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Lunario dei Giorni di Memoria


Quarantesima settimana

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I ragazzi di Villa Emma

Annalisa Strada e Gianluigi Spini

 

(…)

La mattina del 9 settembre 1943 Joseph Indig era davanti alla porta degli uffici dell'anagrafe di Nonantola ben prima dell'orario di apertura. Quando l'impiegato arrivò, si mise le mezze maniche di tela bianca sopra la camicia, per non sporcarla d'inchiostro, e aprì lo sportello. Joseph richiese le carte d'identità che gli erano state promesse, ma l'uomo dietro il vetro scosse la testa. «Tutto è cambiato. Ora i tedeschi stanno cercando di farla da padrone. Se non c'è l'autorizzazione della Questura di Modena, io non posso rilasciare nessun documento!»A Joseph sarebbe piaciuto mettersi a discutere, ma dal tono dell'uomo capì che era tempo perso, e di tempo da perdere non ce n'era proprio. Quell'impiegato era troppo spaventato per potergli chiedere altro. Senza indugi, Joseph prese la bicicletta e iniziò a pedalare verso Modena. In fondo erano solo quattordici chilometri. Stava per imboccare la via Emilia quando incontrò il fornaio. «Dove stai andando con questa furia?» gli chiese l'uomo. Joseph, che nutriva particolare fiducia in lui, si fermò a raccontargli la situazione. E fu una fortuna. Il fornaio gli spiegò: «Le autorità italiane è come se non esistessero più. Siamo tutti allo sbando: la popolazione, le istituzioni, persino l'esercito. Non si capisce più bene chi comandi. E ha ragione l'impiegato: sembra che i tedeschi stiano occupando tutto».  «Tu che faresti, a questo punto?» gli chiese Joseph che fremeva di frustrazione e di rabbia, oltre che di preoccupazione per sé e per i ragazzi che sentiva come suoi. «Prova ad andare dai carabinieri!» gli consigliò il fornaio. E così fece. Pedalò fino alla caserma, dove trovò il brigadiere. Si conoscevano bene ed erano in ottimi rapporti. L'uomo in divisa soppesò con cura la situazione prima di dire: «È davvero un momento di grande precarietà. Io stesso temo che da un momento all'altro i nazisti possano arrivare e mettermi in stato di fermo. Per loro siamo passati da alleati a traditori. Però, mi ascolti, torni da quell'impiegato e gli riferisca del nostro incontro. Gli dica che io raccomando caldamente che le carte d'identità vi vengano consegnate. Purtroppo non posso fare di più». Si salutarono, senza certezza di rivedersi, con una vigorosa stretta di mano. Joseph tornò al municipio, ma per parlare direttamente con il primo cittadino, che ogni tanto aveva incontrato e con cui aveva scambiato informazioni legate all'andamento della vita a Villa Emma. Fu un'ottima idea, perché quello lo accompagnò di persona dall'impiegato dell'anagrafe, al quale ordinò: «Dia a quest'uomo i documenti di cui ha bisogno. Me ne assumo personalmente la responsabilità». Le carte d'identità furono pronte in capo a poco, con le foto dei ragazzi e degli adulti, che Joseph aveva in tasca, e la nazionalità di ciascuno, oltre a una bellissima sorpresa: su nessuna era riportata la dicitura "di razza ebraica". Da quei documenti nessuno avrebbe potuto capire che erano ebrei ed era una salvezza. (…)



















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