Lidya la regina della
terra promessa
Uri Orlev
(...) Non avevo
problemi con gli adulti, a parte Leah. Mi piaceva Dina, e anche David era un
bravo insegnante. Andavo d'accordo con l'insegnante di ginnastica, forse perché
ero la migliore nel salto in lungo. Ma la mia preferita era Hannah, la maestra
d'inglese.
Grazie a Mister Lupo conoscevo l'inglese meglio degli altri bambini, tanto che
all'inizio mi annoiavo in classe e davo fastidio a tutti. Ogni volta che Hannah
mi diceva qualcosa, io le rispondevo facendo qualche battuta, finché un giorno
mi chiese di fermarmi dopo la lezione. "Vorrei fare due chiacchiere con
te" mi disse in inglese.
Ero convinta che non sapesse una parola in ebraico, ma in seguito scoprii che
lo parlava benissimo, ma preferiva rivolgersi ai suoi alunni in inglese. Anche
in quell'occasione mi parlò in inglese, pronunciando parole e frasi molto
semplici. Guardandola da vicino mi accorsi che aveva occhi azzurri, molto
luminosi, e il collo pieno di rughe.
Credeva che io fossi una ragazza di città che si trovava in pensione al
kibbutz, e quando le spiegai che mia madre era in Romania ma sarebbe arrivata
al più presto, mi lanciò un'occhiata penetrante. Non mi chiese nulla di mio
padre. "La mamma deve andare in Turchia, e forse gli inglesi la lasceranno
passare". "Io sono inglese" sospirò Hannah.
"Come mai hai un nome ebraico?"
Mi spiegò che il suo vero nome era Ann, e che non era affatto ebrea.
"Ma allora perché... " Non finii la domanda. Mi venne in mente che
poteva sembrare maleducato chiederle per quale motivo gli inglesi non
lasciavano entrare gli ebrei in Palestina, o cosa ci faceva lei nel paese,
visto e considerato che mi aveva chiamata per una ramanzina.
Hannah sembrò essersi dimenticata che doveva sgridarmi, e si mise invece a
spiegarmi cosa l'aveva portata in Palestina. Anche se mi sfuggì qualcosa,
riuscii a capire che suo marito era un ufficiale dell'esercito inglese, e lei
non aveva voluto restare da sola a Londra. Gli Ebrei, la Terra Santa e la vita
nei kibbutz l'avevano sempre interessata, e quello era il motivo per cui si era
offerta volontaria per insegnarci l'inglese.
"Senza essere pagata?" le chiesi, per essere sicura del significato
della parola volontaria.
"Senza essere pagata".
Avrei voluto chiederle se aveva figli, ma riuscii a controllarmi e le domandai
invece cosa faceva suo marito.
"E' un ufficiale dell'esercito inglese. Te l'ho già detto, ma forse non
hai capito".
"No, ho capito. Voglio solo sapere cosa fa nell'esercito".
"Mio marito fa parte di un'unità così speciale che non so nemmeno di cosa
si tratti. Viene a casa raramente, e non abbiamo figli. Per questo mi piace
tanto venire qui a insegnare. Amo il mio lavoro, anche se a volte una certa
bambina è un po' insolente"
aggiunse sorridendo.
Fece una pausa, e stavo per scusarmi quando lei riprese: "E tu dove
lavori, qui al kibbutz?"
Le raccontai dell'angolo della natura, di quanto mi piaceva dar da mangiare
agli animali e di come non mi dava fastidio pulire gabbie e recinti.
"Senti la mancanza di tua madre? "
"Ogni tanto. A volte mi manca tantissimo, soprattutto dopo che ho litigato
con qualcuno, altre volte invece mi dimentico che sono qui da sola".
"Io sento terribilmente la mancanza dei miei genitori, e sono anche molto
preoccupata per loro".
"I tuoi genitori vivono a Londra?"
"Sì. Sono molto anziani e molto cari".
Non avrei mai immaginato che una persona grande come Hannah potesse avere
ancora i genitori.
"Perché sei preoccupata?"
"Per via delle incursioni aree tedesche. Forse non lo sai, ma i tedeschi
continuano a bombardare Londra".
Non lo sapevo. Da quel giorno in poi, non vedevo l'ora che arrivassero le
lezioni di inglese. Hannah mi nominò sua assistente, e alla fine della lezione
l'accompagnavo nella sala riservata agli insegnanti. Avevamo inglese la
domenica e il mercoledì. La domenica era appena prima dell'intervallo, e poiché
la sala professori era vicina alla nostra aula, ci fermavamo a metà strada per
chiacchierare.
La lezione del mercoledì era invece l'ultima della giornata, e dopo
accompagnavo Hannah alla fermata dell'autobus, restando a farle compagnia. In
quelle occasioni avevamo un sacco di tempo per parlare, e io le raccontavo
tutte le mie storie della Romania, le gite in montagna, le vacanze con Mihai e
Ion, le mie governanti, Marioara, Mister Lupo e il modo in cui mi ero liberata
di lui, e Adriana che correva sempre dalla mamma.
Le parlai anche delle bambole, dei matrimoni e dei funerali che organizzavo con
loro, e delle cerimonie che servivano a dichiarare qualcuno mio nemico
ufficiale.
"Sai" mi spiegò Hannah, "In Africa e in altri posti lontani ci
sono delle tribù che fanno la stessa cosa quando vogliono uccidere un nemico, o
vincere una guerra. Esiste persino una cerimonia chiamata VOODOO nel corso
della quale si prende una bambola che rappresenta il nemico e si finge di
ucciderla. Questo significa che anche il nemico morirà".
"E poi muore davvero"?
"Non lo so"! Hannah scoppiò a ridere. "Io non volevo uccidere
sul serio Leah."
Un'altra volta mi chiese se mi piaceva la scuola. Prima d'allora non mi ero
posta una domanda del genere.
"Sì" le risposi, dopo averci pensato sopra.
"Io credo che qui i bambini siano abbastanza felici. Vorrei aver
frequentato una scuola come questa"! (...)