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Lunario dei Giorni di Memoria


Quarantacinquesima settimana

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La repubblica delle farfalle

Matteo Corradini

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Mi alzo, il tempo di sollevare un poco il materasso e di prendere i fogli nuovi nascosti là sotto e mi lascio accompagnare da Embryo e dalla sua luce che illumina i nostri passi soffici e scalzi, su coperte cadute e assi di legno che, attenti, scricchiolano troppo. Ci raggiungono gli altri lumini, ci guardiamo. Arrivano anche Edison e Josif, usciamo dallo stanzone, ci spostiamo al tavolo della redazione e i miei amici posano le luci sugli angoli del tavolo. Le spegniamo mentre ci sediamo. Ne rimane accesa una sola, al centro, e può accontentarci. Di lì a poco il tavolo diventa redazione e si affolla di fogli pieni di disegni e appunti. Ogni volta abbiamo collaboratori molto diversi, anche adulti. Informatori, anche. I disegni di solito sono molto belli, arrivano dalla scuola, sono fatti coi pastelli oppure a collage. Le carte da collage sono finite da mesi e i bambini usano pezzi di stoffa e ritagli che trovano, angoli di scatole di cartone, carta millimetrata pescata chissà dove, il retro di vecchi documenti protocollati, stoffe vecchie, vestiti strappati. Questa settimana ne sono arrivati molti. «La prima novità è che hanno portato via il rabbino. Caricato sul treno» comincia Peter. «È vero?» chiedo. Noi ebrei siamo come frammenti di carta per i collage, non ancora fissati, ora sei qui ma tra poco volerai via. «Vero. Li portano in Polonia o comunque a est.» «Quanti ne hanno caricati stavolta?» «Fredy che lavora dietro la caserma Amburgo dice cinquemila. Ma non ho dettagli. Qualcuno ne sa di più?» Stiamo zitti. Peter si risolve. «Ne parliamo la prossima volta. Altro?» «Un mucchio di alberi» dice Josif. «È così. In questi giorni a scuola hanno disegnato quasi solo foglie e cespugli. Attenti a questo, a me piace molto.» Embryo allunga un foglio: è bianco da un lato, dall’altro è ricoperto di colori e pennellate disordinatissime e confuse, la maggior parte verde scuro. «È un albero, secondo te?», chiede Zdenek. «Certo, guarda bene. C’è il tronco, le foglie, una radice che spunta e anche un cespuglio sotto.» «Dove le vedi, queste cose, lo sai solo tu.» Zdenek non è convinto. Embryo borbotta, poi aggiunge: «C’è questo e altro e c’è anche un cerbiatto nascosto dietro il cespuglio, guarda bene.» Zdenek accenna un sorriso e capisce. Mettiamo in pagina il disegno. Lì vicino ci starebbe bene una poesia. Ne leggiamo alcune, parlano di nostalgia e di casa, di dolci, di colori. Ce n’è una che parla delle foglie. «A me sembra perfetta.» Peter appoggia la poesia sul tavolo dopo averla letta. «La ricopio io. Peccato non averne trovata una dedicata ai cerbiatti.» Embryo prende un foglio bianco e si mette a ricopiare lasciando lo spazio per incollare il disegno. «Altri disegni.» Peter continua a sottoporci ogni cosa, è importante che le decisioni vengano prese da tutti insieme. È la Repubblica di Shkid. Cosa sia Shkid, nessuno lo sa di preciso, c’è chi pensa che siano le iniziali delle parole Scuola e Casa, come fossimo ancora bravi ragazzi, chi pensa sia il nome di un orfanotrofio in Russia, e tutti credono in una ipotesi diversa ma bisogna fidarsi: sarà qualcosa di bello, qualcosa che ci fa sentire amici. La nostra repubblica è fatta di parole e di colori.

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