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Lunario dei Giorni di Memoria


Decima settimana

rukeli


Razza di zingaro

Dario Fo

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«Ah sì? E allora andiamo a vedere a che punto sono!» Due a due gli allievi salgono sul ring. Fanno tutti sul serio, si impegnano come fossero a un campionato nazionale. In molti finiscono per terra, si rialzano e buttano giù gli avversari. Tocca anche a Johann, che appena sale sul quadrato comincia a muovere le braccia e il corpo come un forsennato. «Ehi!» urla il maestro. «Calma! Ogni round dura tre minuti, non due secondi!» Ma Johann ha un gran fiato, e si dimostra agile e determinato come non mai. «Complimenti!» esclama il maestro verso il suo sostituto. «Questo da dove l’hai tirato fuori?» «Da nessuna parte, era già qui.» «Accidenti! Andate avanti voi due, come se foste a un incontro vero!» Johann rotea su se stesso e ricomincia ad attaccare. Poi si chiude in difesa e attacca improvvisamente. Il suo avversario finisce a terra, e a fatica si rialza. Il maestro ordina: «Riposati, e tu – indica un altro ragazzo più grande – vieni qua, dagli il cambio». Il nuovo avversario di Johann è di almeno cinquanta centimetri più alto, ma boxa con impaccio. Il suo antagonista cambia di posizione a un ritmo inatteso, e quindi attacca con un sinistro-destro-sinistro rapidissimo. L’altro barcolla e si ritira verso le corde. Il maestro li ferma: «Stop così, grazie. Riposatevi, noi andiamo a bere un caffè».

Così dicendo prende sottobraccio il collega che l’aveva sostituito e insieme salgono al piano superiore, dove c’è il bar. Il maestro appena tornato è rimasto sorpreso nell’assistere a quella breve prova di Johann sul ring. «Come può un ragazzino di otto anni, dopo soli dieci giorni di allenamento, dimostrare tante qualità tutte insieme?» «È quello che mi sono chiesto anch’io. Ti assicuro che gli unici insegnamenti che gli ho dato in questi giorni sono quelli convenzionali: l’impostazione, qualche mossa per scansare appena il contendente, doppiare i colpi finché l’avversario ti resta a tiro e girare intorno a chi t’aggredisce.» «Ma, scusami, avrai notato anche tu che questo ragazzo mette in campo una tecnica di boxe completamente fuori norma. Da chi l’ha imparata?» «Me lo sono chiesto anch’io quando l’ho visto buttare a terra un suo compagno con un’esperienza da pugile quasi professionale.»

A questo punto anche il cameriere, che sta portando il caffè, interviene: «Scusate se mi intrometto. Stavate parlando del piccolo Trollmann, vero?». «Sì, stavamo parlando delle sue doti naturali da pugile.» «Già. Ieri mi sono fermato un attimo a osservarlo mentre stava sul ring, e devo dire che questo Johann si muove come se avesse frequentato una scuola dal primo giorno che è uscito dal grembo di sua madre.» Il primo maestro allora chiede al cameriere: «Lo conosci bene tu quel ragazzo?». «Sì, abita vicino a casa mia.» «Ti sei informato se per caso ha frequentato qualche palestra di arti marziali? Che so, quella boxe dove i contendenti si prendono pure a calci...» L’altro maestro replica: «Ah, sì, l’ho vista praticare una volta a Parigi, durante una manifestazione di gente del Siam». Il cameriere continua: «A ogni modo, l’altro ieri, tornando a casa, ho fatto la strada con lui e un suo amico, e ho scoperto che questo Johann d’origine non è tedesco, è uno zingaro». «Come dire un sinti?» «Sì, un sinti, un gitano.» «Quelli suonano bene il violino – puntualizza il primo maestro – e riescono a ballare facendo andare su e giù l’archetto come giocolieri.» «Già, non è il nostro caso» commenta il secondo maestro. «Eh, no, è proprio il nostro caso!» «In che senso?» «Quel ragazzino muove le gambe e il busto proprio come i sinti quando ballano nelle loro feste!» «È vero! L’ho notato anch’io!» interviene il cameriere. «E adesso che mi viene in mente – dice il secondo maestro –, ho sentito dire che ogni tanto i sinti, durante gli eccezionali raduni delle loro comunità, si esibiscono in scontri che assomigliano a quelli della gente del Siam, ma non per buttarsi giù l’un l’altro, solo per scaricarsi di dosso la rabbia e il rancore. Insomma, fingono di darsele di santa ragione, ma non si toccano quasi mai, come in una danza.» (...)




















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