Buttati
giù, zingaro Roger
Repplinger – Upre Roma (…) Rukeli Trollmann salta
giù da un puzzolente vagone merci sulla banchina del Lager di Neuengamme. Filo
spinato, torri di vedetta. Sente gridare, abbaiare, musica, SS che urlano:
«Forza! Forza! Luridi maiali! Luridi cani». Trollmann vede cemento, fango, la
piazza dell’appello piena di pozzanghere, cani pastore che tirano le catene,
mostrano i denti, ringhiano. Dall’altra parte c’è un gruppo di internati. Sono
spaventosamente magri, gli abiti civili troppo larghi gli pendono addosso,
niente altro che stracci marchiati con colori a olio, giacche con maniche
colorate. Sulla piazza dell’appello un’orchestra a fiati dà il benvenuto.
L’orchestra a fiati è composta da internati. Suona al mattino per l’uscita e
alla sera per il rientro della colonna di internati. Suona anche quando i morti
vengono portati al crematorio, quando degli internati vengono impiccati, quando
qualcuno che ha fatto qualcosa che agli occhi delle SS è un reato riceve 25
bastonate. La musica suona anche quando un fuggitivo viene preso, impiccato,
bastonato a morte oppure azzannato dai cani. Da lontano può sembrare che ci sia
grande allegria a Neuengamme. Rukeli sa cosa lo aspetta lì, almeno così
pensava. Ma è un errore. Vede il motto che sovrasta a grandi lettere il tetto
della baracca delle cucine: «C’è una via per la libertà. Le sue pietre miliari
si chiamano: obbedienza, laboriosità, onestà, ordine, pulizia, sobrietà, amore
della verità, del sacrificio e della patria». Dietro la baracca delle cucine
Rukeli vede il crematorio con il lungo camino sovrastato da una nuvola di fumo
spessa e grigia. Ha tempo di guardarsi
intorno perché deve stare a lungo sulla piazza dell’appello. Fa freddo, piove,
tira un vento gelido. Proibito uscire
dalla fila. Il suo vicino si piscia nei calzoni. Le SS scelgono singoli uomini
per bastonarli. Anche Rukeli si prende un paio di bastonate. Non sa se le SS lo
riconoscono. Forse è meglio, pensa, che non mi riconoscano. Poi c’è il discorso
ai nuovi arrivati tenuto dall’Obersturmführer delle SS Albert Lütkemeyer. Nato
nel 1911 è nei Lager dall’inizio della sua carriera. Nel 1934 serviva nel KZ di
Ersterwegen, poi venne trasferito nel 1936 a Dachau per arrivare nel 1940 a
Neuengamme insieme con il nuovo comandante Weiss. È grintoso, a Neuengamme fa
rapidamente carriera. Dapprima diventa Rapportführer81, nel 1942 è già
comandante della squadra di guardia. Nell’aprile del 1944 viene trasferito in
un campo esterno in Slesia. Nell’ottavo processo su Neuengamme viene condannato
a morte e giustiziato il 26 giugno a Hameln. Quando Lütkemeyer era ancora
Rapportführer, un gruppo di detenuti ammalati viene trasferito a Dachau. In
cambio Neuengamme riceve detenuti sani. Lütkemeyer accompagna il trasporto a
Dachau perché vuol vedere i nuovi. A Neuengamme non servono «Muselmänner82»,
ridotti a pelle e ossa dalla denutrizione, ce ne sono già abbastanza. Serve del
«buon materiale» e non ci si può fidare dei comandanti degli altri Lager.
«Allora i cani ci sono tutti?», urla Lütkemeyer impaziente a una SS. «Allora
possiamo partire. È tutto a posto?» la domanda è rivolta a una SS che ha
contato i detenuti destinati a Dachau. L’SS saluta sbattendo i tacchi:
«Signorsì, signor Rapportführer, segnalo rispettosamente che un detenuto è
morto sulla piazza dell’appello. Dobbiamo portare il cadavere per far quadrare
i conti o lo si deve lasciar qua?». «Lasciar qua» sbraita Lütkemeyer, «non
siamo un trasporto funebre». «Prendetene un altro al posto di questo, di
invalidi ce ne sono già abbastanza nel Lager. Forza, via il cadavere e dentro
un altro uomo! E l’ufficio registri correttamente le generalità di quello nuovo».
