Alla fine di ogni cosa Mauro Garofalo
(...) Lo
zingaro si era cosparso di farina. Johann avanzava verso il quadrato
tra gli sguardi attoniti della gente di Berlino. Le bocche spalancate
e, contemporaneamente, rapite dall’apparizione. Zirzow una statua di
ghiaccio. Weil, sotto il ring, avvertì un brivido. La schiena che
tornava dritta. La stessa posizione che serviva agli uomini per essere
ciò che dovevano. In alto, i gerarchi nazisti rigonfi di un odio
turbato. E Johann che arrivava sotto il ring, e saliva sul quadrato
senza saltare. Aveva allargato le corde. Ci era passato attraverso. In piedi, nel vuoto colmo di attesa dell’arena muta, aveva guardato tutte quelle facce, una a una. Volti di peccatori, che non sapevano ancora cosa avrebbero lasciato fare. Li perdonò. Uno a uno. Mentre dall’alto, la belva nera cominciava a ringhiare feroce all’indirizzo dei nuovi, stupidi, martiri. Senza paura, Johann fissò il volto della bestia annidata dietro la Germania di Hitler. E, guardandola dritta negli occhi, non poté fare altro che annuire. Una liturgia di assoluzione. Il pugile, l’icona laica di un angelo senza ali. Eder gli si avvicinò cattivo: «Ti sei messo la cipria, pagliaccio?» Non rispose. Dopo qualche altro attimo di silenzio, il pubblico ricominciò a respirare. I giornalisti a bordo ring erano eccitati, avevano il titolo per il giorno dopo, la storia.
Quel pugile zingaro era pazzo, avevano dato un occhio su in alto sugli
spalti dove i nazisti, prima agitati, ora stavano disponendosi a
maglia, i mitra in linea con il quadrato. I volti dei gerarchi rigidi,
così come quelli dei ministeriali e delle loro mogli. I flash dei
fotografi che continuavano a scattare, bagliori nell’arena, scintille
di fine anno, nel buio immanente. «Signore e signori», la voce dello
speaker aveva rotto l’incantesimo: «All’angolo destro, con il peso di
centoquarantasei libbre, quest’anno quattro incontri, tre vittorie per
K.O.: Gustav Eder!» La folla che applaudiva, sopra soldati con le armi
pronte. «All’angolo sinistro, centocinquantotto libbre...» A questo
punto, lo speaker si era bloccato, aveva alzato la testa verso Radamm,
che aveva annuito, lo sguardo magnanimo: «Gipsy Trollmann». Zirzow
guardò il suo pugile, il campione completamente coperto di farina. I
capelli gialli impomatati pettinati con la riga di lato. Le scapole, i
fasci muscolari laterali. I pantaloncini che poggiavano sul coccige,
l’elastico perfettamente teso sulla linea della vita, le gambe radicate
a terra. Weil, gli occhi su Trollmann. Un sorriso e uno scrollare di
capo: «Testardo di uno zingaro». Quindi, aveva riposto la fiaschetta di
whisky e preso di nuovo in mano il suo taccuino. C’erano cose per cui
valeva la pena: «Tanto neanche mi piaceva più fare il giornalista!»
Rise di sé, e iniziò a buttare giù l’attacco per il suo ultimo pezzo. (...) |