Gli ultimi della
classe
Paola Tavella
(...) Quando Davide stava per compiere quindici
anni, a scuola hanno deciso di organizzargli una festa. Nonostante sia uno di
quelli che Nerone, per fare onore al suo nome, minaccia ogni tanto di versarlo
nel Vesuvio, e abbia una spiccata propensione al danneggiamento doloso, si fa
amare da tutti. È lungo e biondo con gli occhi che ridono. Occhi che sono stati
una rivelazione, perché quando è arrivato, a ottobre, guardava sempre in basso.
La sua insegnante e tutore, Greta, è l'unica a scuola a essere alta quanto lui.
Ora che è quasi primavera si siedono insieme nel prato, attenti a non finire
nella spazzatura e sulle ortiche, con l'atlante aperto sulle ginocchia.
Ogni tanto ridono fino alle lacrime, chissà di che. Davide è incapace di
concentrarsi per più di dieci minuti anche quando le cose gli piacciono. Ma
segue Greta ovunque lei lo voglia portare. In piscina per imparare a nuotare, a
Pompei a vedere gli scavi, al corso di canottaggio. Persino dal dentista.
La mattina della festa Greta arriva con la torta, un girello alla crema di
mitica bontà che fa con le sue mani. Lo decora con lenti di cioccolato,
comincia ad andare avanti e indietro dalla cucina alla porta e a chiedere se
hanno visto Davide, come mai ancora non è a scuola.
Entra Antonia insieme a una folata di burro fritto, ha preparato i pop-corn e
si lamenta che lei e la sua automobile puzzano tremendamente. Entra Chiara,
l'insegnante dei più piccoli, che doveva comperare le bibite, e, infatti,
eccole. Caterina sfoggia uno dei suoi rari, luminosi sorrisi, ha un regalino
per Davide, un braccialetto di cuoio con il nome. Intanto le dieci e il
festeggiato non c'è.
A Gisella viene in mente che forse Davide non ha mai avuto un'autentica festa
di compleanno in vita sua, non sa bene cosa aspettarsi e quindi sarà in qualche
punto imprecisato fra casa e scuola a mangiarsi le unghie, senza andare ne
avanti ne indietro.
Costernazione generale: come hanno potuto essere così sceme da non pensarci?
E poi c'è la faccenda del padre, dice Caterina. Dopo sette anni di carcere
torna a casa. Da quando è arrivata la notizia, Davide è agitato. Gli ho chiesto
che cosa aveva, racconta Greta. Ha paura, dice, che suo fratello Pino venga
mandato in guerra contro la Serbia. Ma il fratello fa il poliziotto, in guerra
contro la Serbia i poliziotti non ci vanno. Una cosa del genere lo sanno
perfino a casa di Davide. Lo sapete che non è mai voluto andare a Poggioreale
dal padre? Gli ha mandato delle fotografie e gli ha scritto una lettera per
Natale: <<Caro padre, spero che sarai libero quando compirò quindici
anni. Sarai molto orgoglioso perché sono molto cresciuto in muscoli e altezza.
Faccio canottaggio con Davide Tizzano, che si chiama come me ed è un
grandissimo campione. Sono stato in barca a vela con lui davanti a Nisida. Ora
ti saluto perché devo andare.
Il tuo caro figlio Davide>>.
L'ha ricopiata sul quaderno di italiano. Forse non l'ha mai spedita. Dalla
stanza Spassatiempo arriva un gran chiasso. Segno che l'impazienza cresce. I
ragazzi vogliono i pop-corn, e le coca-cole, il girello, insomma la festa. E il
festeggiato.
<<Se non arriva lo vado a cercare cò ò mezzo>> dice Peppe, dove ò
mezzo è il motorino, che peraltro Peppe non ha. Alle dieci e mezzo Davide viene
avvistato, anche fuori del recinto della scuola. Chiacchiera con il venditore
di sigarette. Perde tempo. Greta parte per recuperarlo e, non si sa come, lo
attira dentro.
Entra e si sente un boato. Tutti urlano, saltano, gli tirano le orecchie e lo
baciano. Lui resta in piedi nell'atrio, immobile e come rassegnato, una specie
di idolo assalito da ogni lato. La vista della torta con le decorazioni e le
candeline lo lascia di sasso <<E per il compleanno mio?>> chiede a
destra e a manca. Anche sua madre è stata avvertita e invitata e ha portato i
fratelli - Silviuccio, il piccolo, e Pino, che è a licenza a casa - e sua
nonna, Ninetta. Il nonno sarebbe venuto, e ha anche provato a muoversi, ma se
mette giù le gambe urla dal dolore. I familiari di Davide vengono fatti
accomodare nella stanza Spassiatempo, vicino al ragazzo.
Sono seduti in semicerchio, serviti e riveriti come a una festa nuziale di
paese. Quando le candeline sono spente, e il dolce mangiato è complimentato, la
madre e la nonna vengono gentilmente sospinte verso l'automobile e spedite a
casa. Così si può ballare.
Caterina accompagna Ninetta fino all'automobile e la aiuta a sedersi.
