Jude lo scuro Thomas Hardy (…) Il maestro di scuola stava per lasciare il
villaggio, e tutti sembravano dispiaciuti. Essendo più che sufficiente per gli
effetti che portava con sé, il mugnaio di Cresscombe gli aveva prestato il
carretto con il telone bianco di farina, e il cavallo, per trasportare le sue
cose alla città cui era diretto, distante una ventina di miglia da lì. Il suo alloggio presso la scuola, infatti,
era stato arredato in parte dagli amministratori, e l’unico oggetto ingombrante
di sua proprietà oltre alla cassa dei libri era un piccolo pianoforte
verticale, da lui acquistato a un’asta l’anno in cui aveva pensato di imparare
a suonare uno strumento. Svanito l’entusiasmo iniziale, non aveva mai raggiunto
alcuna abilità con i tasti, e da allora l’acquisto era stato per lui fonte di
continui fastidi durante i traslochi. (…) Un ragazzetto di undici anni, che aveva
assistito pensieroso al trasloco, si avvicinò allora al gruppo degli uomini, e
mentre costoro, incerti sul da farsi, si fregavano il mento, arrossendo al
suono della propria voce disse: «Mia zia ha una grande cantina, e forse
potreste metterlo là finché non avrete trovato dove sistemarvi, signore». «Un’ottima idea», disse il fabbro. Fu deciso di inviare una deputazione dalla
zia del ragazzo - una vecchia zitella del paese - per chiederle se avrebbe
tenuto in casa il pianoforte finché il signor Phillotson non avesse mandato a
ritirarlo. Il fabbro e il fattore si allontanarono per verificare la
praticabilità di quella soluzione, e il ragazzo e il maestro rimasero soli, in
piedi nel soggiorno. «Ti dispiace che parto, Jude?», domandò
quest’ultimo con affetto. Gli occhi del ragazzo si riempirono di
lacrime, poiché egli non era uno degli scolari regolari della mattina, che
vivendo ogni giorno a contatto con il maestro erano alieni da qualsiasi
romanticismo, ma aveva frequentato la scuola serale solo durante il trimestre
appena concluso. A dire il vero, in quel momento gli scolari regolari, come
certi discepoli del passato, evitavano di farsi vedere nei paraggi, essendo
poco propensi a offrirsi con entusiasmo di aiutarlo. Il ragazzo aprì imbarazzato il libro che
teneva in mano, regalatogli dal signor Phillotson per ricordo, e ammise che gli
dispiaceva. «Anche a me», disse il signor Phillotson. «Perché ve ne andate, signore?», chiese il
ragazzo. «Oh, sarebbe troppo lungo spiegarlo. Non
capiresti le mie ragioni, Jude. Forse potrai capirle quando sarai più grande». «Credo di poterle capire anche adesso,
signore». «E va bene - ma non andarlo a raccontare in
giro. Sai cosa è una università e una laurea? È il lasciapassare necessario per
chiunque voglia concludere qualcosa nell’insegnamento. Il mio progetto, o il
mio sogno, è di laurearmi…” |