interfreccia48

Lunario dei giorni di scuola


Quarantottesima settimana intermezzo

inter46

Pimpì Oselì
Elena Gianini Belotti 


(.....) Gli scolari sono sessanta, come nelle altre classi. Il primo giorno di scuola, la maestra ha assegnato i posti nei banchi, in ordine crescente di altezza: nella fila di sinistra le femmine, in quella di destra i maschi: quelli avanzati, nella fila centrale, dove sta Cecilia, accanto alla Clotilde, la figlia del segretario comunale. Le basterebbe allungare un braccio per toccare quello di Gianni, seduto di fianco a lei, nella fila dei maschi. In un angolo sul fondo, contro il muro, c'è il banco degli asini, nell'ultima fila i ripetenti.
La signorina maestra passeggia su e giù per la classe e lascia dietro di sé una scia profumata di gelsomino. E' bella, la maestra, agile, snella, si muove di slancio, i polpacci frementi, come se fosse sempre sul punto di spiccare una corsa, ha gesti impetuosi e scoppi allegri di voce, occhi brillanti del colore delle castagne e capelli folti e ricci che scrolla come una puledra insofferente. Di tanto in tanto bagna la punta dell'indice con la saliva e ridisegna le sopracciglia depilate e i tirabaci alle orecchie, guarda assorta dalla finestra i rami nudi degli ippocastani e canticchia a mezza voce: "O zingaro nero, ti sogno per me, tu fammi provare tu, l'amor cos'è."
Per giorni e giorni spiega come ci si comporta a scuola: si entra senza far chiasso e con la bocca chiusa, si ripone la cartella sotto il ripiano del banco, ci si siede composti, le mani in prima ben distese una accanto all'altra e si resta fermi e zitti. Lei sta ritta sulla cattedra, la mano sinistra lascia dietro di sé una scia profumata di gelsomino. E sullo stomaco, la destra mezz'aria sulla fronte.
"Si deve sentir volare una mosca", dice in attesa di dare inizio, con il segno della croce, alla preghiera del mattino. (....)
All'appello si risponde "presente" scattando in piedi e alzando il braccio destro. Tutti confondono la destra con la sinistra, lei si ostina invano ogni giorno a farli esercitare perché arrivino a distinguere un braccio dall'altro. Insegna anche la buona creanza: quando la maestra entra in classe, ci si alza in piedi tutti insieme, si aspetta che ordini: seduti! e si risponde: grazie. Lo stesso si deve fare, per rispetto, quando entra una persona adulta. Ci si toglie il berretto quando si parla con qualcuno e non si tengono le mani in tasca. Non si risponde sì o no alla maestra, e neppure alle persone di riguardo, ma sissignore o nossignore.
(...)
La signorina Margherita non ammette che gli scolari parlino bergamasco e insiste nel correggerli quando storpiano l'italiano traducendolo dal dialetto. Non si dice il mio di me, il tuo di te, il suo di lui, spiega, si dice il mio, il tuo, il suo... (...)
Copiare dal compagno di banco è proibito, anche nel caso fosse d'accordo: ma d'accordo non è mai. I più bravi si difendono proteggendo con la mano a paravento la pagina del quaderno e allungando al vicino calci negli stinchi.
Se si suggerisce e la maestra se ne accorge, si viene spediti in castigo dietro la lavagna. I craponi che vengono a scuola solo per scaldare il banco, fanno scena muta all'interrogazione, si ostinano a parlare dialetto, prendono insufficiente nei compiti o si addormentano mentre la maestra spiega, vengono esiliati nel banco degli asini.
Ogni tanto qualche mamma viene a parlare con la sciura maestra e le raccomanda di suonargliele di santa ragione al figlio se non fa il bravo e non sa la lezione Quando si arrabbia con chi fa chiasso, fa il burattino, parla col compagno di banco, allunga slèpe che spellano la faccia, le levate dalle mani, voi, le sberle, grida.
Più spesso usa appendere sulle spalle del colpevole un cartello con scritto: "asino" e lo manda in giro per la classe: i compagni sono autorizzati a ridere finché la maestra non dice basta. Capita che uno scolaro di seconda, di terza e persino di quarta venga spedito in prima dalla sua insegnante perché non ha studiato o ha fatto il matto: i bambini sono invitati a dileggiarlo e lo fanno disciplinatamente, con una specie di doverosa compunzione, perché andare indietro come i gamberi costituisce il massimo del disonore. Il reo entra accompagnato dal bidello, si sforza di affrontare l'umiliazione ostentando indifferenza o spavalderia, sibila insulti ai vicini, i quali subito alzano la mano e lo denunciano alla maestra. Nell'aula si respira un'aria torbida di voglia di linciaggio. C'è paura quando non si sa una cosa che un altro bambino invece sa.
