Dubrovskij
Aleksandr Sergeevič Puškin
Il giovanotto cominciò a parlare in francese col viaggiatore.
«Dove andate?» gli domandò.
«Nella città vicina» rispose il francese; «di là andrò da un possidente, che mi
ha assunto come maestro senz’avermi veduto. Credevo di poter essere a
destinazione oggi stesso, ma il signor mastro pare che abbia stabilito
diversamente. In questa terra è difficile procurarsi dei cavalli, signor
ufficiale.»
«E da quale dei possidenti locali vi siete impiegato?» domandò l’ufficiale.
«Dal signor Trojekurov,» rispose il francese.
«Da Trojekurov? Chi è codesto Trojekurov?»
«Ma foi, monsieur, ne ho sentito dir poco bene. Raccontano ch’è un signore
superbo e capriccioso, crudele nel modo di trattare la gente di casa sua, che
nessuno può affiatarsi con lui, che tutti tremano a sentire il suo nome, che
coi maestri (avec les outchitels) non fa complimenti e ne ha già frustati due a
morte.»
«Scusate tanto: e voi avete il coraggio d’impiegarvi da un mostro simile?»
«Ma che fare, signor ufficiale? Egli mi offre un buon stipendio, tremila rubli
all’anno, e il mantenimento. Può essere ch’io sia piú fortunato degli altri. Ho
una vecchia madre: metà dello stipendio lo manderò a lei per il suo
sostentamento; coi denari che restano in cinque anni posso accumulare un
piccolo capitale sufficiente per la mia futura indipendenza; allora bonsoir,
vado a Parigi e mi do alle imprese commerciali.»
«C’è qualcuno che vi conosca in casa di Trojekurov?» egli domandò.
«Nessuno» rispose il maestro; «egli mi ha fatto venire da Mosca per mezzo di
uno dei suoi amici, che ha un cuoco mio connazionale, e lui mi ha raccomandato.
Dovete sapere ch’io mi preparavo non a fare il maestro, ma il pasticciere; ma
mi dissero che nella vostra terra la professione di maestro era
incomparabilmente piú redditizia.» (...)
«Ascoltate,» interruppe egli il francese «che direste se, invece di questo
futuro, vi offrissero diecimila rubli in contanti, alla condizione che tornaste
immediatamente a Parigi?»
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Kirila Petrovič aveva fatto venire da Mosca per il suo piccolo Saša un maestro
francese, il quale appunto era arrivato a Pokrovskoje (...).
Questo maestro andò a genio a Kirila Petrovič per il suo aspetto piacevole e
per i modi semplici. Egli presentò a Kirila Petrovič i suoi certificati e la
lettera di uno dei parenti di Trojekurov, dal quale era stato quattro anni come
precettore. Kirila Petrovič esaminò tutto questo e fu malcontento solo della
giovinezza del suo francese, non perché stimasse questo amabile difetto
incompatibile con la pazienza e con l’esperienza, cosí necessarie nella
disgraziata professione di maestro, ma aveva i suoi dubbi, che si decise a
spiegargli subito. Per questo egli fece chiamare presso di sé Maša (Kirila
Petrovič non parlava francese ed ella gli serviva da interprete).
«Avvicinati, Maša: di’ tu a questo musie che va bene, lo accetto, ma a patto
che non osi andar dietro alle mie ragazze, che se no, figlio d’un cane...
Traduciglielo, Maša.»
Maša arrossí e, rivolgendosi al maestro, gli disse in francese che suo padre
sperava nella modestia e nell’onesta condotta di lui.
Il francese le fece un inchino e rispose che sperava di meritare il rispetto,
anche se gli avessero ricusato la benevolenza.
Maša tradusse la sua risposta parola per parola.
«Bene, bene,» disse Kirila Petrovič «lui non ha bisogno né di benevolenza, né
di rispetto. Il suo compito è di star dietro a Saša e d’insegnargli la
grammatica e la geografia... traduciglielo.»
Marja Kirilovna nella sua traduzione addolcí le volgari espressioni del padre,
e Kirila Petrovič lasciò andare il suo francese nell’ala della casa dove gli
era destinata una stanza.
Maša non fece nessuna attenzione al giovane francese. Educata com’era in mezzo
ai pregiudizi aristocratici, un maestro per lei era una specie di servitore o
di artigiano, e un servitore o un artigiano non le sembrava un uomo. Non si
accorse neppure dell’impressione che aveva suscitata in monsieur Desforges, né
del suo turbamento, né del suo tremore, né della voce mutata. Per alcuni giorni
di seguito lo incontrò abbastanza spesso, senza degnarlo d’una grande
attenzione. In modo inaspettato ella venne ad avere di lui un’idea affatto
nuova.
