frecciainter41

Lunario dei giorni di scuola


Quarantunesima settimana intermezzo

inter30

Lidya la regina della terra promessa
Uri Orlev

(...) Non avevo problemi con gli adulti, a parte Leah. Mi piaceva Dina, e anche David era un bravo insegnante. Andavo d'accordo con l'insegnante di ginnastica, forse perché ero la migliore nel salto in lungo. Ma la mia preferita era Hannah, la maestra d'inglese.
Grazie a Mister Lupo conoscevo l'inglese meglio degli altri bambini, tanto che all'inizio mi annoiavo in classe e davo fastidio a tutti. Ogni volta che Hannah mi diceva qualcosa, io le rispondevo facendo qualche battuta, finché un giorno mi chiese di fermarmi dopo la lezione. "Vorrei fare due chiacchiere con te" mi disse in inglese.
Ero convinta che non sapesse una parola in ebraico, ma in seguito scoprii che lo parlava benissimo, ma preferiva rivolgersi ai suoi alunni in inglese. Anche in quell'occasione mi parlò in inglese, pronunciando parole e frasi molto semplici. Guardandola da vicino mi accorsi che aveva occhi azzurri, molto luminosi, e il collo pieno di rughe.
Credeva che io fossi una ragazza di città che si trovava in pensione al kibbutz, e quando le spiegai che mia madre era in Romania ma sarebbe arrivata al più presto, mi lanciò un'occhiata penetrante. Non mi chiese nulla di mio padre. "La mamma deve andare in Turchia, e forse gli inglesi la lasceranno passare". "Io sono inglese" sospirò Hannah.
"Come mai hai un nome ebraico?"
Mi spiegò che il suo vero nome era Ann, e che non era affatto ebrea.
"Ma allora perché... " Non finii la domanda. Mi venne in mente che poteva sembrare maleducato chiederle per quale motivo gli inglesi non lasciavano entrare gli ebrei in Palestina, o cosa ci faceva lei nel paese, visto e considerato che mi aveva chiamata per una ramanzina.
Hannah sembrò essersi dimenticata che doveva sgridarmi, e si mise invece a spiegarmi cosa l'aveva portata in Palestina. Anche se mi sfuggì qualcosa, riuscii a capire che suo marito era un ufficiale dell'esercito inglese, e lei non aveva voluto restare da sola a Londra. Gli Ebrei, la Terra Santa e la vita nei kibbutz l'avevano sempre interessata, e quello era il motivo per cui si era offerta volontaria per insegnarci l'inglese.
"Senza essere pagata?" le chiesi, per essere sicura del significato della parola volontaria.
"Senza essere pagata".
Avrei voluto chiederle se aveva figli, ma riuscii a controllarmi e le domandai invece cosa faceva suo marito.
"E' un ufficiale dell'esercito inglese. Te l'ho già detto, ma forse non hai capito".
"No, ho capito. Voglio solo sapere cosa fa nell'esercito".
"Mio marito fa parte di un'unità così speciale che non so nemmeno di cosa si tratti. Viene a casa raramente, e non abbiamo figli. Per questo mi piace tanto venire qui a insegnare. Amo il mio lavoro, anche se a volte una certa bambina è un po' insolente"
aggiunse sorridendo.
Fece una pausa, e stavo per scusarmi quando lei riprese: "E tu dove lavori, qui al kibbutz?"
Le raccontai dell'angolo della natura, di quanto mi piaceva dar da mangiare agli animali e di come non mi dava fastidio pulire gabbie e recinti.
"Senti la mancanza di tua madre? "
"Ogni tanto. A volte mi manca tantissimo, soprattutto dopo che ho litigato con qualcuno, altre volte invece mi dimentico che sono qui da sola".
"Io sento terribilmente la mancanza dei miei genitori, e sono anche molto preoccupata per loro".
"I tuoi genitori vivono a Londra?"
"Sì. Sono molto anziani e molto cari".
Non avrei mai immaginato che una persona grande come Hannah potesse avere ancora i genitori.
"Perché sei preoccupata?"
"Per via delle incursioni aree tedesche. Forse non lo sai, ma i tedeschi continuano a bombardare Londra".
Non lo sapevo. Da quel giorno in poi, non vedevo l'ora che arrivassero le lezioni di inglese. Hannah mi nominò sua assistente, e alla fine della lezione l'accompagnavo nella sala riservata agli insegnanti. Avevamo inglese la domenica e il mercoledì. La domenica era appena prima dell'intervallo, e poiché la sala professori era vicina alla nostra aula, ci fermavamo a metà strada per chiacchierare.
La lezione del mercoledì era invece l'ultima della giornata, e dopo accompagnavo Hannah alla fermata dell'autobus, restando a farle compagnia. In quelle occasioni avevamo un sacco di tempo per parlare, e io le raccontavo tutte le mie storie della Romania, le gite in montagna, le vacanze con Mihai e Ion, le mie governanti, Marioara, Mister Lupo e il modo in cui mi ero liberata di lui, e Adriana che correva sempre dalla mamma.
Le parlai anche delle bambole, dei matrimoni e dei funerali che organizzavo con loro, e delle cerimonie che servivano a dichiarare qualcuno mio nemico ufficiale.
"Sai" mi spiegò Hannah, "In Africa e in altri posti lontani ci sono delle tribù che fanno la stessa cosa quando vogliono uccidere un nemico, o vincere una guerra. Esiste persino una cerimonia chiamata VOODOO nel corso della quale si prende una bambola che rappresenta il nemico e si finge di ucciderla. Questo significa che anche il nemico morirà".
"E poi muore davvero"?
"Non lo so"! Hannah scoppiò a ridere. "Io non volevo uccidere sul serio Leah."
Un'altra volta mi chiese se mi piaceva la scuola. Prima d'allora non mi ero posta una domanda del genere.
"Sì" le risposi, dopo averci pensato sopra.
"Io credo che qui i bambini siano abbastanza felici. Vorrei aver frequentato una scuola come questa"! (...)










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