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Lunario dei Giorni di Memoria


Diciassettesima settimana

rukeli

Cronache del ghetto

Adolf Rudnicki

(…) Il poeta fu trasportato in casa dei Fast, al pianterreno, e adagiato sul pavimento dell'anticamera, sopra un esiguo strato di paglia; in quella casa, tutto faceva capo invariabilmente a Fast, ingegnere chimico, il quale nello shop cuciva bottoni alle giacche. Capelli neri come la pece, labbruzze infantili, pancia di un volume inverosimile. Nella  grande  caldaia  aveva  perso la moglie, simpatica, giovane e graziosa. In breve tempo era riuscito a  indurre   un'amica   della   moglie, anch'essa simpatica, giovane e graziosa, una vedova reduce dalla grande caldaia, a convivere con lui. D'indole straordinariamente socievole, gli era stato facile comu­nicare la sua innata socievolezza alla prima e alla seconda moglie, sicché dai Fast ognuno si sentiva come in casa propria.

 Le spoglie mortali di Aleksander, deposte lì, furono coperte con un lenzuolo. Accanto ad esse, la nuova signora Fast faceva le valigie, si preparava a scendere in rifugio. Quasi dappertutto, la gente era pronta a trasferirsi nelle cantine. Si erano diffuse notizie dì nuovi combattimenti nel quartiere, la lotta armata poteva estendersi da un momento all'altro, non c'era tempo per commuoversi. Jozef si stupì che in un simile frangente, quando ogni minuto era  prezioso,  poiché  ogni istante poteva imprimere inattesi sviluppi, l'ingegnere  volesse  dare sepoltura ad  Aleksander secondo i precetti del rito e chiedesse a tutti istruzioni sul da farsi, cercasse qualcuno in grado di recitare le orazioni funebri e non intendesse occuparsi d'altro sinché non fossero state soddisfatte le esigenze della liturgia. Ma ancora più sorprendenti erano i membri dell’organizzazione militare ed in particolare Henoch, un bel ragazzo agile  che suscitava  l'ammirazione generale,  il quale,  invece di dissuadere l'ingegnere da quel proponimento, si era messo a disposizione e si faceva in quattro per attuarlo. Solo allora Jozef ebbe modo di valutare appieno l'intensità dell'affetto che univa l'ingegnere al poeta. Osservando l’ingegnere, la sua testa, gli occhi, le labbra, il torace che con la sua poderosa mole pareva dovesse schiantargli la giacca, lo si sarebbe detto refrattario a sentimenti così delicati. Chino sulla salma, non l’abbandonava nemmeno per un attimo. Si alzò soltanto quando Jozef ed Enoch gli si accostarono e gli toccarono una spalla, per informarlo che tutto era pronto.

Avvolsero il defunto nel lenzuolo, lo deposero sul piano di una tavola, lo coprirono e lo portarono nel cortile, ove alcuni ragazzi con cui Aleksander aveva trascorso gli ultimi suoi giorni stavano scavando la fossa. Con cautela, il volto oscurato dall'angoscia, ne calarono il corpo entro la terra. Come ebbe toccato il fondo, ritto sul margine della tomba con il volto soffuso di sublime dolcezza, Henoch cominciò a parlare. Il suo discorso si ridusse ad un'unica frase poiché gli mancò la forza di pronunziarne altre.  Ritto sulla tomba e  senza   parola, il viso sconvolto dal dolore, lo sguardo fisso, la bocca e gli occhi ardenti e muti. Una dozzina di persone rimasero in attesa nell'angusto cortile, ma Henoch non riuscì a profferir parola. Prolungandosi il silenzio, un vecchio dagli occhi azzurri come iniettati di sangue e dalla barbetta, rada, rossiccia, insidiata dalla canizie, prese a recitare le orazioni funebri. Alle sue parole stridule, incomprensibili, la testa dell'ingegnere cominciò ad oscillare come una pentola appesa a una pertica. Le donne gemevano, in lacrime, i ragazzi guardavano la tomba ad occhi asciutti, accesi. Al termine delle orazioni del vecchio, i ragazzi gettarono le prime palate. Per qualche secondo si udirono soltanto i colpi sordi della terra battuta, uniti ai singhiozzi delle donne che rendevano  ancor più profondo il silenzio degli uomini.

  La vita è stata un fiasco... Quella poesia di Topaz assillò Jozef per tutta la durata della cerimonia funebre:

Riposeranno i fratelli prigionieri

Nel campo, sotto la candida coltre nevosa

La vita è un fiasco, signori,

Per chi sta avvolto nel manto sabbioso.

 

E la piccola folla si diradò, pian piano.

(...)




















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