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Lunario dei Giorni di Memoria


Trentaseiesima settimana

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Noi, i salvati

Georgia Hunter

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Mila parla piano per non farsi sentire dagli altri: «Guarda dove guardo io, tesoro. La vedi quella signora laggiù, accanto al treno?» Felicia segue lo sguardo di sua madre e annuisce. Mila ha il fiato corto. Sta tremando. C’è poco da recriminare. Sono stata io a trascinare mia figlia in questa situazione. Il minimo che possa fare è provare a tirarla fuori dai guai. Fingendo di sfilare una pietruzza da una scarpa, s’inginocchia per un istante, in modo che Felicia possa guardarla negli occhi, poi le dice lentamente: «Voglio che tu corra da lei e faccia finta che sia la tua mamma». Felicia aggrotta le sopracciglia. È confusa. «Appena la raggiungi, abbracciala», riprende Mila. «E non mollarla più.» «No, mamusiu...» Mila posa un dito sulle labbra della figlia. «È tutto a posto, starai benissimo. Obbedisci e basta.» Felicia ha le lacrime agli occhi. «Mamusiu, vieni anche tu?» La sua voce è appena udibile. «Adesso no, tesoro. Ora devo fare da sola. Hai capito?» Felicia annuisce e abbassa lo sguardo. Mila le prende il mento e glielo solleva per guardarla nuovamente negli occhi. «W porządku?» «W porządku», mormora Felicia. Mila riesce a malapena a respirare: la tristezza negli occhi di sua figlia e il piano che sta per dipanarsi le danno un’oppressione al petto. Con tutto il coraggio che riesce a racimolare, annuisce. «Se i soldati ti fanno domande, tu rispondi che quella signora è twoja mamusia, d’accordo?» «Moja mamusia», ripete Felicia, anche se quelle parole hanno un sapore strano, sbagliato, come qualcosa di tossico. Mila si rialza e guarda di nuovo verso il treno. Pare che la biondina stia raccontando una storia. Il tedesco è come incantato. Mila solleva il maglione dalle spalle di Felicia. «Adesso vai, tesoro», bisbiglia, facendo un cenno con la testa verso il treno. Felicia si alza goffamente e solleva lo sguardo verso di lei, come per implorarla di non chiederle questo. Mila si accovaccia e preme fugacemente le labbra alla fronte della bimba. Rialzandosi, si sorregge alla vanga. Non sente più le gambe. Questo istante sembra sbagliato sotto ogni aspetto. Fa per dire qualcosa, perché ogni fibra del suo esser madre le sta artigliando la gola supplicandola di ripensarci, ma non ci riesce. Non ci sono alternative. Questo piano è l’unico che ha. «Vai! Svelta!» Felicia si volta verso il treno, ma poi la guarda da sopra una spalla. Mila annuisce di nuovo. «Forza!» bisbiglia. Mentre Felicia corre, Mila tenta di riprendere a scavare, ma non riesce a muovere nessun muscolo al di sotto del collo e non può fare altro che guardare, senza fiato, la scena orchestrata da lei svolgersi al rallentatore davanti ai suoi occhi. Per pochi interminabili secondi, pare che nessuno si accorga della trottolina che sfreccia lungo il campo. Felicia è a un terzo della distanza tra la buca e il treno, quando un ucraino la nota e la indica. Gli altri alzano lo sguardo, uno grida un ordine che Mila non afferra, poi punta il fucile. D’un tratto, ogni paio d’occhi è inchiodato alla piccola figura che corre sollevando le ginocchia, agitata e confusa, con l’aria di poter crollare da un momento all’altro. «Mamusiu!» Il grido di Felicia lacera l’aria sottile, acuto e disperato. È quello che voleva Mila, eppure le strazia il cuore sentire sua figlia chiamare «mammina» la giovane bionda. Il suo sguardo salta da Felicia al tedesco e all’ucraino col fucile puntato in attesa di un cenno di assenso. «Mamo! Mamo!» piange Felicia tra un respiro e l’altro, avvicinandosi al binario. Il tedesco la guarda e scuote la testa, come se non sapesse che cosa pensare. La biondina osserva Felicia, poi punta lo sguardo verso il campo. È confusa anche lei. Gli ucraini di ronda girano la testa da una parte all’altra, scrutando le due file di ebrei per tentare di capire da dove arrivi quella bambina. Non azzardatevi a indicare me, pensa Mila, ringraziando il cielo di non avere ancora cominciato a scavare la seconda buca, quella per sua figlia. Nessuno si muove. Dopo pochi altri lentissimi secondi, Felicia raggiunge il treno e le sue grida si dissolvono nell’aria mentre serra le braccia intorno alle gambe della bella biondina, seppellendo il viso nel suo cappotto. Mila sa che dovrebbe riprendere a vangare, ma non riesce a staccare gli occhi dalla giovane donna che si china a scrutare la trottolina avvinghiata alle sue gambe. Poi la biondina rialza lo sguardo e lo punta nella direzione di Mila, che mima con le labbra le parole: Ti prego, ti prego, ti prego. Prendila. Prendila in braccio, ti prego. Passa un secondo, poi due. Finalmente la giovane si china e prende in braccio Felicia, le dice qualcosa che Mila non coglie, poi le posa una mano sulla nuca e le bacia una guancia. Gli ucraini si scambiano qualche occhiata, poi abbaiano agli ebrei di rimettersi al lavoro. Mila espira, abbassa gli occhi e si fa forza. Tutto bene, adesso posso anche respirare. Quando rialza lo sguardo, vede che Felicia si è aggrappata al collo della giovane e le ha posato la testa su una spalla, col torace che si alza e si abbassa per lo sforzo della corsa.

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