Le guerre di Ada
Laura Pariani
in Il corno d'Oro
Sellerio
Illustre signor Sindaco,
io, Marchini Ada, maestra elementare nella scuola del vostro paese,
stanotte oso indirizzarvi una lettera molto particolare. Sono qui seduta nella
mia stanzetta, al mio tavolo, di fronte al letto. E tutto in ordine, ma io...
io non sono niente affatto in chiaro con me stessa e provo dolore, nostalgia,
qualcosa di simile a una nuova fatica di nascere.
(...) E' successo una sera della primavera scorsa, in questa stanza. A
un certo punto ho alzato gli occhi da un libro che stavo leggendo. Quelle
severe frasi illuminanti che mi riempivano il cuore... Mi levai e andai alla
finestra, lo sguardo sulle pòbbie. Sotto casa mia i miei scolari giocavano. Il
figlio del Paulén Giulài aveva legato a un chiodo del muro un gattino rosso e,
fra le grida di incitamento di tutti gli altri bambini che gli stavano intorno,
lo colpiva a testate. E l'animale, dopo quattro o cinque colpi, non si è mosso
più. Morto. Proprio appeso a quel muro sul quale la stessa
mattina avevo spiegato loro il sistema metrico decimale; che c'erano
ancora i segni col gessetto rosso.
Ero impietrita. lo con i miei opuscoli di pedagogia e la mia saggezza di
gesso. Mi venne all'improvviso un'immensa voglia di piangere, di morire. Tanto
sottile è la corda su cui camminiamo e tanto fondo l'abisso in cui possiamo
cadere.
Che dovevo fare con quei bambini? io che avevo spiegato loro mille volte
che non si devono devastare i nidi degli uccelli, che non bisogna prendere a
sassate i vecchi cani zoppi.
Ma non ne han colpa i bambini. E il mondo che non va.
E come si fa a spiegare loro quello che è giusto e quello che non lo è,
in uno stanzone che non ha neppure il pavimento e in cui d'inverno la stufa
manda più fumo che calore? Già, voi non lo sapete, signor Sindaco, perché non
vi siete mai degnato di venire a vedere la mia classe... Se ci veniste nella
brutta stagione, quando i bambini mi arrivano fradici e intirizziti, con le
maglie bagnate che son costretti a tenersi addosso tutto il giorno... Perché?
Dico io: non ha il diritto alla salute il popolo di
campagna? Forse, poiché il contadino non ha mezzi per procurarsi quanto
è di assoluta necessità per la salute fisica, dovrà essere costretto a
intorpidirsi in vestiti quasi ghiacciati anche quando si trova sotto un tetto
comunale?
Ah, signore, come fa compassione il loro continuo tossire profondo certi
giorni, il loro pietoso lamentarsi per il gelo da cui si sentono tormentati. E
d'estate l'afa e il Puzzo della latrina. Una cuccagna, insomma, che davvero una
si domanda: a che pro la scuola? Sapete, illustre signor Sindaco, qual è il
numero dei miei alunni? Centoventicinque, sì signore, avete letto giusto: centoventicinque.
Ah! lo so che voi direte che a maggio diventano cinquanta, perché è la stagione
dei bigatti e i paesani ritirano i figli dalla scuola in massa per farli
lavorare.
Ma anche ammettendo che a maggio questo numero diminuisca, è pur sempre
superiore alle mie capacità morali e fisiche...
Come posso insegnare loro qualcosa in tali condizioni? Come posso
aiutare quei poverini? E sapete qual è l'arredo della mia lussuosa classe?
Diciassette banchi, due lavagne rotte e inservibili, un tavolino, una sedia che
perde la sua impagliatura, una stufa che non funziona; e un posapiede (quale
onore!)... Nessuna carta geografica neanche un pallottoliere... Ah,
dimenticavo: due quadri, del Re e della Regina.
Quelli non mancano. (...)
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