ap3g

Lunario dei Giorni di Memoria


Appendice 10

vvddd

Ho sognato la cioccolata per anni
Trudi Birger

 

(...)

Ovunque girassi lo sguardo c’erano emaciati corpi nudi, così raggrinziti dalla prolungata denutrizione da non sembrare più nemmeno donne. Quegli esseri che una volta avevano fatto l’amore, partorito e nutrito figli erano adesso ridotti a una parodia di umanità. Solo gli occhi avevano ancora qualche traccia umana: erano occhi che chiedevano pietà, che esprimevano il desiderio muto di poter morire in pace. Non provavo che sofferenza e dolore: dolore alla gamba, dolore allo stomaco per i mesi di fame e una stretta al cuore per la separazione da mia madre. Incrociai le braccia, tenendomi in equilibrio su una gamba sola come meglio potevo. Eravamo in un locale grande e faceva caldo. Avevo patito il freddo per tanti mesi che riconoscevo a stento la sensazione di calore. Mi accorsi che proveniva da enormi forni posti in fondo alla stanza. Tra me e i forni c’era una folla apatica di condannate. Sarebbero state le mie ultime compagne sulla terra. Io non ero finita, però. Ero completamente cosciente, anche se priva di idee. Vedevo i prigionieri in piedi davanti alle bocche dei forni che gettavano le Musulmane nel fuoco. Erano così prossime alla morte, che non avevano nemmeno la forza di ribellarsi. I nazisti non si preoccupavano nemmeno di mandarle nelle camere a gas prima di cremarle. Le gettavano nei forni vive. Nella stanza continuavano a entrare nuove vittime, che mi spingevano in avanti, verso i forni. L’unico modo per aggrapparmi alla vita era restare indietro, dimenandomi tra le nuove arrivate. Ma la gamba mi doleva troppo e la massa di corpi nudi e scheletrici continuava a spingermi in avanti. Adesso ero così vicina che vedevo le facce dei prigionieri polacchi mentre gettavano i corpi vivi nel fuoco. Afferravano le donne in qualche modo e le spingevano dentro con la testa in avanti. A volte, se una donna era troppo alta per entrare interamente nel forno, bruciavano prima il torso, poi le gambe e i piedi. Ci voleva un po’ di tempo prima che un corpo si consumasse completamente. Ma tutte aspettavano senza gridare, senza dibattersi. Erano vittime indifferenti, ridotte alla totale apatia dalle malattie e dalla denutrizione, dal dolore e dallo sfinimento, ma io ero perfettamente cosciente, consapevole della mia nudità, consapevole del dolore alla gamba, consapevole del calore provocato dalle fiamme che ardevano davanti a me. Poi, quando vidi che stava per arrivare il mio turno, mi raggelai. Diventai di pietra, come le altre. Non avrei gridato, né mi sarei dibattuta quando quelle rozze mani mi avessero afferrata. Non avrei fatto nulla per ricordare a quei feroci criminali che ero un essere umano. Poi udii una voce...

(...)



















rotusitala@gmail.com