grecciaintermezzo7

Lunario dei giorni di scuola


Settima settimana intermezzo

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Cechov

L’UOMO NELL’ASTUCCIO

 (…)

­­­E Bèlikov? Andava da Kovalènko come veniva da noi. Arrivava là; si sedeva, non diceva una parola. Taceva, e Vàrenka gli cantava I venti muggono. Oppure lo guardava coi suoi occhi neri, scoppiando poi, improvvisamente, a ridere.

Nelle cose d'amore, e particolarmente nel matrimonio, la suggestione ha una parte importante. Tutti i colleghi e le signore fecero a gara per convincere Bèlikov che doveva sposarsi, e che non gli restava se non questo da fare nella sua vita. Noi lo felicitavamo tutti, gli dicevamo molto seriamente ogni sorta di banalità: gli dicevamo, per esempio, che il matrimonio è una cosa seria; Vàrenka, inoltre, era carina, interessante, era figlia di un consigliere di Stato, e aveva una fattoria. Soprattutto, essa era la prima donna che gli avesse dimostrato della tenerezza e della bontà.

Egli perdette la testa e decise che, infatti, doveva sposarsi.

«Sarebbe stato questo il momento giusto,» disse Ivàn Ivànic, «per portargli via le soprascarpe e il parapioggia.»

Immaginate facilmente che si trattava di cosa impossibile. Collocò sul suo tavolo la fotografia di Vàrenka, e venendo da me non faceva altro che parlarmi di lei e della vita di famiglia, dicendomi che il matrimonio è una cosa seria. Andava spesso da Kovalènko; non mutava però in nulla il suo genere di vita. Al contrario, la risoluzione di sposarsi produsse su di lui un effetto increscioso: dimagrì, diventò pallido, fu come se sprofondasse di più dentro il suo astuccio.

‹Wàrenka mi piace,› mi diceva con un debole sorrisetto confuso, ‹e so che ognuno ha da prender moglie, ma... Tutto questo è accaduto così in fretta, lo sapete... Bisogna riflettere.›

‹Riflettere a che?› gli chiesi. ‹Sposatevi, ecco tutto!›

‹No, il matrimonio è una cosa seria. Occorre anzitutto considerarne gli obblighi, le responsabilità... Purché in seguito non succeda nulla. Ciò mi tormenta talmente, che nemmeno dormo più la notte. E, lo confesso, ho paura. Lei e suo fratello hanno strani modi di pensare: ragionano stranamente: e lei ha un carattere molto vivo. Sposarla, e dopo capitar male...›

«E si riproponeva di continuo la stessa questione, a dispetto della moglie del preside e di tutte le nostre signore. Pensava e soppesava gli obblighi e le responsabilità; tuttavia andava a passeggio quasi ogni giorno con Vàrenka, forse supponendo che nella sua situazione fosse necessario. Veniva a parlarmi della vita di famiglia: avrebbe fatto, secondo ogni probabilità, la sua formale domanda e contratto uno di quei matrimoni inutili e sciocchi, come da noi fanno migliaia di persone, per effetto di ozio e di noia, se a un tratto, non fosse venuto a scoppiare un kolossalischer Skandal.

Occorre dire che il fratello di Vàrenka aveva sin dal primo giorno preso in odio Bèlikov: non poteva vederlo.

‹Non capisco,› ci diceva alzando le spalle, ‹come voi sopportiate questo tipo di spione, quest'individuo ripugnante! Ah, signori, come potete vivere qui, in un'atmosfera così soffocante, così disgustosa? Ma siete davvero dei professori, dei maestri? Siete dei burocrati striscianti, e la vostra scuola non è un tempio della scienza, ma un ufficio di polizia; vi si sente tanfo di chiuso come in un corpo di guardia. No, colleghi cari, io resterò qui ancora un po' di tempo e dopo mi ritirerò nella mia fattoria; me ne andrò a pescare i gamberi e a istruire i ragazzi ucraini. Me ne andrò, e voi resterete qui col vostro Giuda! Crepi.›

Rideva forte, rideva sino alle lacrime, con un riso stridulo e acuto. Mi domandava spalancando le braccia: ‹O che avrà da venire a casa mia? Cosa vuole? Resta là seduto, a guardarmi...›.

Kovalènko aveva trovato un soprannome a Bèlikov, lo chiamava in ucraino ‹la ragnatela.