Quando il Batistì non ha saputo dire le vocali tutte in fila, la maestra le ha chieste alla Celestina che aveva alzato la mano e le ha snocciolate con prontezza. "Brava"! ha esclamato, vai a bagnare il naso al Batistì.
Cecilia, sgomenta, ha scorto un'abbietta luce di trionfo negli occhi della Celestina mentre s'infilava l'indice in bocca, si dirigeva verso il compagno e gli inumidiva il naso. La scolaresca ha riso sguaiata, finché la signorina ha picchiato il pugno sulla cattedra per farli smettere. Il Batistì aveva il viso in fiamme, le orecchie infuocate e gli occhi pieni di lacrime. Si è asciugato furtivamente il naso, ha chinato la faccia sul banco e non si è mosso più per tutta la mattina.
Ci han bagnato il naso, ci han bagnato il naso! Lo hanno deriso i compagni all'uscita, girandogli intorno come avvoltoi sulla preda. (.....)
La maestra ha detto che ai bambini che non studiano e non fanno i compiti cresceranno le orecchie d'asino, come a Pinocchio. Molti se le sono palpate, spaventati.
E come a Pinocchio, si allungherà il naso a quelli che dicono le bugie. Alcuni se lo sono toccato: vuol dire, ha osservato, che non avevano la coscienza proprio pulita. Ai bambini bugiardi, prima che il naso si allunghi, appare sulla fronte una macchiolina scura che solo le maestre possono vedere. Le bugie hanno le gambe corte, ammonisce severa, la verità viene sempre a galla, perché il diavolo fa le pentole ma non i coperchi. E chi è bugiardo è anche ladro. E infine: chi si scusa si accusa e chi è in difetto è in sospetto.
I bambini, conclude, devono sforzarsi di essere buoni. Essere buoni significa fare il bene senza speranza di ricompensa. (.....)
E' arrivato l'inchiostro. Il bidello è entrato in classe con un bottiglione, la Margherita ha illustrato con solennità l'importanza dell'avvenimento, ormai sapevano scrivere ed era giunto il momento di imparare a usare la penna. Il passaggio iniziatico dall'universo della matita a quello superiore della penna, rappresentò per lungo tempo una tortura per l'intera scolaresca. Intingere il pennino nel calamaio, liberarlo dall'eccesso di inchiostro sfregandolo delicatamente contro il bordo, condurlo fino alla pagina del quaderno era un'arte acrobatica dagli esiti incerti.
Nel breve, angosciante percorso dal calamaio al foglio bianco, stavano in agguato incognite imponderabili. La perigliosa uscita del pennino col suo carico liquido dall'area protetta del calamaio si materializzava in una goccia che piombava a tradimento stampandosi rotonda e densa sulla pagina. Era la disfatta.
Sudati, congestionati, le dita avvinghiate alla cannuccia, i bambini volgevano intorno con occhi imploranti a invocare soccorso. La carta asciugante premuta con circospezione sulla macchia, lungi dal produrre la sperata magia di cancellarla, la sbiadiva appena. Restava lì in tutta la sua terribilità, a testimoniare a gran voce la vergogna della sconfitta. Non c'era modo di liberarsene. La Margherita aveva severamente vietato la gomma da inchiostro e ammonito di non portarla nemmeno in classe perché l'avrebbe requisita senza pietà. Ma c'era chi sfidava il divieto e, facendosi scudo della schiena del compagno, si accaniva con la pietrosa gomma contro la macchia nemica. Abrasioni, spiegazzature, buchi nella pagina ampliavano il disastro invece di risolverlo.
Il pennino si rivelava uno strumento vendicativo: stridendo sulla carta, s'impuntava all'improvviso nel bel mezzo di una parola e schizzava una grandinata di goccioline. Col tempo, nel calamaio si depositava la polvere e sul fondo sedimentava uno strato di melma che il pennino dragava, riemergendo con un invisibile filamento appiccicato alla punta. Una volta appoggiato sul foglio, l'insidia nascosta si rivelava con uno sbaffo deturpante che doleva come una coltellata nel costato.
Il vento della catastrofe soffiava sulle teste chine dei bambini.
La maestra era un nemico crudele, senza misericordia.










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