Il buio oltre la siepe
Harper Lee
Universale economica Feltrinelli
(...) Non
era ancora finita la prima mattina di scuola, che già miss Caroline Fisher, la
maestra, mi rimorchiava alla cattedra e, dopo avermi picchiato sul palmo della
mano con una riga, mi metteva in piedi, nell'angolo, fino a mezzogiorno.
Miss Caroline aveva appena ventun anni, i capelli di un bel castano chiaro, le
guance rosee e lo smalto delle unghie di un rosso acceso. Portava scarpette con
i tacchi alti e un abito a strisce bianche e rosse: pareva una caramella di
menta peperita e ne aveva anche il profumo.
Stava a pensione da miss Maudie Atkinson, che abitava di fronte a noi, una casa
più in giù; miss Maudie le aveva dato la stanza davanti, al piano di sopra, e
quando ci aveva presentati a lei, Jem era rimasto con la testa nelle nuvole per
parecchi giorni.
Miss Caroline scrisse in stampatello il proprio nome sulla lavagna e disse:
<<Questo, vedete, significa che io sono miss Caroline Fisher. Sono
dell'Alabama del Nord, contea di Winston.>>
Per tutta la classe si udì un brusio preoccupato: temevamo che miss Caroline
fosse stramba come quelli del suo paese. (Quando l'Alabama si separò dall'Unione,
l'11 gennaio 1861, la contea di Winston si separò dall'Alabama e nella contea
di Maycomb lo sapevano anche i bambini).
Per gli abitanti dell'Alabama del Sud, l'Alabama del Nord era un paese che si
poteva definire così: alcool, acciaierie, filande, repubblicani, professori,
altra gente venuta dal nulla.
Miss Caroline iniziò il primo giorno di scuola leggendoci una storia di gatti.
I gatti facevano conversazione tra loro, portavano abitini civettuoli e
vivevano in una casa calda, accanto alla stufa della cucina. Quando miss
Caroline arrivò al punto in cui la signora Gatta telefonava al negozio per
ordinare dei topi al cioccolato, l'intera classe si dimenava sui banchi,
impaziente, come un cestino di vermi. Evidentemente miss Caroline non capiva
che quei bambinetti, mezzo stracciati, vestiti di cotonina rossa e di tela di
juta, che per lo più avevano trinciato cotone e dato da mangiare ai maiali fin
dal giorno che erano stati capaci di camminare, erano refrattari alla fantasia.
Giunta alla fine della lettura, miss Caroline disse:
"Carina, questa storia, vero?"
Poi andò alla lavagna, scrisse in enormi lettere stampatelle e si girò verso la
classe,
chiedendo: "C'è nessuno che sa cosa siano?"
Lo sapevano tutti: la maggior parte della classe era ripetente.
Forse scelse me perché sapeva il mio nome; mentre leggevo l'alfabeto le apparve
tra le sopracciglia una linea sottile, e dopo avermi fatta leggere ad alta voce
quasi tutte le Prime Letture e le quotazioni dei titoli sul Bollettino del
Mobile, scoprì finalmente che non ero un'analfabeta e mi guardò con vero
disgusto. Mi disse che pregassi mio padre di non insegnarmi più nulla, perché
il suo metodo avrebbe potuto compromettere i miei progressi nella lettura.
"Devo pregare mio padre di non insegnarmi più nulla?" ripetei
sorpresa. "Ma non mi ha insegnato niente, miss Caroline. Atticus non ha
tempo di insegnarmi" soggiunsi vedendo che miss Caroline sorrideva
scuotendo la testa, "è talmente stanco, la sera, che sta seduto nel
soggiorno a leggere per conto suo!"
"Se non ti ha insegnato niente, chi è che ti ha insegnato a leggere?"
chiese bonaria, miss Caroline. "Qualcuno deve pur avertelo insegnato: non
sarai mica nata leggendo il Bollettino del Mobile!"
"Jem dice di sì. Ha letto un libro dove era scritto che io ero un
fringuello marino invece di un cardellino. Jem dice che il mio vero nome è Jean
Louise Bullfinch, che sono stata sostituita in culla e che in realtà sono
una..."
Evidentemente miss Caroline pensò che mentissi.
"Non ci lasciamo trasportare dall'immaginazione, carina" disse.
"Oggi pregherai tuo padre di non insegnarti più niente. E' meglio che tu
incominci daccapo, a mente fresca. Gli dirai che da ora in avanti ci penserò io
e che cercherò di rimediare al danno che ha fatto..."
"Al danno che ha fatto?..."
"Tuo padre non sa come si insegna ai bambini. E adesso siedi."
Mormorai una scusa e mi ritirai a meditare sui miei delitti. (...)
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