A5405 Nedo Fiano
(...) Era piena di stelle la
notte del nostro arrivo nel mare oscuro di Birkenau. Stavamo entrando in un
luogo non ben definibile per il buio intenso della notte, ma percepivamo una
nuova dimensione. Nei vagoni bestiame, dove eravamo stati rinchiusi per sette
giorni e sette notti, eravamo posseduti da una grande paura. Malgrado il fetore
prodotto dai rifiuti e dal cadavere che giaceva accanto a noi da cinque giorni,
sporchi perché non ci eravamo mai lavati per tutto il viaggio, percepimmo che
eravamo giunti alla stazione finale. Avevamo visto da una feritoia una fiamma
gialla e sinuosa uscire da un’alta ciminiera. La più parte di noi pensò che
si trattasse di un edificio industriale. Eravamo lontani una galassia
dall’immaginare la verità. Dopo una notte insonne, piena di domande e
congetture, alle prime luci dell’alba udimmo gridare: «Alle aussteigen! Los!
Los! Bewegung!». I vagoni vennero aperti e le SS ai piedi del nostro convoglio
continuavano a gridare, tenendo i cani al guinzaglio e minacciando con i
bastoni che talvolta colpivano chi tardava a scendere. In verità non eravamo
terrorizzati, perché ancora drammaticamente ignari di quello che sarebbe stato
di noi. Gli ufficiali e i sottufficiali SS sulla Rampa non erano violenti. A
parte i loro ordini malamente gridati, solo i Posten (le sentinelle) e i Kapos
cercavano di mettere ordine in mezzo alle centinaia di persone che urlavano e
piangevano con grande disperazione… Non eravamo ancora giunti ai trattamenti
disumani che avremmo visto e vissuto nel breve volgere di qualche ora. Non era
ancora percepibile, immaginabile tutto quello che sarebbe accaduto
nell’immediato, perché la gassazione e la cremazione di un’elevatissima
percentuale di noi non avevano precedenti nella storia dell’umanità. La
convinzione più condivisa era che saremmo stati internati in un campo di
lavoro, magari duro, ma la sopravvivenza non era in discussione. Io saltai giù
dal vagone e poi, guardando il convoglio, vidi che la gente non scendeva, ma
era letteralmente vomitata dai vagoni come sabbia, sassi o materiale da
costruzione, senza curarsi di farsi male. Il mio ricordo è purtroppo in bianco
e nero, senza colori; resta viva peraltro una visione apocalittica di persone,
pacchi, valigie, grida, pianti, latrati dei cani, urla delle SS. La gente
gridava, cercava i propri congiunti, i bambini chiamavano i loro genitori, gli
anziani non riuscivano a saltare giù dai vagoni, così come ordinavano
minacciose le SS con i cani che abbaiavano senza sosta. Insomma, dove eravamo?
Cosa ci avrebbero fatto? Divisero gli uomini dalle donne («Männer links und
Frauen rechts!») provocando strazianti divisioni delle famiglie. Non riuscivo a
connettere bene i fatti coi pensieri: i registi avevano organizzato queste
scene col proposito, riuscito, di neutralizzare qualsiasi possibile reazione da
parte dei deportati. Mentre mi interrogavo, smarrito e pieno di stanchezza,
mamma mi tirò per la giacca e mi gridò: «Nedo, abbracciami! Non ci vedremo
mai più!». Fu il momento più drammatico della mia esperienza di deportato.
Indimenticabile. L’abbracciai con tutta la mia forza e, baciandola, sentii le
lacrime che ricoprivano il suo volto, come se fosse uscita da una doccia. Sento
ancora tutta la forza di quell’addio e vedo mamma con gli occhi dilatati dalla
paura. Aveva capito tutto! Poi si allontanò nella colonna delle donne e la
persi di vista per sempre! Mamma andava a morire… Io e papà superammo la prima
selezione sulla Rampa della morte e insieme entrammo nel campo. dopo la doccia,
la rasatura di tutto il corpo, il tatuaggio del numero di matricola
sull’avambraccio sinistro, gli zoccoli, entrammo nella quarantena con la
casacca a strisce dei deportati. Mamma, nel frattempo, come la più gran parte
del nostro trasporto, era già stata gassata e poi cremata. del suo corpo,
ormai dissolto nell’inceneritore, rimase soltanto un cumulo di cenere, come
quello residuo della legna arsa nel caminetto, che sarebbe stato scaricato
l’indomani nella Vistola o nella Sola. Stanotte, all’arrivo, ero ancora un
uomo. Ora ero soltanto un Häftling, un prigioniero, un mezzo uomo, condannato
a una morte precoce, privato di ogni diritto, un pezzo di legno da ardere prima
o poi. Da quel Lager si usciva soltanto Durch den Kamin, attraverso il camino.
domani, forse, sarei stato ancora qui, allineato in attesa della conta,
divorato dalla paura di morire. Chissà? |