Pimpì Oselì
Elena Gianini Belotti
(.....) Gli scolari sono sessanta, come nelle altre
classi. Il primo giorno di scuola, la maestra ha assegnato i posti nei banchi,
in ordine crescente di altezza: nella fila di sinistra le femmine, in quella di
destra i maschi: quelli avanzati, nella fila centrale, dove sta Cecilia,
accanto alla Clotilde, la figlia del segretario comunale. Le basterebbe
allungare un braccio per toccare quello di Gianni, seduto di fianco a lei,
nella fila dei maschi. In un angolo sul fondo, contro il muro, c'è il banco degli
asini, nell'ultima fila i ripetenti.
La signorina maestra passeggia su e giù per la classe e lascia dietro di sé una
scia profumata di gelsomino. E' bella, la maestra, agile, snella, si muove di
slancio, i polpacci frementi, come se fosse sempre sul punto di spiccare una
corsa, ha gesti impetuosi e scoppi allegri di voce, occhi brillanti del colore
delle castagne e capelli folti e ricci che scrolla come una puledra
insofferente. Di tanto in tanto bagna la punta dell'indice con la saliva e
ridisegna le sopracciglia depilate e i tirabaci alle orecchie, guarda assorta
dalla finestra i rami nudi degli ippocastani e canticchia a mezza voce: "O
zingaro nero, ti sogno per me, tu fammi provare tu, l'amor cos'è."
Per giorni e giorni spiega come ci si comporta a scuola: si entra senza far
chiasso e con la bocca chiusa, si ripone la cartella sotto il ripiano del
banco, ci si siede composti, le mani in prima ben distese una accanto all'altra
e si resta fermi e zitti. Lei sta ritta sulla cattedra, la mano sinistra lascia
dietro di sé una scia profumata di gelsomino. E sullo stomaco, la destra
mezz'aria sulla fronte.
"Si deve sentir volare una mosca", dice in attesa di dare inizio, con
il segno della croce, alla preghiera del mattino. (....)
All'appello si risponde "presente" scattando in piedi e alzando il
braccio destro. Tutti confondono la destra con la sinistra, lei si ostina
invano ogni giorno a farli esercitare perché arrivino a distinguere un braccio
dall'altro. Insegna anche la buona creanza: quando la maestra entra in classe,
ci si alza in piedi tutti insieme, si aspetta che ordini: seduti! e si
risponde: grazie. Lo stesso si deve fare, per rispetto, quando entra una
persona adulta. Ci si toglie il berretto quando si parla con qualcuno e non si
tengono le mani in tasca. Non si risponde sì o no alla maestra, e neppure alle
persone di riguardo, ma sissignore o nossignore.
(...)
La signorina Margherita non ammette che gli scolari parlino bergamasco e
insiste nel correggerli quando storpiano l'italiano traducendolo dal dialetto.
Non si dice il mio di me, il tuo di te, il suo di lui, spiega, si dice il mio,
il tuo, il suo... (...)
Copiare dal compagno di banco è proibito, anche nel caso fosse d'accordo: ma
d'accordo non è mai. I più bravi si difendono proteggendo con la mano a
paravento la pagina del quaderno e allungando al vicino calci negli stinchi.
Se
si suggerisce e la maestra se ne accorge, si viene spediti in castigo
dietro
la lavagna. I craponi che vengono a scuola solo per scaldare il banco,
fanno
scena muta all'interrogazione, si ostinano a parlare dialetto, prendono
insufficiente nei compiti o si addormentano mentre la maestra spiega,
vengono esiliati nel banco degli asini.
Ogni tanto qualche mamma viene a parlare con la sciura maestra e le raccomanda
di suonargliele di santa ragione al figlio se non fa il bravo e non sa la
lezione Quando si arrabbia con chi fa chiasso, fa il burattino, parla col
compagno di banco, allunga slèpe che spellano la faccia, le levate dalle mani,
voi, le sberle, grida.
Più spesso usa appendere sulle spalle del colpevole un cartello con scritto:
"asino" e lo manda in giro per la classe: i compagni sono autorizzati
a ridere finché la maestra non dice basta. Capita che uno scolaro di seconda,
di terza e persino di quarta venga spedito in prima dalla sua insegnante perché
non ha studiato o ha fatto il matto: i bambini sono invitati a dileggiarlo e lo
fanno disciplinatamente, con una specie di doverosa compunzione, perché andare
indietro come i gamberi costituisce il massimo del disonore. Il reo entra
accompagnato dal bidello, si sforza di affrontare l'umiliazione ostentando
indifferenza o spavalderia, sibila insulti ai vicini, i quali subito alzano la
mano e lo denunciano alla maestra. Nell'aula si respira un'aria torbida di
voglia di linciaggio. C'è paura quando non si sa una cosa che un altro bambino
invece sa.
