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Lunario dei Giorni di Memoria


Ventunesima settimana

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Quanta stella c'è nel cielo

Edith Bruck

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L’oscurità precoce stava già avvolgendo lo scompartimento stipato sia sulle invidiate panche sia tra i posti in piedi quando, come un dono inatteso, una sveglia alla vita, risuonò il pianto di un bambino invisibile e da sotto il cappottone di una giovane donna seduta sbucarono un fagottino imbacuccato e un capezzolo nero nero che gli chiuse la bocca subito. Sorrisi con una dolcezza tenera mentre una figura, piuttosto alta, di spalle, con un colbacco di lana sulla testa si mise a brontolare in yiddish: «Fare figli… Mettere al mondo figli… È cosa da scimuniti». «Qui ce n’è uno, uno per un milione annientati! Ringrazia Iddio se credi ancora», alzò la voce e il dito una donna energica, aggiungendo trionfante che c’era un’altra vita nella sua pancia. «Dobbiamo o no sostituire quegli innocenti?» Guardò di traverso l’uomo col colbacco, che in tono di preghiera monotona disse: «I miei due figli non saranno mai sostituiti perché ho perso anche mia moglie». «E risposati!» quasi gli ordinò la donna battagliera, e la discussione probabilmente sarebbe sfociata in lite se un altro viaggiatore non avesse detto qualcosa in slovacco contro gli ebrei con una smorfia sotto i baffi. Seguì un silenzio fitto, palpabile, impotente, senza alcuna parola o azione; solo sguardi torvi e l’uomo baffuto dalle guance rosse, di alcol probabilmente, a furia di gomitate si mise al riparo tra la sua gente, allontanandosi da coloro che credeva ebrei o erano ebrei. «Cos’ha detto?» chiesi a Eli. «La parola “ebrei” l’ho capita, da noi venivano molte donne slovacche a lavorare la canapa», gli spiegai e volli sapere seriamente l’ingiuria, chissà perché inghiottita da tutti. «Non importa, lascia dire.» «Se si lascia dire e si lascia fare finiremo di nuovo ad Auschwitz!» protestò la donna incinta, che capiva l’ungherese e aveva mille orecchie se era riuscita a sentire il mio tono basso. «Se non alziamo la testa, la voce, e se serve anche le braccia armate, continueranno a pestarci. Basta! Basta. Il mio prossimo figlio nascerà in Terra Promessa!» dichiarò. «E lo ammazzeranno gli arabi!» sfuggì dalla bocca dell’uomo con il colbacco, e come una leonessa la donna lo scosse per il bavero urlando: «Cosa hai detto, cosa hai detto? Disgraziato! Corvo. Morto!». «È un pazzo…» «Fa pena.» «Morditi la lingua.» Sotto la raffica di insulti il pover’uomo s’era ritratto in sé sempre di più, diventando perfino più piccolo.

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