Noi,
i salvati Georgia
Hunter (...) Mila parla piano per non
farsi sentire dagli altri: «Guarda dove guardo io, tesoro. La vedi quella
signora laggiù, accanto al treno?» Felicia segue lo sguardo di sua madre e
annuisce. Mila ha il fiato corto. Sta tremando. C’è poco da recriminare. Sono
stata io a trascinare mia figlia in questa situazione. Il minimo che possa fare
è provare a tirarla fuori dai guai. Fingendo di sfilare una pietruzza da una
scarpa, s’inginocchia per un istante, in modo che Felicia possa guardarla negli
occhi, poi le dice lentamente: «Voglio che tu corra da lei e faccia finta che
sia la tua mamma». Felicia aggrotta le sopracciglia. È confusa. «Appena la
raggiungi, abbracciala», riprende Mila. «E non mollarla più.» «No, mamusiu...»
Mila posa un dito sulle labbra della figlia. «È tutto a posto, starai
benissimo. Obbedisci e basta.» Felicia ha le lacrime agli occhi. «Mamusiu,
vieni anche tu?» La sua voce è appena udibile. «Adesso no, tesoro. Ora devo
fare da sola. Hai capito?» Felicia annuisce e abbassa lo sguardo. Mila le
prende il mento e glielo solleva per guardarla nuovamente negli occhi. «W
porządku?» «W porządku», mormora Felicia. Mila riesce a malapena a respirare:
la tristezza negli occhi di sua figlia e il piano che sta per dipanarsi le
danno un’oppressione al petto. Con tutto il coraggio che riesce a racimolare,
annuisce. «Se i soldati ti fanno domande, tu rispondi che quella signora è
twoja mamusia, d’accordo?» «Moja mamusia», ripete Felicia, anche se quelle
parole hanno un sapore strano, sbagliato, come qualcosa di tossico. Mila si
rialza e guarda di nuovo verso il treno. Pare che la biondina stia raccontando
una storia. Il tedesco è come incantato. Mila solleva il maglione dalle spalle
di Felicia. «Adesso vai, tesoro», bisbiglia, facendo un cenno con la testa
verso il treno. Felicia si alza goffamente e solleva lo sguardo verso di lei,
come per implorarla di non chiederle questo. Mila si accovaccia e preme
fugacemente le labbra alla fronte della bimba. Rialzandosi, si sorregge alla vanga.
Non sente più le gambe. Questo istante sembra sbagliato sotto ogni aspetto. Fa
per dire qualcosa, perché ogni fibra del suo esser madre le sta artigliando la
gola supplicandola di ripensarci, ma non ci riesce. Non ci sono alternative.
Questo piano è l’unico che ha. «Vai! Svelta!» Felicia si volta verso il treno,
ma poi la guarda da sopra una spalla. Mila annuisce di nuovo. «Forza!»
bisbiglia. Mentre Felicia corre, Mila tenta di riprendere a scavare, ma non
riesce a muovere nessun muscolo al di sotto del collo e non può fare altro che
guardare, senza fiato, la scena orchestrata da lei svolgersi al rallentatore
davanti ai suoi occhi. Per pochi interminabili secondi, pare che nessuno si
accorga della trottolina che sfreccia lungo il campo. Felicia è a un terzo
della distanza tra la buca e il treno, quando un ucraino la nota e la indica.
Gli altri alzano lo sguardo, uno grida un ordine che Mila non afferra, poi
punta il fucile. D’un tratto, ogni paio d’occhi è inchiodato alla piccola
figura che corre sollevando le ginocchia, agitata e confusa, con l’aria di
poter crollare da un momento all’altro. «Mamusiu!» Il grido di Felicia lacera
l’aria sottile, acuto e disperato. È quello che voleva Mila, eppure le strazia
il cuore sentire sua figlia chiamare «mammina» la giovane bionda. Il suo
sguardo salta da Felicia al tedesco e all’ucraino col fucile puntato in attesa
di un cenno di assenso. «Mamo! Mamo!» piange Felicia tra un respiro e l’altro,
avvicinandosi al binario. Il tedesco la guarda e scuote la testa, come se non
sapesse che cosa pensare. La biondina osserva Felicia, poi punta lo sguardo
verso il campo. È confusa anche lei. Gli ucraini di ronda girano la testa da
una parte all’altra, scrutando le due file di ebrei per tentare di capire da
dove arrivi quella bambina. Non azzardatevi a indicare me, pensa Mila,
ringraziando il cielo di non avere ancora cominciato a scavare la seconda buca,
quella per sua figlia. Nessuno si muove. Dopo pochi altri lentissimi secondi,
Felicia raggiunge il treno e le sue grida si dissolvono nell’aria mentre serra
le braccia intorno alle gambe della bella biondina, seppellendo il viso nel suo
cappotto. Mila sa che dovrebbe riprendere a vangare, ma non riesce a staccare
gli occhi dalla giovane donna che si china a scrutare la trottolina avvinghiata
alle sue gambe. Poi la biondina rialza lo sguardo e lo punta nella direzione di
Mila, che mima con le labbra le parole: Ti prego, ti prego, ti prego. Prendila.
Prendila in braccio, ti prego. Passa un secondo, poi due. Finalmente la giovane
si china e prende in braccio Felicia, le dice qualcosa che Mila non coglie, poi
le posa una mano sulla nuca e le bacia una guancia. Gli ucraini si scambiano
qualche occhiata, poi abbaiano agli ebrei di rimettersi al lavoro. Mila espira,
abbassa gli occhi e si fa forza. Tutto bene, adesso posso anche respirare.
Quando rialza lo sguardo, vede che Felicia si è aggrappata al collo della
giovane e le ha posato la testa su una spalla, col torace che si alza e si
abbassa per lo sforzo della corsa.
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