frecciainter31

Lunario dei giorni di scuola


Trentunesima settimana intermezzo

inter30


Le Vie dei Canti

Chatwin, Bruce.

 

Yunnan, Cina

 Il maestro del villaggio era un uomo cavalleresco ed energico con folti e lucenti capelli di un nero bluastro; abitava con la moglie-bambina in una casa di legno accanto al torrente Giada. Aveva studiato musicologia e battuto sperduti villaggi di montagna per registrare i canti tradizionali della tribù Na-Khi. Credeva, come Vico, che le prime lingue del mondo fossero cantate. L’uomo primitivo, diceva, aveva imparato a parlare imitando i richiami di mammiferi e uccelli, ed era vissuto in musicale armonia con il resto del Creato.

 La sua stanza era piena di cianfrusaglie, salvate chissà come dai cataclismi della Rivoluzione Culturale. Appollaiati sulle sedie di lacca rossa sgranocchiammo semi di melone, mentre lui versava in ditali di porcellana bianca un tè di montagna chiamato «Manciata di neve». Ci fece ascoltare il nastro di un canto Na-Khi, un’antifonia che uomini e donne cantavano intorno a una salma sul catafalco: Uuuu... Ziii! Uuuu... Ziii! Cantavano per scacciare il Divoratore di Morti, un demone maligno, munito di zanne, che credevano mangiasse l’anima.

 La sua capacità di canticchiare a una a una le mazurche di Chopin, oltre a un repertorio beethoveniano che pareva sconfinato, fu per noi una sorpresa. Nel 1940 il padre, mercante nel commercio carovaniero della zona di Lhasa, lo aveva mandato a studiare musica occidentale all’Accademia di Kunming. Sulla parete alle sue spalle, sopra una riproduzione di L’embarquement pour Cythère di Claude Lorrain, c’erano due sue foto incorniciate: una dietro un pianoforte a coda, in cravatta bianca e marsina; l’altra mentre dirigeva l’orchestra in una strada gremita di folla che sventolava le bandiere: una figura irruente e vigorosa, in punta di piedi, con le braccia protese verso l’alto e la bacchetta abbassata. «Era il 1949» disse. «Davamo il benvenuto all’Armata Rossa che entrava a Kunming». «Che cosa suonavate?». «La Marche militaire di Schubert». Per questo – anzi per la sua dedizione alla «cultura occidentale» – si era preso ventun anni di prigione. Stese le mani davanti a sé e le fissò tristemente, come se fossero due orfane perdute da tempo. Aveva le dita adunche e i polsi sfregiati: ricordo del giorno in cui le Guardie lo avevano appeso alle travi del tetto, nella posizione di Cristo sulla Croce... o di un uomo che dirige un’orchestra.



















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