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Lunario dei giorni di scuola


Nona settimana

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Tom Sawyer

Mark Twain

(...) Quando Tom raggiunse la baracca, piccola e isolata, che fungeva da scuola, vi entrò speditamente, con l'aria di chi ci ha messo meno tempo che poteva. Attaccò il cappello a un piolo e
si gettò nel banco, alacre e solerte. Il maestro, troneggiante lassù nella sua poltrona sfondata, stava sonnecchiando, cullato dal maleodorante brusio della scolaresca. L'interruzione lo svegliò: "Thomas Sawyer!"
Tom sapeva che quando il suo nome veniva pronunciato per intero era segno di guai.
"Signore! Venga qui. Dunque, signore, perché lei è di nuovo in ritardo, come sempre?"
Tom stava per rifugiarsi in una bugia, quando vide due lunghe trecce di capelli biondi penzolanti su una schiena che, mosso dall'elettrica simpatia dell'amore, riconobbe subito; e vicino a quel banco c'era l'unico posto libero dalla parte delle bambine. Disse istantaneamente: "Mi sono fermato a parlare con Huckleberry Finn"!
Il cuore del maestro si fermò, e il suo sguardo confuso si perse nel vuoto. Il brusio della scolaresca s'interruppe; gli scolari si stavano chiedendo se quel temerario era uscito di senno.
Il maestro disse: "Lei... Lei ha fatto... Cosa"?
"Mi sono fermato a parlare con Huckleberry Finn".
Impossibile attribuire alle parole un diverso significato.
"Thomas Sawyer, questa è la confessione più sbalorditiva che mi sia mai capitato di sentire; non basterà la ferula a lavare quest'offesa. Si tolga la giacca."
Il braccio del maestro lavorò fino a stancarsi, e lo stock di bacchette si ridusse notevolmente. Poi seguì l'ordine: "E ora, signore, vada a sedersi tra le bambine! E questo le sia d'avvertimento".

