ERODA Il
maestro di scuola PERSONAGGI: LAMPRISCO,
maestro METROTIMA,
madre di Cottalo COTTALO,
scolaro EUTIA,
COCCALO, FILLO, scolari compagni di Cottalo METROTIMA:
Che le dolci Muse ti dieno, o Lamprisco, di gustar un po' di bene nella vita!
Ma a costui gli hai a scorticare il groppone, fin che l'animaccia sua non gli
venga proprio sulle labbra. Tutta la casa m'ha messo sossopra giocando a pari e
caffo; ché i dadi non gli bastano più, o Lamprisco: e la faccenda ormai si va a
far grossa. Dove stia di casa il maestro di scuola, che il trenta d'ogni mese
(e son dolori!) vuol la mesata, non gli caveresti di bocca, anche se versassi
tutte le lagrime di Nannaco. Ma il ridotto dello sciopero, ove si dan convegno
i facchini ed i monelli, quello, si, lo sa insegnare anche agli altri. E quella
povera tavoletta, ch'io m'arrabatto ad incerare tutti i mesi, se ne giace là
abbandonata davanti allo stramazzo, alla colonnina della parete. E se pure,
sbirciandola di traverso come se fosse l'Orco, la piglia in mano, non la piglia
per scrivervi su qualche bella cosa, ma per raschiarla tutta quanta. Le
gazzelline intanto se ne stanno nei mantici e nelle reticole unte e bisunte più
dell' ampolla che ci serve a tutto. Una "a" dal "b" non lo
sa distinguere, se non gli voci cinque volte la stessa cosa. L'altro giorno,
mentre suo babbo si sfiatava a farlo leggere, di un Marone fece un Simone
questo bel tomo: tanto che io mi dètti della citrulla, io che, invece di
mandarlo a pascere i somari, lo tiro su nell'abbicci con l'idea di farmene il
bastone della vecchiaia! Se io o suo padre (povero vecchio, mezzo sordo e mezzo
cieco) gli diciamo di recitare qualche pezzo, come si fa coi ragazzi, allora
bisogna vederlo...: par che sgoccioli da un colino. "O Apollo dei campi!
questo" gli dico io "anche la nonna, poveretta, ti saprà recitare,
essa che non sa di lettere, od un Frigio qualunque". Se poi ci piace di borbottare
anche un po' più forte, ecco per tre giorni non rivede la soglia di casa, ma
scappa da sua nonna, e tormenta quella vecchia e povera donna...; oppure monta
sul tetto, e se ne sta lassù, dinoccolato, con le gambe penzoloni, come uno
scimmiotto. Ci pensi tu, come si debbano rimescolare le viscere in corpo a me,
disgraziata, quando lo veggo? E non discorro tanto di questo: ma mi fracassa
tutte le tegole, come se fossero stiacciate; e come si avvicina l'inverno,
tocca a me a disperarmi ed a pagare ogni rottura un obolo e mezzo. Ad una voce
tutto il casamento grida: "Queste sono le prodezze di Cottalo, il
figliuolo di Metrotima"; ed è la verità, che non fa una grinza. Mira, in
che modo s'è fatta tutta lividi la groppa scorrazzando pel bosco: pare un di
que' pescatori di Delo, che sul mare trascinano la vita melensa! Però il sette
ed il venti1 li sa meglio degli strolaghi; e non piglia neppur sonno al
pensiero di quando voi fate vacanza. Ma se coteste dèe costì2, o Lamprisco, ti
dien del bene e ti consentono una opera buona... LAMPRISCO:
Non stare, o Metrotima, a scongiurare per lui: ché non avrà meno di quel che
deve avere. Dov'è Eutia? Dove Coccalo? Dove Fillo? Non vi spicciate a pigliare
costui in groppa, poltroni, che tirereste in lungo la cosa sino alle calende
greche? Faccio onore ai bei fatti, Cottalo, che tu fai. A te non basta più
giocare alla buona con le tessere, come fanno gli altri; ma ti ci vuole il
ridotto e il gioco del soldo tra i facchini. Ora io ti vo' rendere più ammodo
d'una fanciulla: tale, che non moveresti una foglia, anche se te ne spirassi!
Qua il nerbo sodo, la coda di bue, con cui concio di santa ragione i riottosi
ed i perversi... Presto, qua: prima che io abbia vomitato la mia bile! COTTALO:
No, ti supplico, Lamprisco: per coteste Muse, e per la tua barba, e per l'anima
di Cottide; non mi conciare con quella soda, ma con l'altra... LAMPRISCO
Ma tu se' un briccone, o Cottalo: tanto, che non ti decanterebbe pur un
rivendugliolo; neanche nel paese ove i topi rosicchiano persino il ferro. COTTALO:
Quante, quante... Lamprisco... ti supplico... me ne fai dare? LAMPRISCO:
Non lo domandare a me, ma a costei (accennando alla madre). Piff, paff!
(picchia). COTTALO:
Quante, dico, se t'ho a campare? LAMPRISCO:
Quante ne reggerà la tua pellaccia. COTTALO:
Smetti... bastano, Lamprisco! LAMPRISCO:
E tu smetti le tue birbanterie... COTTALO
Non lo farò più, più... te lo giuro, o Lamprisco, per le care Muse! LAMPRISCO:
Ohè tu, che parlantina che tu hai... Ti appiccicherò subito il bavaglio, se più
oltre borbotti... COTTALO:
Ecco, sto zitto... Ma ti prego, non mi ammazzare! LAMPRISCO:
Lasciàtelo, Coccalo. METROTIMA:
Non hai a smettere, Lamprisco. Ma rèbbialo ben bene, fin che il sole vada
sotto... LAMPRISCO:
Peraltro la cotenna l'ha più screziata d'una tarantola... METROTIMA:
E deve buscarne, proprio mentre è chinato sul libro... il disutilaccio... altre
venti, per lo meno: anche se leggerà più spedito della COTTALO
(che è riuscito a fuggire): Issssch! METROTIMA:
Che senza accorgertene tu non abbia tuffato la lingua... nel miele! Corro
subito a casa a dirlo di proposito, o Lamprisco, al mio vecchio; e ritornerò
con dei ceppi, perché lo mirino qui a saltellare con quelle collane ai piedi le
dee venerande, che egli ha in uggia. Adattamento della traduzione di Giovanni
Setti, in Scene greche scoperte in un Papiro egizio conservato nel British
Museum, E. Sarasino ed., Modena, 1893 |