Quarto piano, interno 4
Salvatore Di Giacomo
(...) Di faccia
alla finestra ove la servetta s'indugiava era quella della Marangi, la
maestrina comunale. A poca distanza dal parapetto, seduta a una tavola sulla
quale era pur la piccola macchina da cucire, la Marangi scriveva, piegata su un
mucchio di carte. Di volta in volta, sostando, si leccava il medio della mano
destra che s'era insudiciato d'inchiostro, e lo fregava a una pezzuola.
- Signorina Marangi, - disse Milia - scusate tanto se vi disturbo. Io vado per
una commissione e lascio sola la mia signorina. Mi volete dare occhio alla
porta?
La Marangi levò il capo. Rispose:
- Va bene.
E si rimise a scrivere. S'udì lo sbattere della porta e Milia scese le scale,
canticchiando. Era così alto il silenzio che la Marangi udì, chiaramente, la
voce della servetta in cortile. Milia diceva al portinaio:
- Don Angelo, non lasciate salire alcuno. La signorina è rimasta sola in casa.
Io vado per un soldo d'aghi e subito torno.
La maestrina, che aveva abbandonato il braccio sulla tavola e schiuse le dita
dalle quali era sfuggita la penna sospirò profondamente. I suoi grandi e dolci
occhi azzurri si velarono, stanchi, fra le ciglia. Appena tornata dalla scuola
s'era posta a rivedere i compiti delle sue scolarette: un mucchio di scritti
infantili aspettava ancora i suoi segni di correzione a matita azzurra. E la
notte precedente ella aveva così poco dormito!
- Pazienza! - mormorò, passando e ripassando le dita sulle palpebre grevi.
Come un'eco, dalla finestra di rimpetto, una voce ripetette:
- Pazienza!
- Oh, Sofia! Sei tu? - disse la Marangi.
Immobile, ritta presso il davanzale della sua finestra, la signorina Sofia la
guardava.
- E tu che fai, Laura?
La maestrina sorrise, malinconicamente. Con gli occhi indicò gli scritti sparsi
sulla tavola. - Non vedi? Correggo compiti.
Rimasero mute per un po' tutte e due, contemplandosi.
- Che fai? - disse la Marangi.
- Nulla.
- Nulla? Troppo poco... Tu soffri, Sofia, tu soffri, lo so. Lo vedo. Come sei
pallida!
Si levò dalla tavola e venne a porsi davanti alla finestra. Mise le mani
spiegate sul davanzale. E, gravemente, soggiunse:
- Senti, Sofia, lascialo! Io te lo volevo dire da tanto tempo! Pensa a te,
pensa a te! Quell'uomo lì non è fatto pel tuo carattere nobile e fine.
Lascialo. Egli ti lascerà, se non lo lasci. E' tristo, è ingeneroso...
Perdonami, sai, non ti dolere... è tristo, è tristo!...
Sofia Sponzilli tremava, bianca come un cencio. Tremavano le sue piccole mani
nervose e tormentavano i fascicoli del romanzo, il gomitolo, il ricamo che
Milia aveva dimenticato sulla finestra.
Rispose, piano:
- No... non posso.
- Ti lascerà! Lo vedrai.
- Ebbene... se fa questo... Vedrai, Laura!
La maestrina scosse la testa, pietosa. E si mise a riordinare, macchinalmente,
i suoi compiti sulla tavola.
- Tu non hai cuore per certe cose! - disse la Sponzilli, all'improvviso. - Tu
non hai mai amato!
- Oh, figlia mia! - balbettò la maestrina, con tutta la commossa voce del suo
cuore pieno di ricordi e di rimprovero. E le carte le sfuggirono di mano, ed
ella chinò la testa e si sentì piegare.
La Sponzilli era scomparsa. Laura Marangi scivolò temente lungo la tavola,
tornò a sedere al suo posto, riprese la penna e contemplò, muta, meditando, i
suoi compiti. Gli occhi le si erano empiti di lagrime. Bagnò due o tre volte la
penna, cercò uno degli scritti nel mucchietto che se n'era posto davanti. La
mano e lo scritto rimasero lì, immoti. Ella si risovveniva, ora, di tutte le
sue pene, di tutto l'amor suo finito miseramente per una volgare questione
d'interessi, di denaro. Povera, anche lei: con una mamma vecchia, cieca,
poveramente pensionata, con un fratello ferroviere che ora le voleva
abbandonare per ammogliarsi, e senz'altro, senz'altro, che uno stipendio
meschino! E senza più amore, e senza più speranza, davanti all'oscuro avvenire!
Reclinò la testa bionda sul braccio e ve la posò, e vi nascose la faccia. (...)