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Lunario dei Giorni di Memoria


Appendice 1

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Il silenzio dei vivi

Elisa Springer

 

(…)

Lentamente, man mano che il tempo passava, anche a Belsen la situazione cominciò a precipitare. Il nuovo comandante del lager, la «Belva di Belsen» – Joseph Kramer, aveva portato con sé il terrore del lager femminile di Auschwitz: Irma Greese, detta l’«Arpia di Belsen». Si diceva fossero amanti. Vedevamo la Greese passeggiare spesso nel campo con un tailleur scuro, gli stivali lucidi, alti fin sotto il ginocchio, mentre portava a guinzaglio il suo grosso cane lupo, capace di sbranare in pochi attimi un uomo. Molte di noi terrorizzate, guardavano quella donna e seguivano con lo sguardo il suo percorso, sperando che si allontanasse, quanto prima, dalle baracche. Lei poteva decidere, come in un gioco, della vita e della morte di ognuna di noi e le sue decisioni, affidate ai suoi repentini cambi d’umore, portavano, spesso, alla camera a gas. Una mattina dopo aver «scelto» delle compagne per il lavoro, e dopo l’appello, rientrata nella stanzetta della baracca, mi misi a mangiare un pezzo di pane e guardando attraverso la finestra, notai che, continuamente, carriole cariche di cadaveri sfilavano davanti ai miei occhi: la vista di quei corpi consumati, di quegli stracci «anonimi», accatastati l’uno sull’altro, incredibilmente, assurdamente, amaramente, non mi toccava più. Mi resi conto che la mia insensibilità, figlia della paura e dell’abitudine, stava prendendo il sopravvento sui sentimenti che, in quel momento, iniziavano a non appartenermi più, perché uno solo era il pensiero che attraversava la mia mente: quando sarebbe giunto il mio momento? Non c’era tempo per la compassione, diminuivano le condizioni per la pietà verso chi non ce l’aveva fatta a sopravvivere. In ognuno di quei volti disperati, con gli occhi fuori dalle orbite e con gli zigomi sporgenti, io immaginavo il mio e vedevo solo la paura: tutto ciò toglieva spazio a qualsiasi altro sentimento.

(...)



















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