Sonderkommando Auschwitz
Shlomo Venezia
(...)
Il contatto con i morti è
stato immediato. I deportati di un convoglio precedente erano stati gasati e
gli uomini ni del Sonderkommando stavano già portando i cadaveri fuori dalla
camera a gas. Li mettevano in una specie di atrio prima di portarli su, ai forni
crematori; lì, dovevo tagliare i capelli dei morti. Eravamo in tre o in quattro
a fare questo lavoro. Poi due «dentisti» estraevano i denti d'oro delle vittime
e li mettevano in una cassetta speciale le a cui nessuno poteva avvicinarsi.
Uno dei due era il mio amico Léon Cohen, che aveva detto di essere dentista.
sta. Gli diedero una pinza da dentista e uno specchietto per guardare
all'interno della bocca. Mi ricordo che quando intese cosa doveva fare quasi
svenne. All'inizio, con i primi cadaveri, andava veloce, apriva la bocca e
levava vava i denti d'oro. Mano a mano che andava avanti diventava ventava più
difficile; i cadaveri avevano avuto il tempo di indurirsi e bisognava forzare
per aprire le mandibole. In questa prima occasione non ero tra quelli che
dovevano no portare i cadaveri fuori dalla camera a gas, sebbene in seguito mi
sia capitato spesso di doverlo fare. Chi era destinato stinato a tale compito
cominciava tirando i cadaveri per le mani, ma nel giro di qualche minuto le
mani si sporcavano cavano e diventavano scivolose. Per evitare di toccare i
corpi, qualcuno provava a usare un pezzetto di tessuto che però si sporcava e
si bagnava subito. Bisognava arrangiarsi. rangiarsi. Alcuni cercavano di
spostare i corpi con una cintura, anche se ciò rendeva il lavoro ancora più
difficile le perché bisognava aprire e chiudere la cintura. Alla fin fine la
cosa più semplice era usare un bastone e tirare il corpo da sotto la nuca. Si
vede bene in un disegno di David Olère. " Con tutte le persone anziane
mandate a morire, non ci mancavano certo i bastoni. Ci evitavano, almeno, di
dover tirare i cadaveri per le mani. Era molto importante per noi, non perché si
trattasse di cadaveri... quanto perché la loro morte era stata tutto tranne che
una morte dolce. Era una morte immonda, sporca. Una morte forzata, difficile e
differente per ognuno di loro. Non l'avevo mai raccontato fino a ora. È talmente
opprimente e triste che ho difficoltà a parlare di ciò che ho visto nelle
camere a gas. Trovavamo persone con gli occhi fuori dalle orbite a causa della
reazione dell'organismo. Altri sanguinavano dappertutto, o si erano sporcati
coi propri escrementi o con quelli altrui. Per effetto della paura e del gas
spesso le vittime evacuavano tutto quello che avevano in corpo. Alcuni corpi
erano completamente rossi, altri pallidissimi, mi, ognuno reagiva diversamente,
ma tutti soffrivano durante la morte. Li trovavamo aggrappati gli uni agli
altri, ognuno alla ricerca disperata di un po' d'aria. Il gas, buttato a terra,
sviluppava degli acidi dal basso; tutti cercavano di raggiungere giungere
l'aria, anche se dovevano salire gli uni sugli altri fino a quando anche
l'ultimo moriva. Non ne sono sicuro ro ma penso che molti cessassero di vivere
prima che il gas venisse gettato. Erano talmente pigiati tra loro che i più
piccoli, i più deboli, venivano immancabilmente soffocati. Sotto la pressione,
l'angoscia, si diventa egoisti e non si pensa che a una cosa sola: salvarsi.
Questo è l'effetto del gas. La scena che ci si presentava aprendo la porta era
atroce, impossibile farsene un'idea. (...)
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