Non so chi fu quello spirito bizzarro che fece una caricatura di Bèlikov con le soprascarpe, i pantaloni rimboccati, l'ombrello aperto, a braccetto di Vàrenka, e sotto la scritta: ‹Antropos innamorato›. La somiglianza era, ve lo assicuro, sorprendente. Scommetto che l'artista ci aveva lavorato per più di una notte, poiché tutti gli insegnanti del ginnasio maschile e femminile, e anche gli impiegati, ne ricevettero una copia. Anche Bèlikov ebbe la sua e la caricatura produsse su di lui la più tremenda impressione. Una domenica, primo maggio, uscimmo insieme di casa perché avevamo convenuto, tra professori e alunni, di ritrovarci vicino al liceo per andare insieme nei boschi. Bèlikov era verde, e più cupo di una nuvola burrascosa.

‹Come la gente è malvagia, perfida!› disse con le labbra tremanti.

Mi fece addirittura pietà. D'improvviso, figuratevi, mentre si camminava, arriva in bicicletta Kovalènko e dietro lui sua sorella, pure in bicicletta: stanca, rossa, ilare, soddisfatta.

‹Noi andiamo avanti,› gridò, ‹fa così bel tempo, così bello da non credere!› E tutt'e due scomparvero. Da verde che era, il mio Bèlikov diventò bianco: pareva pietrificato. Si ferma e mi guarda.

‹Scusate,› mi disse, ‹che è dunque? O forse travedo? Credete che sia decente, per dei professori e delle donne, andare in bicicletta?›

‹E che c'è di indecente?› domandai. ‹Se ne vadano come a loro garba.›

‹Ma è possibile...› esclamò stupefatto della mia calma. ‹Cosa avete detto?›

E rimase talmente stordito da non voler più andare innanzi; rientrò a casa sua.

Il giorno dopo, tutto tremante, si stropicciava le mani nervosamente e senza posa: gli si leggeva in viso che stava male. Lasciò la sua classe, cosa che non gli era mai accaduta in tutta la vita; non pranzò, e verso sera si mise dei panni pesanti, benché fosse estate, e si avviò lentamente dai Kovalènko. Vàrenka era uscita e suo fratello era solo.

‹Prego, sedete,› disse Kovalènko, con freddezza e col viso accigliato.

Pareva avesse sonno: aveva fatto la siesta dopo colazione ed era di cattivo umore. Bèlikov, dopo alcuni di minuti di silenzio, cominciò:

‹Vengo a dirvi quel che mi sta sul cuore e mi pesa: un umorista mi ha voluto disegnare in un aspetto ridicolo, con una persona che ci è vicina, a voi e a me. Tengo a dirvi che io non c'entro per nulla... Non ho dato nessun pretesto a simile canzonatura; anzi, al contrario, mi sono sempre condotto irreprensibilmente, come deve fare ogni uomo dabbene.›

Kovalènko restò seduto, imbronciato e silenzioso. Bèlikov attese un poco, e riprese poi, piano, con voce triste:

‹E ho anche qualche altra cosa da dirvi: sono professore da lungo tempo, mentre voi siete appena agli inizi, e in quanto più anziano di voi credo dovervi dare un avvertimento. Andare in bicicletta è una distrazione del tutto sconveniente, per un educatore dei giovani.›

‹E perché?› chiese Kovalènko, con la sua voce di basso.

‹Forse che occorre una spiegazione? Non è facile capirlo? Se il maestro va in bicicletta, che rimane da fare agli scolari? Non resta loro altro che camminare sulla testa. E dal momento che ciò non è autorizzato da una circolare, è chiaro che non è permesso. Ieri mi sono spaventato: quando vidi vostra sorella non credevo ai miei occhi. Una donna, una signorina in velocipede! orribile!›

‹Insomma, cosa volete?›

‹Non desidero che una cosa: avvertirvi. Siete giovane, avete l'avvenire dinanzi a voi, dovete comportarvi con molta, molta prudenza. Vi prendete troppa libertà! Oh, se ve ne prendete! Portate delle camicie ricamate, circolate di continuo in città tenendo non si sa che libri; e adesso, in velocipede! Il preside saprà che voi e vostra sorella andate in bicicletta e ciò arriverà sino agli orecchi del provveditore... Non ne verrà nulla di buono!›




















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