(...)Il maestro, il signor Dobbins, aveva raggiunto la mezza età con un'ambizione insoddisfatta. Il più vivo dei suoi desideri era sempre stato quello di fare il medico, ma la miseria aveva decretato che non dovesse diventare nulla di più di un eminente maestro di scuola di campagna. Ogni giorno il signor Dobbins prendeva dalla cattedra un libro misterioso e, quando non doveva interrogare, ogni tanto si sprofondava nella lettura. Teneva questo libro chiuso a chiave.
Non c'era un solo bricconcello nella scuola che non morisse dalla voglia di dargli un'occhiata, ma l'occasione non si presentava mai. Ogni bambino, maschio o femmina che fosse, aveva una sua
teoria sulla natura di questo libro; ma non ce n'erano due che coincidessero, e sembrava impossibile arrivare ad accertare la verità dei fatti. Ora, passando davanti alla cattedra, che si trovava vicino alla porta, Becky notò la chiave nella toppa!
Era un'occasione unica. Si guardò intorno, scoprì di essere sola, e dopo un attimo aveva il libro in mano. Il frontespizio - l'Anatomia di un professor qualche cosa - non le disse nulla; allora Becky
cominciò a sfogliarlo. Arrivò subito a un'illustrazione, incisa e colorata con cura: una figura umana. In quel momento un'ombra
cadde sulla pagina, e Tom Sawyer entrò dalla porta e vide di sfuggita la figura. Becky afferrò il libro per chiuderlo, ed ebbe la sfortuna di strappare a metà, proprio in mezzo, la pagina con
l'illustrazione. Ficcò il volume nella cattedra, girò la chiave e scoppiò in lacrime di vergogna e di collera: "Tom Sawyer, non potresti essere più cattivo di così, ad avvicinarti a una persona di
nascosto per vedere cosa sta guardando."
"Come potevo sapere che stavi guardando qualcosa?"
"Tom Sawyer, dovresti vergognarti; sai benissimo che farai la spia; e, oh, come farò, come farò? Mi frusteranno, e non sono mai stata frustata a scuola."
Poi batté il piedino per terra e disse: "Sii pure cattivo quanto vuoi! Io so una cosa che succederà. Aspetta e vedrai! Ti odio, ti odio, ti odio!" E uscì di corsa dall'aula con un nuovo scoppio di pianto.
Tom rimase immobile, piuttosto turbato da questo attacco furibondo. Finalmente si disse: "Che strano! Come sono stupide le ragazze. A scuola non l'hanno mai picchiata? E con questo? Cos'è una bastonatura? Tipico, tipico delle ragazze: pelle delicata e cuore di pulcino. Be', ma è naturale che non farò la spia al vecchio Dobbins, su quel che ha fatto questa stupidella, perché ci sono altri modi, meno meschini, di fare i conti con lei; ma che importa? Il vecchio Dobbins chiederà chi è stato a stracciare il suo libro. Nessuno risponderà. Allora lui farà quello che fa sempre: chiederà prima all'uno e poi all'altro, e quando arriverà alla ragazza giusta lo saprà, senza bisogno che qualcuno faccia la spia. Le ragazze hanno la faccia che fa la spia per loro. Sono senza spina dorsale. Le buscherà. Be', è un brutto impiccio per Becky Thatcher, perché non c'è via di scampo." 
Tom studiò la cosa ancora per qualche istante, e poi aggiunse: "Ma le sta bene; a lei piacerebbe vedermi in un guaio simile: si
arrangi!"
Si unì al gruppo di scolari che giocavano nel cortile. Di lì a poco arrivò il maestro e li chiamò dentro. Tom non provava un grande interesse per i suoi studi. Ogni volta che guardava di soppiatto dalla parte delle bambine, il viso di Becky lo turbava. Tutto considerato, non voleva compatirla, eppure non poteva farne a meno. In quello che stava per succedere non trovava alcun
motivo di esultanza.
Finalmente venne fatta la scoperta dell'abbecedario, e da allora, per un po', la mente di Tom fu tutta presa dai casi suoi. Becky uscì dal letargo della sua disperazione e mostrò un discreto interesse per gli sviluppi della situazione. Non si aspettava che Tom potesse cavarsi d'impiccio negando di essere stato lui a versare l'inchiostro sul libro; e aveva ragione. Il diniego parve solo peggiorare le cose per Tom. Becky pensava che ne sarebbe stata lieta, e si sforzò di credere che era proprio così, ma scoprì di non esserne certa. Quando le cose volsero al peggio, ebbe l'impulso di alzarsi per denunciare Alfred Temple, ma fece uno sforzo e si costrinse a tacere perché, si disse, lui farà la spia sulla figura che ho strappato, questo è certo.
"Non direi una parola nemmeno se si trattasse di salvargli la vita!" Tom si prese le frustate e tornò al posto senza fare tragedie, perché pensava che poteva anche darsi che fosse stato lui a rovesciare inavvertitamente l'inchiostro sull'abbecedario, mentre giocava con i compagni: aveva negato per salvare la forma e rispettare la tradizione, e aveva insistito nel diniego per principio.
Lentamente passò un'ora intera; il maestro sedeva sul suo trono, col mento sul petto, l'atmosfera era resa sonnolenta dal brusio dei ragazzi che studiavano. Dopo un po' il signor Dobbins raddrizzò le
spalle, sbadigliò, poi aprì il cassetto della cattedra e tese la mano verso il suo libro, ma sembrava incerto se prenderlo o lasciarlo. Quasi tutti gli alunni alzarono distrattamente lo sguardo, ma tra loro ce n'erano due che seguivano con occhio vigile i suoi movimenti.
Il signor Dobbins toccò per qualche tempo il suo libro con aria assente, poi lo tolse dal cassetto e cercò sulla seggiola la posizione migliore per mettersi a leggere. Tom scoccò un'occhiata a Becky. Aveva visto la sua stessa espressione sul muso di un coniglio raggiunto dai cacciatori, con un fucile puntato alla testa. Di colpo dimenticò la lite che aveva avuto con lei. Presto, bisognava far qualcosa, e farla subito, anche! Ma proprio l'imminenza del pericolo paralizzava la sua inventiva. 
Bene! Aveva un'ispirazione!
Sarebbe corso a prendere il libro, si sarebbe gettato fuori dalla porta e sarebbe fuggito! Ma ebbe appena un attimo di esitazione, e l'occasione andò perduta: il maestro aveva aperto il volume. Ah, se Tom avesse potuto tornare indietro! Troppo tardi; ormai non c'era più nessuna possibilità di aiutare Becky. Ancora un attimo, e il maestro squadrò la scolaresca. Tutti gli occhi si abbassarono sotto il peso del suo sguardo; c'era qualcosa in quello sguardo, che faceva tremare di paura anche gli innocenti.
Nell'aula cadde un silenzio durante il quale si sarebbe potuto contare fino a dieci; il maestro stava gonfiandosi di rabbia. Poi parlò: "Chi ha strappato questo libro?"
Non un suono. Si sarebbe sentito cadere uno spillo. Il silenzio perdurò; il maestro scrutava un viso dopo l'altro cercandovi i segni della colpa.
"Benjamin Rogers, hai strappato tu questo libro"?
Un diniego. Un'altra pausa. "Joseph Harper, sei stato tu"?
Altro diniego. L'inquietudine di Tom cresceva sempre più sotto la lenta tortura di questo modo d'agire. Il maestro studiò le file dei maschi, rifletté un momento, poi si rivolse alle femmine: "Amy
Lawrence"? Una scossa del capo.
"Gracie Miller"? Lo stesso segno.
"Susan Harper, sei stata tu"?
Un altro no. La bambina successiva era Becky Thatcher. Tom tremava da capo a piedi per l'emozione, e aveva ormai l'impressione che la situazione fosse disperata.
"Rebecca Thatcher..." (Tom guardò il suo viso: era sbiancata dal terrore) ... ... hai strappato tu... No, guardami in faccia... (le sue mani si alzarono in un gesto supplichevole) ... hai strappato tu questo libro?"
Un'idea passò come un fulmine nel cervello di Tom. Il ragazzo scattò in piedi e gridò: "Sono stato io"!
L'intera scolaresca rimase a bocca aperta davanti a quest'incredibile follia. Tom attese qualche istante per riprendere il controllo delle sue facoltà; e quando si fece avanti per ricevere il castigo, la sorpresa, la gratitudine e l'adorazione per lui che brillavano negli occhi della povera Becky gli parvero un compenso sufficiente per cento fustigazioni.
Ispirato dallo splendore del suo gesto, ricevette senza un grido la più spietata fustigazione che il signor Dobbins avesse mai somministrato; e con pari indifferenza ricevette la crudeltà
supplementare rappresentata dall'ordine di restare a scuola per due ore dopo la fine delle lezioni: perché sapeva chi lo avrebbe atteso fuori fino alla fine della sua cattività, senza considerare quel
monotono indugio una perdita di tempo. (...)

 




















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