I Buddenbrook
Thomas Mann
(...) Il signor Stengel - dalle tasche del suo
panciotto spuntava sempre una mezza dozzina di matite meravigliosamente
appuntite - portava una parrucca rosso volpe e un mantello aperto, color bruno
chiaro, che gli arrivava fin quasi alle caviglie; aveva certi collettoni che
salivano fino alle tempie, ed era un sottile, che amava le distinzioni
filosofiche, come per esempio:
- Tu devi fare una linea, figliolo, e che cosa fai? Fai un tratto! - Diceva
lina invece di linea.
Oppure, a un fannullone: - Tu resti in quarta non degli anni, ma, vorrei dire,
per anni! -
E diceva quaata invece di quarta, e non anni ma quasi onni...
Quel che gli piaceva di più era insegnare nell'ora di canto la bella canzone La
verde foresta; in quelle occasioni un paio di scolari dovevano andare nel
corridoio e quando il coro intonava: Allegri andiamo per campi e per prati...
bisognava che ripetessero pianissimo l'ultima parola, come l'eco.
Ma quando questo compito toccava a Christian Buddenbrook, a suo cugino Jürgen
Kröger o al suo amico Andreas Gieseke, il figlio del comandante dei pompieri,
quelli invece di far risuonare la tenera eco buttavano giù per le scale la
cassa del carbone, e alle quattro dovevano poi restare in reclusione
nell'appartamento del signor Stengel. Là però non si stava affatto male. Il
signor Stengel aveva dimenticato tutto e ordinava alla governante di servire
agli scolari Buddenbrook, Kröger e Gieseke una tazza di caffè, una per ciascuno,
si badi; dopo di che li lasciava andare...
In realtà gli eccellenti dotti che, sotto la sovranità cordiale di un vecchio
direttore umano e fiutator di tabacco, adempivano al loro ufficio sotto le
volte dell'antica scuola - era stata un convento - erano persone innocue e
bonarie, concordi nel ritenere che la scienza e l'allegria non si escludano a
vicenda, e desiderose di lavorare con piacere e benevolenza.
Nelle classi medie c'era un ex predicatore che insegnava il latino, un certo
pastore Hirte, un uomo lungo, con le basette castane e gli occhi vispi, per il
quale era una gioia della vita la coincidenza fra il suo nome e il suo titolo;
e non si stancava mai di far tradurre la parola "pastor". La sua
espressione favorita era "sconfinatamente limitato," né divenne mai
chiaro se si rendesse conto del bisticcio. Ma quando aveva in mente di
sbalordire gli scolari, ricorreva all'arte di far rientrare nella bocca le
labbra, in modo che poi scattassero fuori con il rumore di un tappo di
champagne. Gli piaceva andar su e giù per la classe a lunghi passi,
rappresentando con straordinaria vivezza a ciascuno scolaro la sua intera vita
futura, all'esplicito scopo di stimolarne un pochino la fantasia. Poi però
passava al lavoro serio, cioè faceva ripetere i versi che egli stesso aveva
composto con vera abilità sulle regole dei complementi - lui diceva: "le
regole dei complimenti" - e su tutte le costruzioni difficili; versi che
recitava, calcando il ritmo e la rima con ineffabile senso di trionfo...