Bambini di farina
Anne Fine
Salani
(...) Simon Martin si sdraiò su tre sedie fuori della sala professori. Era
stato spedito lì perché disturbava in classe. Era arrivato solo quattro minuti
prima, e già non ne poteva più. Aveva tentato di fischiettare (e la
professoressa Arnott, che entrava, gli aveva detto di smetterla). Aveva cercato
di battere il ritmo coi piedi (e il professor Henderson, che usciva, gli aveva
detto di smetterla). Aveva perfino provato a vedere quanti diversi schiocchi
riusciva a fare con la lingua (e il professor Spencer, che passava davanti,
gli aveva detto di smetterla).
Non gli lasciavano altra scelta, davvero.
Non potevano aspettarsi che lui se ne stesse seduto lì tutto il giorno senza
far niente.
All'uscita del primo professore, avrebbe fatto un tentativo.
Il primo professore a uscire fu Dupasque. Mentre la porta si richiudeva alle
sue spalle, Simon Martin spostò surrettiziamente all'indietro di cinque
centimetri uno dei suoi enormi piedoni e col tacco impedì alla porta di chiudersi
del tutto.
Era solo colpa loro. Se non volevano che uno, che già era stato espulso senza
motivo dalla classe e si annoiava a morte, finisse per ascoltare tutto quello
che dicevano, avrebbero dovuto lasciarlo in pace a fischiettare e a battere il
ritmo e a fare schiocchi con la lingua.
Simon si sistemò per origliare bene. Anzi, se voltava a destra la testa come
per fissare il corridoio, riusciva perfino a vedere con la coda dell'occhio una
fettina di sala professori. Lì stava indietreggiando il professor Cartright,
nel bel mezzo di una delle sue famose scenate.
«Non ci posso credere» gridava il Vecchio Bisonte.
«Non credo alle mie orecchie. Sul serio stai cercando di dirmi che queste robe
del tuo progetto di puericultura sono letteralmente sei libbre di normale
farina bianca cucite in un sacchetto di tela? E tu vorresti dare una di queste
robe a ognuno di quei pazzi scatenati della mia classe?»
«Non dare, Eric. Prestare».
«Dare. Prestare». Simon ebbe la rapida visione di una sezione di braccia del
professor Cartright, gettate per aria in un atteggiamento disperato. «Per quel
branco di psicopatici che differenza vuoi che faccia? Nessuno della IV C
riuscirebbe a tenere in mano un sasso senza romperlo. Come fai a pretendere
che un sacchetto con sei libbre di farina possa sopravvivere?>>
Attraverso la fessura, Simon vide una striscia del volto
preoccupato del dottor Feltham.
«Non sei libbre, Eric. Tre chili. Cerchiamo di dare il buon esempio. Pensa in
grammi».
«Io penso come diavolo mi pare, grazie» ringhiò il professor Cartright. «Ma
diciamo pure tre chili, se preferisci. Anche così, io francamente credo che tu
sia uscito di zucca. Ci sono diciannove ragazzi in IV C quest'anno, no?
Diciannove per tre fa sessantasette!»
«Cinquantasette» non poté fare a meno di correggerlo il dottor Feltham.
«Cosa?»
Il dottor Feltham scambiò la miscela di impazienza e offesa che risuonava nella
voce del professor Cartright per una sincera richiesta di chiarimenti
matematici . «Devi aver sbagliato il riporto: tre invece di due» disse. «È
l'unica spiegazione razionale per un errore del genere».
Con tutto questo gran parlare di numeri, l'attenzione di Simon cominciava a
calare. Stava quasi per ritirare il piede e lasciar chiudere la porta, quando
gli comparve alla vista un'altra fetta di Cartright e udì il suo professore
urlare.
«Sessantasette! Cinquantasette! Cosa vuoi che cambi! È sempre più di mezzo
quintale di farina bianca che esplode nella mia classe!»
Fuori, nel corridoio, un'espressione di pura estasi illuminò il volto di Simon
Martin. Aveva capito bene? Mezzo quintale di farina bianca? Che esplode? In
classe? Oh, gioia e delizia! Solo per questo valeva la pena di venire a scuola.
Valeva tutte le miserabili ore passate a graffiarsi le ginocchia sotto quei
banchi da asilo, tutti i lamenti dei professori, tutta quella noia
incommensurabile.
Mezzo quintale di farina bianca. BUM!!!!!
Oh, riusciva quasi a vederlo. Ventate di farina! Montagne di farina! Nuvole di
farina! La classe piena di farina fino al ginocchio. Farina che pioveva. Farina
che usciva dalle finestre. Impronte di farina fuori della porta.
La visione era così affascinante, così bianca, così perfetta, così
assolutamente bella, che le orecchie di Simon furono momentaneamente otturate
dalla magica forza della sua immaginazione galoppante, e lui sì perse del
tutto il tentativo del dottor Feltham di spiegare al suo collega l'esperimento.
«Hai capito tutto sbagliato, Eric. Sono le lattine che esplodono, non i bambini
di farina. I bambini di farina sono un semplice esperimento sulle relazioni
tra genitori e figli. Ogni ragazzo avrà la piena responsabilità del suo bambino
di farina per le intere tre settimane, e terrà un diario dove scriverà i suoi
problemi e le sue sensazioni. È estremamente interessante quello che ne viene
fuori. È affascinante vedere quello che imparano, su se stessi e sulla
condizione di genitore. È un esperimento molto valido. Aspetta e vedrai».