«Signorsì, signor Rapportführer». Pronti per salire sul treno i detenuti di
Neuengamme vedono i recipienti del cibo che la cucina ha preparato per il
trasporto a Dachau. Ora i detenuti sono di
fronte al carro bestiame che li deve portare al sud. La SS arriva in auto.
Lütkemeyer smonta sbattendo la portiera. «Volete stare in piedi e mettervi
diritti, voialtri cani!» urla. Nessuno usa un tono del genere a Neuengamme. «At
… tenti, giù i berretti», comanda una SS. I «Muselmänner» si irrigidiscono a
testa nuda. Lütkemeyer li passa in rivista: «Tutto in ordine?», chiede a una
SS. «Signorsì, signor Rapportführer». Lütkemeyer vede i pentoloni del cibo. «E
questo cos’è? Come mai tutti questi recipienti?». «Caffè e cibo per il viaggio,
signor Rapportführer». «Cibo, perché?». «La cucina stanotte ha preparato del cibo
da portare per il trasporto. L’ultima volta…». «Cosa? Cibo per il trasporto?»,
il Rapportführer è fuori di sé, «Cibo? I recipienti tornano nel Lager, rimane
solo il caffè! I porci polacchi non hanno bisogno di mangiare, devono crepare!
Capito? Forza via i pentoloni!».«Signorsì, signor Rapportführer», dice l’SS e i
detenuti stanno a guardare i pentoloni che spariscono. Lütkemeyer è un tipo
intelligente, senza scrupoli, cinico che si dedica con determinazione al lavoro
nel KZ. È in grado di capire con uno sguardo le difficoltà di un detenuto e di
umiliarlo nei modi più impensabili. Di solito chiama un detenuto e ha sempre
qualcosa da rimproverargli sulla sua divisa sporca e stracciata, cosa che ha
inevitabilmente come conseguenza una punizione. Nelle angherie è un maestro. Il
suo divertimento più grande è frugare nelle tasche dei detenuti, trova sempre
qualcosa. Questo provoca come minimo un calcio o un colpo con il suo frustino.
Lütkemeyer organizza a sangue freddo e ininterrottamente esecuzioni, durante le
quali ride come un idiota e fa battute di spirito. Quando fa impiccare o gasare
dei detenuti, durante il trasporto di cadaveri, di fronte a fuggitivi
sanguinanti, sbranati dai cani e in punto di morte, chiama a raccolta il Lager
e fa cantare canzoni allegre. La vita di un detenuto per lui vale meno di un
filo di paglia. Quando circa trenta di uomini sopravvissuti a una furiosa
epidemia di tifo vengono portati al magazzino
vestiario per ricevere nuovi abiti, Lütkemeyer osserva i detenuti e poi dice:
«Voi siete tutti da bruciare». E lo intende per davvero. Lütkemeyer ha valutato
la condizione degli uomini che ancora per dei mesi non saranno in grado di
lavorare. Mangiatori a sbafo che alla fine comunque moriranno, allora perché
non subito? Dunque, Lütkemeyer, il
comandante della squadra di guardia, parla ai nuovi arrivati sulla piazza
dell’appello. Non li guarda, fissa i suoi impeccabili guanti neri oppure scruta
oltre le teste dei detenuti: «Vi dovete convincere che sarete umiliati,
mortificati. State entrando in un mondo nuovo nel quale non avrete più alcun
contatto con il mondo esterno. Se avete moglie, figli, parenti o amici nel
mondo esterno, dimenticateli, non li vedrete mai più, e dimenticare, ve lo
posso assicurare, è molto meglio per la pace della vostra anima. D’ora innanzi,
per ogni minuto del giorno e se necessario anche per tutta la notte, voi
lavorerete alla crescita degli interessi del grande impero tedesco!». Trollmann
non ascolta. Sta pensando che lui questo damerino con gli stivali tirati a
lucido lo ha già visto da qualche parte. Lo pensa senza berretto e senza divisa
e gli viene in mente: Lütkemeyer, l’arbitro. Il tipo era giudice di ring.