Nel cortile di Kirila Petrovič erano allevati di solito alcuni orsacchiotti e
formavano uno dei divertimenti principali del proprietario di Pokrovskoje.
Nella loro prima giovinezza gli orsacchiotti erano accompagnati ogni giorno nel
salotto, dove Kirila Petrovič si perdeva con essi per ore intere, mettendoli
alle prese coi gatti e coi cagnolini. Cresciuti, erano messi a catena, nell’attesa
d’una vera caccia. A volte li conducevano dinanzi alle finestre della casa
padronale e spingevano verso di loro una botte da vino vuota, cosparsa di
chiodi; l’orso l’annusava, poi la toccava pian pianino, si pungeva le zampe,
arrabbiandosi la spingeva piú forte, e piú forte diventava il dolore. Esso
entrava in un vero furore, si gettava con un grido sulla botte, finché alla
povera bestia non toglievano l’oggetto della sua vana furia. Accadeva che a un
carro attaccassero una pariglia d’orsi, vi facessero salire per amore o per
forza gli ospiti, e li facessero galoppare dove Iddio li portava. Ma Kirila
Petrovič considerava come lo scherzo migliore il seguente.
Si soleva rinchiudere un orso affamato in una stanza vuota, legandolo con una
corda a un anello infisso nel muro. La corda aveva la lunghezza di quasi tutta
la stanza, sicché soltanto l’angolo opposto poteva essere sicuro da
un’aggressione della terribile bestia. Di solito conducevano il novizio verso
la porta di questa stanza, come per caso lo spingevan dentro dall’orso, l’uscio
veniva chiuso, e la povera vittima era lasciata a quattr’occhi col peloso
anacoreta. Il povero ospite, con una falda strappata, con una mano graffiata,
presto trovava l’angolo sicuro, ma a volte era costretto a star tre ore intere
stretto al muro, e a vedere come a due passi da lui la bestia infuriata
saltava, s’alzava sulle zampe, gridava, voleva liberarsi e si sforzava di
raggiungerlo. Tali erano i nobili divertimenti d’un signore russo! Qualche
giorno dopo l’arrivo del maestro, Trojekurov si ricordò di lui e gli venne
l’idea di offrirgli la stanza dell’orso. Per questo, chiamatolo una volta al
mattino, lo guidò per dei corridoi scuri; a un tratto una porta laterale si
aperse: due servitori vi spingono dentro il francese e la chiudono a chiave.
Riavutosi, il francese vide l’orso legato; la bestia cominciò ad annusare
fiutando il suo ospite, e a un tratto, levatosi sulle zampe posteriori, gli
andò addosso. Il francese non si perse d’animo, non si mise a correre e aspettò
l’aggressione. L’orso gli si avvicinò; Desforges trasse di tasca una piccola
pistola, la mise dentro l’orecchio della bestia affamata e sparò. L’orso
stramazzò. Tutti accorsero, la porta si aperse; Kirila Petrovič entrò,
stupefatto dall’inatteso scioglimento della sua burla.
Kirila Petrovič voleva assolutamente una spiegazione di tutto l’accaduto. Chi
aveva preavvertito Desforges dello scherzo preparato per lui, oppure perché
aveva in tasca una pistola carica? Egli mandò a chiamare Maša.
Maša accorse e tradusse al francese le domande del padre.
«Io non avevo sentito parlare dell’orso,» rispose Desforges «ma porto sempre
addosso delle pistole, perché non intendo tollerare un’offesa di cui, data la
mia condizione, non potrei chiedere soddisfazione.»
Maša lo guardò con stupore e tradusse le sue parole a Kirila Petrovič. Kirila
Petrovič non rispose nulla, ordinò che si portasse fuori l’orso e che gli si
togliesse la pelle; poi, rivolgendosi ai suoi servi, disse:
«Che giovane coraggioso, non s’è spaventato, com’è vero Dio, non s’è
spaventato.»
Ma questo caso produsse un’impressione ancora maggiore su Marja Kirilovna. La
sua immaginazione fu colpita: aveva veduto l’orso morto e Desforges che gli
stava sopra tranquillamente e tranquillamente discorreva con lei. Aveva veduto
che il coraggio e l’orgoglio superbo non appartenevano esclusivamente ad una
classe sola, e da allora in poi cominciò a dimostrare al giovane maestro un
rispetto, che diventava sempre piú riguardoso. Fra loro si stabilirono certi
rapporti. Maša aveva una bellissima voce e gran disposizione per la musica;
Desforges si offerse di farle lezione. Dopo di che al lettore non è difficile
ormai indovinare che Maša s’innamorò di lui, senza confessarselo ancora.
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