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Lunario dei Giorni di Memoria


Quarantaseiesima settimana

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Fino a quando la mia stella brillerà

Liliana Segre e Daniela Palumbo

 

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Un giorno i soldati nazisti ci dissero di prepararci perché si ricominciava a marciare. Saremmo andate via anche da quel campo. I soldati cominciarono a caricare sui camion documenti, macchine da scrivere, le loro pratiche burocratiche dove registravano i delitti che commettevano. Non volevano lasciare tracce compromettenti. Come ad Auschwitz, e negli altri campi, dove avevano sempre cercato di distruggere le prove del loro orrore. Ma qualcosa andò diversamente a Malchow. Americani e russi erano più vicini di quello che gli aguzzini si aspettavano. A un certo punto vedemmo aprirsi i cancelli del campo. Pensavamo di dover ripartire per un’altra marcia della morte. Invece, a un tratto, vedemmo le guardie spogliarsi della divisa e mescolarsi a noi. Anche i civili tedeschi fuggivano dalle loro case e si portavano via quello che potevano. Correvano per andare nella parte controllata dagli americani. Preferivano essere fatti prigionieri dagli americani che dai russi. I soldati si spogliavano, restavano in mutande di fronte a noi scheletri orribili che li guardavamo incredule! Cercavano abiti civili e indossavano qualsiasi cosa per confondersi con noi. Noi, schiave, vedevamo i soldati che prima ci impartivano ordini di morte, morire di paura! Era incredibile, impensabile per noi. In quei momenti concitati, accadde una cosa che ricorderò sempre. Il comandante del lager di Malchow, un assassino privo di umanità, gettò anche lui la pistola e indossò abiti civili. La pistola cadde sui miei piedi. L’istinto fu di prenderla e sparare, per vendetta, per giustizia. Ma fu un attimo, mi vergognai di quel pensiero, io non ero come loro, non volevo diventare come i miei carnefici. Quello fu un momento fondamentale della mia vita. La forza che trovai nell’istante in cui rifiutai di vendicarmi diventando un’assassina a mia volta, equivale a una grande vittoria per me. Scelsi la vita, la loro cultura di morte non mi apparteneva e la lasciavo nel lager.

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rotusitala@gmail.com