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Lunario dei Giorni di Memoria


Sesta settimana

scialle


L'isola in via degli Uccelli
Uri Orlev


(...) Mi ricordo che mia mamma si rifiutava di scendere in strada perché non tollerava la vista di tutti quei bambini che elemosinavano il pane mentre lei non aveva nulla da dargli. Il suo primo pensiero era per me e per mio fratello, e ogni fetta di pane che dava a un altro bambino significava una di meno per noi. E mi ricordo come un giorno mentre andavo a ‘scuola’, che era in realtà solo una stanzetta con tre scolari e un maestro, un uomo mi strappò dalle mani il sacchetto con il mio panino e ingoiò la carta e lo spago insieme al panino. Mi chiesi stupefatto come fosse riuscito a mandar giù lo spago; la carta era una cosa, ma lo spago? E poi arrivarono due uomini ben vestiti e lo riempirono di botte perché aveva rubato il cibo a un bambino ben vestito. Eppure, la gente si sposava, litigava e si amava. E faceva anche bambini. E c’erano i compleanni e i negozi di giocattoli e una pasticceria che apparteneva a una mia zia che mi regalava ogni giorno una pasta. C’era un ragazzo che rimase per molto tempo steso sul marciapiede davanti al suo negozio finché un giorno morì. Un giorno le autorità di occupazione decisero di sbarazzarsi degli abitanti del quartiere murato. Di mandarli lontano. Oggi sappiamo che essi venivano inviati ai campi di sterminio. A un certo punto noi che vivevamo là lo venimmo a sapere. Ma non subito, all’inizio. Era impossibile credere che un popolo civile come quello tedesco potesse fare una cosa simile. Era difficile crederlo anche dopo che dei testimoni fuggiti dai campi vennero a raccontarcelo. La città in cui vivevo era Varsavia e il quartiere murato veniva chiamato il ghetto. Abitavo là durante la Seconda Guerra Mondiale.
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