Simon afferrò solo le ultime parole: «Aspetta e vedrai». Ma lui se lo vedeva
già davanti agli occhi. BUM!!!!! E un farinoso fungo atomico copriva
completamente l'odiata prigione della classe, cancellandola dalla faccia della
terra. Si innalzò in spirito, circonfuso di una gloria bianca come la neve, e
tornò a posarsi delicatamente sulle sue tre sedie in tempo per ascoltare gli
ultimi disperati tentativi del professor Cartright di rifiutare quell'incomparabile
e stupefacente benedizione.
«Perché non possono fare qualcosa nei laboratori di Higham?»
Una nuova voce. La voce di un uomo angosciato.
«Eric! I miei laboratori stanno andando a tutto vapore! C'è la Fiera della
Scienza! Bisogna sistemare le attrezzature per l'esperimento di frizione sui
piani inclinati. Bisogna costruire il modello di casa per l'antifurto
elettronico della IV F. La base per il ventilatore a termistori di Harrison
non è stata nemmeno iniziata. E neanche l'intelaiatura per la centrale
idroelettrica dei gemelli Hughes. Perfino la fattoria dei bachi da seta ha
bisogno di qualche riparazione, altrimenti ci ritroviamo con i vermi
dappertutto».
Per un istante Simon scorse il professor Higham che spalancava le braccia.
«Mi dispiace, Eric. Se faccio entrare proprio adesso la tua marmaglia nei miei
laboratori, ci rimetto il posto.L'ultima volta che ho perquisito Rick Tullis
all'uscita, aveva quattro cacciaviti infilati nelle mutande. Quattro! E quel
Sajid Mahmoud, basta che guardi una pialla per far uscire di posizione la lama.
Mi dispiace, Eric. Ma è no».
Se Simon non fosse stato così inviperito con il professor Cartright che aveva
tentato dì rifiutare quel dono degli dèì, forse avrebbe provato pietà, a
sentire la sua voce rotta.
<<Questo non me lo scorderò» stava dicendo. «La prossima volta che uno
di voi è nei pasticci, io mi ricorderò di come mi avete trattato oggi».
Prudentemente, Simon ritrasse il tacco mentre la voce si avvicinava alla porta.
«Cinquantotto chili di farina bianca! Nella mia classe! Con quel branco di
disgraziati! E neanche uno che mi viene in aiuto. Neanche uno. Questo non me
lo dimentico. No. Non lo dimenticherò».
Il piede di Simon si allontanò rapidamente dalla porta, proprio mentre il
professor Cartright la spalancava.
«Cosa ci fai qui?»
«Me l'ha detto lei di venire, professore».
«Bene, ho cambiato idea. Vattene. Tornatene in classe».
«Sì, professore».
Per principio, Simon si chinò, assolutamente senza alcun bisogno, per
slacciarsi una stringa e poi riallacciarsela con comodità. Non rimpianse di
essersi preso quel disturbo, comunque, perché quel piccolo gesto di sfida,
anche se gli aveva procurato un'occhiata allarmante da parte del professor
Cartright, li tenne entrambi fuori della porta abbastanza a lungo per udire
dall'interno, perfettamente chiaro: «Avete visto, ha sbagliato ancora. Questa
volta deve aver moltiplicato il nove per due. È strano come funziona la sua
mente».
Contento del fatto che adesso erano pari, Simon prese a trascinare i piedi
lungo il corridoio. E il professor Cartright trascinò i suoi dietro di lui.
Lasciò che il ragazzo si allontanasse, per avere più tempo per pensare. Cos'era
la miglior cosa da fare? Era vero, aveva annunciato solennemente che il primo
ragazzo che avesse fatto il minimo rumore avrebbe scelto la materia. E Simon
aveva scelto i bambini di farina. Ma, quel che è giusto è giusto, se quel
ragazzo schiantava le porte come un uomo di Neanderthal non era colpa sua. Non
aveva fatto apposta. Lui per natura apriva le porte come un gorilla.
Non c'era motivo di impuntarsi su una questione di principio.
Potevano scegliere un'altra volta.
Rasserenato, il professor Cartright accelerò. Mentre pensava, era rimasto molto
indietro. Abbastanza indietro, comunque, per perdersi Simon Martin che, senza
fiato, appena entrato aveva fatto il grande annuncio alla classe in attesa.
«Quei bambini di farina! Sono uno sballo! Meglio del sapone, dei bachi, di
tutto! La migliore scienza che ho mai sentito!>>
Entrando una ventina di secondi più tardi, il professor Cartright fece smettere
il rumore senza preoccuparsi di afferrarne il contenuto. Issò il posteriore
sopra la cattedra e cominciò un discorso molto conciliante.
«Allora, IV C, io sono una persona ragionevole e mi sembra, riflettendoci, che
non si sia nessuna ragione per cui tutti voi dobbiate rimetterci a causa del
rumore che fa Simon quando apre una porta. Un giorno, quando avremo un po' di
tempo, gli spiegheremo i principi e il funzionamento delle maniglie. Ma per il
momento direi di mettere una pietra sul passato, e tornare a discutere le varie
possibilità per la Fiera della Scienza». ·
Simon risucchiò rumorosamente l'aria fra i denti. Di norma, non faceva molta
attenzione alle parole dei professori. Ma sapeva riconoscere le loro astuzie in
tutte le forme più comuni.
«Questo vecchio serpente» sussurrò acidamente al suo compagno di banco, Robin
Poster, «sta cercando di fregarci i bambini di farina perché sono il meglio».
Per mera abitudine, Robin trasmise l'informazione. Lo stesso fece il suo
vicino. E quello dopo. Il sussurro circolò così velocemente tra la classe che
quando il professor Cartright con un sorriso radioso chiese: «Allora, chi
preferirebbe tessuti?», tutti serrarono i ranghi e predisposero la loro forma
di sabotaggio... (...)
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