frecciainter32

Lunario dei giorni di scuola


Trentaduesima settimana intermezzo

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I ricordi mi guardano

Tranströmer Tomas

(...) Gli insegnanti che occupano più spazio nella memoria sono naturalmente quelli che creavano un’alta tensione, gli originali più pittoreschi. Non erano la maggioranza, ma comunque molti. In alcuni c’era un che di tragico che anche noi potevamo intuire. Una situazione di sofferenza che appariva così: io so che non potrò essere amato da queste invidiabili teste di cavolo che ho davanti, ma farò almeno in modo di restare indimenticabile! La classe era un teatro. Sulla scena recitava il protagonista, l’insegnante, sotto impietoso esame. Gli allievi erano il pubblico e di tanto in tanto – uno a uno – coprotagonisti del dramma. Si doveva stare sempre in guardia. Dovetti abituarmi alle ricorrenti aggressioni. La maestra della scuola elementare aveva già creato una buona base – era severa e dura. Però non era una vera e propria teatrante. A casa non potevo trovare alcun insegnamento in materia. Era raro che ci fossero scenate, niente di spettacolare, nessuna ruggente figura paterna. La mamma era spontanea ma senza alcuna propensione al dramma. Mostrare collera era puerile. Io stesso, così irascibile durante l’infanzia, ero diventato un ragazzino abbastanza controllato. Il mio ideale era piuttosto inglese – a stiff upper lip. Gli attacchi d’ira erano cose da potenze dell’Asse. A scuola c’erano dei divi collerici che potevano dedicare la maggior parte della lezione a costruire una torre di indignazione isterica soltanto per poter sfogare la loro rabbia. Il mio insegnante di classe, Målle, non era a dire il vero un divo. Ma era vittima di ricorrenti e irresistibili attacchi di collera. In realtà Målle era una persona affascinante e un ottimo pedagogo nei suoi periodi più armonici. Ma purtroppo è la sua collera che io ricordo meglio. È possibile che le sue grandi esplosioni non si verificassero più di tre o quattro volte al mese. Ma era soprattutto su quei momenti che si fondava la sua grande autorità. In quelle ore di lezione il fulmine si muoveva avanti e indietro sopra il paesaggio. Si sapeva che doveva cadere, ma non dove. Målle non aveva vittime predestinate. Era «severo ma giusto». Poteva prendersela con chiunque. Un giorno il fulmine si abbatté su di me. Dovevamo aprire la grammatica tedesca. Non riuscivo a trovare il libro. Era rimasto nella cartella? L’avevo dimenticato a casa? In ogni caso fu tutto inutile. Non riuscii a trovarlo. “In piedi!” Vidi Målle saltare giù dalla cattedra e avvicinarsi a passi di danza. Come quando ci si trova in un campo e si vede un toro che ci viene incontro. Poi cominciarono a schioccare le sberle. Barcollavo di qua e di là. L’attimo dopo Målle era di nuovo in cattedra e, ancora schiumante di rabbia, stava scrivendo una nota da portare a casa. Era formulata in maniera vaga, c’era scritto che mi ero reso colpevole di «negligenza durante la lezione» o qualcosa del genere. Molti insegnanti speravano che quel tipo di note scritte portasse a interrogatori e rinnovate punizioni da parte dei genitori. A casa nostra non era così. La mamma ascoltò la mia versione e firmò la nota. Osservò anche che avevo un paio di lividi sul viso lasciati probabilmente dall’anello del pedagogo. Reagì con una violenza inusitata. Disse che avrebbe preso contatto con la scuola, forse addirittura telefonato al direttore. Allora protestai. Questo proprio no! Finora era andato tutto bene. Ma adesso c’era la minaccia dello Scandalo. Sarei stato classificato come cocco di mamma e perseguitato per l’eternità non solo da Målle ma dall’intero corpo insegnante. Naturalmente lasciò perdere. E per tutto il mio periodo scolastico mi sforzai di tenere separati il mondo della scuola e il mondo di casa. Se i due mondi cominciavano a filtrare uno nell’altro, la casa sarebbe stata contaminata. Non avrei più avuto un vero rifugio. Ancora oggi provo fastidio quando sento l’espressione «cooperazione tra casa e scuola». Posso anche rendermi conto che la separazione dei due mondi mi ha in seguito portato a una più fondamentale separazione tra vita privata e società. (Che non ha nulla a che vedere con idee di destra o di sinistra.) Quello che si vive a scuola si proietta in un’immagine della società. La mia esperienza complessiva della scuola era mista, ma più buia che luminosa. Così è diventata anche la mia immagine della Società. (Ma cosa si intende veramente per «società»?) I contatti tra insegnanti e studenti erano estremamente personali, fino all’invadenza, in molte situazioni tese i tratti più marcati del carattere venivano ingigantiti dall’atmosfera della classe. Personali, sì, ma niente affatto privati. Non sapevamo quasi nulla della vita privata dei nostri insegnanti, sebbene la maggior parte di loro abitasse nei dintorni della scuola. Ovviamente correvano voci – per esempio che Målle da giovane fosse stato un pugile peso leggero – ma non erano fondate e non ci credevamo realmente. Dati attendibili li avevamo su due dei più riservati giovani insegnanti che non si abbandonavano mai a scene drammatiche. Di uno sapevamo che era povero e si manteneva suonando il pianoforte in un ristorante la sera. Qualcuno l’aveva visto. Dell’altro che era campione di scacchi. Era comparso sul giornale. Un giorno d’autunno Målle era arrivato in classe con una rossola in mano. Mise il fungo sulla cattedra. Liberatorio e scioccante – si era intravisto uno scorcio della sua vita privata! Målle dunque raccoglieva funghi. Nessun insegnante esprimeva opinioni politiche. In compenso a quell’epoca c’erano tensioni inaudite nella sala professori. La Seconda guerra mondiale si combatteva anche lì. Parecchi di loro erano nazisti convinti. Pare che uno, ancora nel 1944, abbia esclamato – in sala professori – “Se cade Hitler cado io”. Ma non cadde. Me lo ritrovai come insegnante di tedesco al liceo. Si era ripreso tanto da poter salutare con grida di trionfo il premio Nobel a Hesse nel 1946. (...)



















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