Quello prima o poi mi riconosce, pensa Trollmann, anche se, e si passa la
lingua nei buchi tra i suoi denti, dopo le botte nella Hardenbergstrasse, non
sembro più lo stesso. Forse è una fortuna. Dopo il discorso i
detenuti vengono portati nella «Effektenkammer83». Poi stanno per lungo tempo
di nuovo all’aperto. Nudi. Ricevono della polvere e del sapone e vengono spinti
dalle guardie nelle docce che sono o troppo calde o troppo fredde. L’acqua
viene erogata per pochissimo, poi viene l’ordine di strofinarsi con polvere e
sapone. Di nuovo viene erogata l’acqua per poco tempo. Tagliare i capelli. 30
barbieri per 30 prigionieri. Per semplificarsi il lavoro i prigionieri vengono
messi a gambe larghe e la testa in giù sopra dei cavalletti di legno. Vengono
rasati a zero gambe e basso ventre. Dove c’erano i capelli viene spalmata una
crema contro i pidocchi. I nuovi, sempre nudi, vengono portati nel locale
adiacente alle docce. Lì c’è il vestiario: biancheria, giacca e calzoni, scarpe
e copricapo. Mentre il prigioniero passa, uno gli lancia una camicia, quello
dopo un paio di mutande, il terzo una giacca, il quarto un paio di calzoni, il
quinto delle scarpe che sono di legno, il sesto un berretto. Le cose sono
vecchie, usate e segnate con vernice a olio. I prigionieri provano i vestiti.
Sono o troppo grandi o troppo piccoli. Alcuni si scambiano tra loro i pezzi di
vestiario, altri chiedono di avere qualcosa di passabile. A Trollmann è
indifferente. Dopo che si sono vestiti hanno un aspetto ridicolo. Uno indossa
un frak e per copricapo una berretta. Nei vestiti c’è la morte. Trollmann la
annusa. Quegli stracci erano di prigionieri morti. Appena uno muore gli tolgono
subito i vestiti. Ogni prigioniero è come una cava che si sfrutta fino a che
non rimane più nulla. Adesso Trollmann deve cucire sui vestiti il triangolo
degli zingari e il numero di prigioniero che deve essere collocato sotto il
triangolo. Un triangolo con il numero va sul lato sinistro della giacca e
l’altro sul calzone destro. In tutti i campi di concentramento i sinti portano
un triangolo nero, come gli asociali,
«Aso» nel gergo del KZ. Vi fanno parte piccoli criminali, nomadi e zingari. Per
i nazionalsocialisti asociale è chiunque non corrisponde alla loro idea di
ordine. A Neuengamme è diverso, gli asociali portano il triangolo nero e gli
zingari il triangolo marrone. Trollmann si cuce il triangolo marrone. Insieme con il triangolo
a Trollmann danno anche un piastrina sulla quale è impresso il suo numero di
prigioniero. 9841. D’ora innanzi verrà interpellato solo con il suo numero.
9841. Se lo imprime nella memoria. A Neuengamme non ci sono nomi. Anche i
prigionieri tra loro non si chiamano per nome. Il nome appartiene a un’altra
vita. Le SS chiamano il numero ma per lo più i prigionieri vengono chiamati
«cane», «porco», «uccello» o «maledetto, sacco di letame». I prigionieri russi
vengono chiamati «maiale russo». A Rukeli vengono prese le impronte digitali,
viene fotografato. Sulla sua cartella viene registrato tutto: indirizzo di
casa, impiego. Alla fine Rukeli viene rinchiuso in quarantena per dieci giorni
in un settore separato del Lager. Da lì lo portano nel KZ. Come ci si deve
presentare davanti al capoposto? Ci si deve mettere a una distanza da lui di
tre metri esatti. Quanti centimetri in più o in meno ci si mette rispetto ai
tre metri, tante sono le bastonate che si prendono. Con un tubo di gomma sulla
testa.
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