essersi alzati presto, o ancora la cartolina della tigre per
aver litigato, infine la cartolina nontiscordardimé per quelli che lasciano
l'orfanotrofio.
Se saprò prendermi cura di Mietek, io avrò
la cartolina dell'assistenza. Ogni bambino che arriva all'orfanotrofio è
aiutato per tre mesi da uno più grande. Io sono il tutore di Mietek, arrivato
in orfanotrofio a settembre. Dietro di noi, i carri con i materassi, il
carbone, le provviste di patate chiudevano il corteo. Le strade erano piene di
persone dallo sguardo triste e sconvolto che se ne andavano in giro con tutte
le loro cose ammassate su carretti tirati a braccia, su carrozzine o sulle
spalle.
Anche loro avevano ricevuto dai tedeschi
l'ordine di andare a vivere dall'altra parte.
Mietek, che mi teneva la mano, ripeteva in
continuazione: "Szymek, è lontano dove stiamo andando?" "No,
cammina. Questa distanza un passerotto può percorrerla in qualche battito d'ali
e il Gatto con gli stivali in un solo passo."
(…)