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Lunario dei Giorni di Memoria


Quarantatreesima settimana

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Le valigie di Auschwitz

Daniela Palumbo Piemme

 

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Se squillava il campanello, Carlo cominciava a tremare. Erano sempre loro, quei signori  della polizia. Facevano tante domande, ogni volta prendevano qualcosa perché dicevano che gli ebrei non potevano  tenere niente che fosse di valore  (non lo meritavano, dicevano loro)  e poi andavano via. Si erano presi  le biciclette di Carlo e del papà,  l’orologio d’oro della mamma,  regalo del matrimonio, la radio nuova  e perfino una sveglia in argento.  Una sera il campanello suonò  quattro volte, una dietro l’altra.  Il cuore del ragazzo cominciava  a battere veloce.  La mamma e il papà si guardarono e Carlo capì subito che anche  il loro cuore stava andando di corsa.  Il papà si alzò e andò ad aprire.  Poi tutto successe troppo in fretta  e Carlo afferrò solo qualche parola.  La mamma gridava «lasciatelo», il papà  ripeteva «ma perché», mentre un vicino  si affacciò sul pianerottolo e subito  richiuse la porta. Intanto quelle divise  nere portarono via il papà di Carlo  dicendogli: – Sporco ebreo, ti pentirai.  Poi tutto finì. Tornò il silenzio.  Ma il cuore di Carlo faceva ancora  dei balzi e poi precipitava giù, giù,  giù… era come se sapesse che  non si doveva fermare, altrimenti  rischiava di scoppiare. Il suo papà  non c’era più. Lo avevano portato  via gli uomini neri. La mamma  piangeva sulla sedia, con le mani  che le coprivano il viso. Non riusciva  più neppure a vedere che Carlo era lì  e aveva bisogno di essere consolato.  Non riusciva più a essere la mamma di prima. Carlo non ce l’aveva  con lei e andò ad abbracciarla  anche se non riusciva a piangere.  Lei lo tenne accanto a sé, ma non fece  altro. Un tempo nessuno era bravo  come lei a consolarlo; ad esempio,  quando Carlo faceva male un compito  e prendeva un brutto voto, lei diceva:  «A tutto c’è rimedio». E lui sapeva  che era vero perché era stretto  contro il suo cuore che sentiva battere  senza fretta.  Se la mamma non credeva più  che ci potesse essere rimedio,  nemmeno lui poteva più sorridere.  E allora si mise a consolarla,  carezzandole i capelli. Lei gli strinse  forte le mani e Carlo pianse. E mentre  piangeva pensava che fuori pioveva  e il suo papà era uscito senza giacca…  Ovunque fosse in quel momento,  chissà com’era infreddolito.

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