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Lunario dei Giorni di Memoria


Seconda settimana

scialle


La lente focale

Otto Rosemberg

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Un giorno poi arrivarono al campo due esperti di igiene razziale, il dottor Ritter e la sua assistente Eva Justin5. Andarono in ogni baracca e in ogni carrozzone che c’era nel lager a interrogare la gente. Non dimenticarono proprio nessuno. In cambio del disturbo ognuno ricevette un bel pacco di caffè: “Bene, adesso si faccia un bel caffè!” Vollero sapere tutto, da dove venivamo, chi erano i nostri genitori, chi i nostri nonni e così via. La maggior parte delle persone rispondeva, però ce n’erano pure alcune che non ricordavano tutto, gli anziani ad esempio. Mi ricordo ancora la fine che fecero fare a uno di loro. Si trattava di una vecchia, avrà avuto un’ottantina d’anni, ma era ancora una donnona, alta e robusta. Bene, non so perché, in ogni modo, la presero e le rasarono i capelli. Fu una scena terribile. Forse non aveva detto la verità o non aveva risposto esattamente alle domande di Justin e del dottor Ritter, fatto sta che scappò e si nascose lungo il Falkenberger Weg. Purtroppo però la scovarono, con l’aiuto della polizia chiaramente, e le tagliarono tutti i capelli. E tutto questo a una donna di ottant’anni! Alla fine sembrava un porcospino con quei due peli sulla testa! Ma non è tutto, perché poi la costrinsero a star ferma mentre le versavano dell’acqua gelida addosso, e mi ricordo che in quel periodo faceva già molto freddo. Morì nel giro di tre giorni. Questo è il genere di cose che hanno fatto! Io non ho assistito al fatto, però ho visto la donna morta, ho visto i suoi capelli bianchi o meglio la sua testa rasata. L’hanno sotterrata nel cimitero di Marzahn, in una specie di cassa di latta, neanche in una bara. Alcune tombe di sinti o rom morti in quel periodo ci sono ancora al cimitero, anche quella della piccola Jenny. Molte invece sono state ricoperte, al loro posto noi sinti ci abbiamo messo le nostre lapidi, ed è qui che ci incontriamo ogni seconda domenica di giugno. Eva Justin e il dottor Ritter non risparmiarono neanche la mia famiglia: “Quando? Dove? Dove? Dove?” Noi quello che sapevamo l’abbiamo detto. Fecero controlli dappertutto, anche a scuola. Mi ricordo che in quell’occasione Eva Justin disse: “Vorrei che Otto dopo la scuola venisse da me all’istituto di antropologia”. E io ci andai. “Allora, siediti. Oh, guarda qui quante perle che ci sono, dai, prendile!” Davanti a me c’era un pezzo di fil di ferro, a cui era attaccato un filo. “Allora prova a fare una collana.” Infilai alcune perle sul filo. “Fammi vedere! Ma che bello!” Lei annotò tutto. Poi mi diede un gioco d’abilità, una tavoletta con dei buchi tra cui dovevo riuscire a far passare una biglia, mi mostrò anche dei disegni: bambini che vanno via, vetro rotto, uomo che esce e acchiappa uno. Me lo ricordo ancora. Dovevo dire quello che vedevo. E l’ho fatto.

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