Quando il Batistì non ha saputo dire le vocali tutte in fila, la maestra le ha
chieste alla Celestina che aveva alzato la mano e le ha snocciolate con
prontezza. "Brava"! ha esclamato, vai a bagnare il naso al Batistì.
Cecilia, sgomenta, ha scorto un'abbietta luce di trionfo negli occhi della
Celestina mentre s'infilava l'indice in bocca, si dirigeva verso il compagno e
gli inumidiva il naso. La scolaresca ha riso sguaiata, finché la signorina ha
picchiato il pugno sulla cattedra per farli smettere. Il Batistì aveva il viso
in fiamme, le orecchie infuocate e gli occhi pieni di lacrime. Si è asciugato
furtivamente il naso, ha chinato la faccia sul banco e non si è mosso più per
tutta la mattina.
Ci han bagnato il naso, ci han bagnato il naso! Lo hanno deriso i compagni
all'uscita, girandogli intorno come avvoltoi sulla preda. (.....)
La maestra ha detto che ai bambini che non studiano e non fanno i compiti
cresceranno le orecchie d'asino, come a Pinocchio. Molti se le sono palpate,
spaventati.
E come a Pinocchio, si allungherà il naso a quelli che dicono le bugie. Alcuni
se lo sono toccato: vuol dire, ha osservato, che non avevano la coscienza
proprio pulita. Ai bambini bugiardi, prima che il naso si allunghi, appare
sulla fronte una macchiolina scura che solo le maestre possono vedere. Le bugie
hanno le gambe corte, ammonisce severa, la verità viene sempre a galla, perché
il diavolo fa le pentole ma non i coperchi. E chi è bugiardo è anche ladro. E
infine: chi si scusa si accusa e chi è in difetto è in sospetto.
I bambini, conclude, devono sforzarsi di essere buoni. Essere buoni significa
fare il bene senza speranza di ricompensa. (.....)
E' arrivato l'inchiostro. Il bidello è entrato in classe con un
bottiglione, la
Margherita ha illustrato con solennità l'importanza dell'avvenimento,
ormai sapevano scrivere ed era giunto il momento di imparare a usare la
penna.
Il passaggio iniziatico dall'universo della matita a quello superiore
della
penna, rappresentò per lungo tempo una tortura per l'intera scolaresca.
Intingere il pennino nel calamaio, liberarlo dall'eccesso di inchiostro
sfregandolo delicatamente contro il bordo, condurlo fino alla pagina
del
quaderno era un'arte acrobatica dagli esiti incerti.
Nel breve, angosciante percorso dal calamaio al foglio bianco, stavano in
agguato incognite imponderabili. La perigliosa uscita del pennino col suo
carico liquido dall'area protetta del calamaio si materializzava in una goccia
che piombava a tradimento stampandosi rotonda e densa sulla pagina. Era la
disfatta.
Sudati, congestionati, le dita avvinghiate alla cannuccia, i bambini volgevano
intorno con occhi imploranti a invocare soccorso. La carta asciugante premuta
con circospezione sulla macchia, lungi dal produrre la sperata magia di cancellarla, la sbiadiva appena. Restava
lì in tutta la sua terribilità, a testimoniare a gran voce la vergogna della
sconfitta. Non c'era modo di liberarsene. La Margherita aveva severamente
vietato la gomma da inchiostro e ammonito di non portarla nemmeno in classe
perché l'avrebbe requisita senza pietà. Ma c'era chi sfidava il divieto e,
facendosi scudo della schiena del compagno, si accaniva con la pietrosa gomma
contro la macchia nemica. Abrasioni, spiegazzature, buchi nella pagina
ampliavano il disastro invece di risolverlo.
Il pennino si rivelava uno strumento vendicativo: stridendo sulla carta,
s'impuntava all'improvviso nel bel mezzo di una parola e schizzava una
grandinata di goccioline. Col tempo, nel calamaio si depositava la polvere e
sul fondo sedimentava uno strato di melma che il pennino dragava, riemergendo
con un invisibile filamento appiccicato alla punta. Una volta appoggiato sul
foglio, l'insidia nascosta si rivelava con uno sbaffo deturpante che doleva
come una coltellata nel costato.
Il vento della catastrofe soffiava sulle teste chine dei bambini.
La maestra era un nemico crudele, senza misericordia.