Penny Wirton e
sua madre
Silvio D'Arzo
(...) L'uscio si spalancò all'improvviso, e sbattè
contro il muro, e due o tre vetri si infransero a terra. E ne uscì un uomo
tutto quanto vestito di nero, su per giù come un giovane prete, con in più due
fibbiole di latta alle scarpe e in mano una canna lunga il doppio di una lenza
da trote.
Era magro come tre uomini magri, ed arrabbiato per sei: e quel che non era
rabbia, era sdegno e matto dispetto e desiderio d'usare la canna.
Con l'altra mano si trascinava dietro un ragazzo tutto vestito di giallo: e
quando fu nel corridoio lo lasciò andare di colpo come si lascia andare un
canestro dal manico sporco di fango.
I tre ragazzi s'addossarono al muro con tutte le forze: sicché, a prima vista,
parevano tre disegni e nient'altro.
- E adesso apri bene le orecchie, - si mise a dire al ragazzo il Supplente che
ormai non aveva più voce.
- Adesso ascoltami bene. Io mi chiamo Isaia Balcop, sono Baccelliere d'arte e
maestro di scuola: ho ventisette anni e a momenti ventotto: e da dieci non
faccio che andare da una scuola all'altra, come un pitocco alle fiere. E ho
conosciuti tutti i tipi di scolari del mondo: timidi, idioti, nervosi,
insopportabili, maniaci, smemorati, distratti, impudenti, malarnesi di strada,
topi di banco e anche peggio. Ho conosciuto, dico, ragazzi dalla lingua
proibita, da dar dei punti anche a Gionata Swift... Ma uno come te mai, in
dieci anni. Sei l'impudenza incarnata. Questa, per prima cosa, ragazzo. E ce
n'è poi una seconda.....
Il Supplente s'interruppe per inghiottire saliva: e il ragazzo lo guardava
tremando, e cercava di balbettare qualcosa.
- E ce n'è poi una seconda. Se fai un giro per le quarantotto Contee, mare o
monte è lo stesso, fa questa domanda a tutti i ragazzi dai sette ai quattordici
anni (quindici anni, in certi casi, perfino): "Quante cose esigeva da voi
il Supplente Balcop, Baccelliere darte e maestro di scuola?" E loro
subito: "Tre". "E quali?", dirai. "Prima cosa:
rispetto. Seconda cosa: rispetto. Terza cosa: ancora e sempre rispetto". E
se tu un'altra volta t'azzarderai solo a pensare di... - E fece l'atto di
alzare la canna.
In quel momento s'aprì di colpo il cancelletto di legno e sulla ghiaia del
viale si sentì un ben strano rumore.
Una donna, sui cinquant'anni e un po' di più, tutta vestita di nero,
attraversava in gran fretta il giardino: e saliva i quattro gradini: e in un
secondo e nemmeno era lì.
Il Supplente si volse accigliato.
- Mi dispiace per voi, la mia donna, ma questa qui non è ora da visite. Se non
sbaglio, il cartello lo dice ben chiaro e in chiarissimi caratteri inglesi.
- Non sbagliate, signore, - rispose ancora ansimando la donna.- E dispiace
molto anche a me. Ma c'è un fatto...
E gli disse qualcosa all'orecchio. Il Supplente guardò prima lei e poi il
ragazzo, come chi non riesce ancora a comprendere bene. E la donna gli si
avvicinò nuovamente e gli parlò ancora ed a lungo all'orecchio. E questa volta
il Supplente dovette capire ogni cosa, perché alla fine si rivolse sorridendo
al ragazzo.
- Bene, Penny. Benissimo, - gli disse.
- Ecco una buona lezione per me: una lezione in piena regola, certo. Di questo
puoi stare tranquillo. Ma chi poteva saperlo, mi dici? Io sono un uccello
forestiero, quaggiù: non conosco niente e nessuno; e anche il Cieco potrebbe
darmi dei punti... Così adesso, Penny, mi fai il favore di rientrare al tuo
posto. E se, prima, mi vorrai dare la mano, credo che la cosa sarà anche due
volte migliore.
Il ragazzo vestito di giallo gli diede sorridendo la mano e mormorò qualcosa e
rientrò.
Strisciando lungo il muro ed in punta di piedi, anche gli altri tre
s'infilarono in classe.
- Perché c'è sotto tutta una storia, vedete, - disse un po' imbarazzata la
madre al Supplente. - E se un giorno non dovessi annoiarvi...
- E perché non adesso? - disse invece il Supplente. - Credete che a scuola se
ne racconti qualcuna migliore?
E, siccome in quel momento s'accorse d'aver ancora in mano la canna, per prima
cosa arrossì e poi fece l'atto di cacciare con quella le mosche. (...)