Ho sognato la cioccolata per anni Ovunque girassi lo
sguardo c’erano emaciati corpi nudi, così raggrinziti dalla prolungata
denutrizione da non sembrare più nemmeno donne. Quegli esseri che una volta
avevano fatto l’amore, partorito e nutrito figli erano adesso ridotti a una
parodia di umanità. Solo gli occhi avevano ancora qualche traccia umana: erano
occhi che chiedevano pietà, che esprimevano il desiderio muto di poter morire
in pace. Non provavo che sofferenza e dolore: dolore alla gamba, dolore allo
stomaco per i mesi di fame e una stretta al cuore per la separazione da mia
madre. Incrociai le braccia, tenendomi in equilibrio su una gamba sola come
meglio potevo. Eravamo in un locale grande e faceva caldo. Avevo patito il
freddo per tanti mesi che riconoscevo a stento la sensazione di calore. Mi
accorsi che proveniva da enormi forni posti in fondo alla stanza. Tra me e i
forni c’era una folla apatica di condannate. Sarebbero state le mie ultime
compagne sulla terra. Io non ero finita, però. Ero completamente cosciente,
anche se priva di idee. Vedevo i prigionieri in piedi davanti alle bocche dei
forni che gettavano le Musulmane nel fuoco. Erano così prossime alla morte, che
non avevano nemmeno la forza di ribellarsi. I nazisti non si preoccupavano
nemmeno di mandarle nelle camere a gas prima di cremarle. Le gettavano nei
forni vive. Nella stanza continuavano a entrare nuove vittime, che mi
spingevano in avanti, verso i forni. L’unico modo per aggrapparmi alla vita era
restare indietro, dimenandomi tra le nuove arrivate. Ma la gamba mi doleva
troppo e la massa di corpi nudi e scheletrici continuava a spingermi in avanti.
Adesso ero così vicina che vedevo le facce dei prigionieri polacchi mentre
gettavano i corpi vivi nel fuoco. Afferravano le donne in qualche modo e le
spingevano dentro con la testa in avanti. A volte, se una donna era troppo alta
per entrare interamente nel forno, bruciavano prima il torso, poi le gambe e i
piedi. Ci voleva un po’ di tempo prima che un corpo si consumasse
completamente. Ma tutte aspettavano senza gridare, senza dibattersi. Erano
vittime indifferenti, ridotte alla totale apatia dalle malattie e dalla
denutrizione, dal dolore e dallo sfinimento, ma io ero perfettamente cosciente,
consapevole della mia nudità, consapevole del dolore alla gamba, consapevole
del calore provocato dalle fiamme che ardevano davanti a me. Poi, quando vidi
che stava per arrivare il mio turno, mi raggelai. Diventai di pietra, come le
altre. Non avrei gridato, né mi sarei dibattuta quando quelle rozze mani mi
avessero afferrata. Non avrei fatto nulla per ricordare a quei feroci criminali
che ero un essere umano. Poi udii una voce...
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