Le chiede come va. Ninetta si preme il fazzoletto sulla bocca e scuote la
testa. <<Hai visto con i tuoi occhi>> dice. Ieri il vecchio, che
sta a letto con la finestra aperta sulla strada, ha adocchiato Caterina
passargli davanti e ha chiesto a Ninetta, sua moglie di uscire a chiamarla. Si
conoscono bene, abitano a pochi passi da vent'anni, le loro vite si sono
intrecciate molte volte. Il vecchio sta morendo, Ninetta lo sa e non lo vuole
sapere. Lo rimbrotta, perché fuma, perché non vuole andare all'ospedale, perché
non prova nemmeno ad alzarsi. Faceva il ferroviere, uno di quelli che sostituivano
a giornata i malati o le vittime degli incidenti sul lavoro. Allora nei vagoni
dei treni c'era l'amianto e adesso quello lo uccide. È stata comunista sempre,
negli anni trenta, negli anni Cinquanta, quando i padroni assoldavano malamente
perché venissero nel basso a sfasciargli tutto. Caterina lo ha conosciuto nel
70 quando è arrivata qui dalla Valtellina, fresca sposa di Nerone. Hanno fatto
insieme le lotte nel quartiere. Era un uomo indomito, sempre in prima fila.
Caterina ricorda perfettamente com'era il basso a quei tempi. Due stanze e
mezzo, e una era la cucina, ci vivevano in dodici e facevano i turni per
sedersi a mangiare. Il gabinetto era fuori, nel cortile, in comune con un'altra
famiglia. Adesso i figli hanno comprato anche i locali a fianco, allargato,
imbiancato, costruito un bagno enorme, con un intera parete di specchio. Mi
hanno messo una macchina del gas a sei fuochi, ha detto Ninetta, ma è troppo
tardi. "Non cucino quasi più, siamo rimasti soli. È nello specchio mi
schifo a guardarmi, ormai sono una vecchia senza i denti." Piuttosto le
piace il cassettone con le cornici e le foto dei figli e dei loro bambini. Ha
fatto con Caterina il conto di quanti nipoti ha. Sono diciassette. O ne
dimentica qualcuno?
Quelli che non dimentica sono i morti ammazzati. Al marito di Lina, la
maggiore, hanno sparato per la strada. Nanni invece, che era proprio figlio a
lei, è scomparso nel nulla cinque anni fa. Ho lasciato quattro piccirilli, uno
ancora in grembo alla madre. Si era messo in mente di fare il miliardo, dice il
vecchio. E pensare che lui aveva voluto che i figli stesero lontani
dall'amianto, ma diventassero lo stesso operai specializzati.
"Lavoriamo il vetro." Poi è arrivata la droga - ma lui la chiama 'a
fetenzia - e con quella i soldi facili. Sembrava che tutto fosse a portata di
mano, che lavorare non servisse più, che lui era stato solo uno scemo.
"Speriamo che veda tornare Luciano, almeno," ha detto Ninetta a
Caterina sulla porta. Luciano è la luce degli occhi suoi, a quarant'anni è
rimasto un guaglione e perfino la galera non l'ha cambiato, non l'ha cresciuto.
Veniva a casa e si sedeva con il padre, lo stava a sentire mentre raccontava
dei tedeschi e degli americani, dei fascisti e dei partigiani. Storie che
nessuno vuole più sapere, ma a Luciano piacciono. Luciano 'a fetenzia non l'ha
mai toccata, è stato dentro per una vecchia storia di sigarette, forse ha
taciuto per coprire a qualcun altro. E pensare che era fabbro, abitava
all'ultimo piano, dalla finestra vedeva pure il mare, d'estate sentiva le voci
dei bambini che giocavano sulla spiaggia. Poi ha gettato tutto al vento.
Normale qui che da giovani si faccia un po' i mariuoli. Ma chi ha la testa sul
collo nel frattempo imparava un mestiere e quando si sposa o fa il guaio con
una ragazza e arriva un bambino inaspettato smette. Smette di fare il
contrabbando, smette di arrangiarsi, di andare in giro con gli amici. Piano
piano cerca di togliersi dal giro e di farsi bastare quello che ha. Luciano
invece non ha mai capito come vanno le cose. Sempre a correre con le macchine,
a montare e smontare, a trafficare roba non sua.
Luciano è il padre di Davide. Quando Davide era alla scuola elementare nella
classe di Nerone, naturalmente, perché da lui finiscono tutti i bambini che
nessun altro si tiene, Luciano era sempre disponibile a dare una mano. Passava
un pomeriggio a montare il palco per la recita di Natale o a saldare le ruote a
un carretto che serviva per giocare.
Caterina saluta ancora una volta Ninetta e chiude delicatamente la portiera. Fa
un giro davanti alla scuola. A casa sua coltiva un giardino e pure un orto e
vedere questo pezzetto di verde invaso dalle ortiche e dalla spazzatura le fa
andare la giornata di traverso.
Si fa strada tra i rifiuti e raccoglie un po' d'erba di muro. Se la strofina
sulle giunture dei polsi e delle mani che fanno male. Al suo paese si dice che
è miracolosa per i dolori. Dalle finestre aperte della stanza Spassatiempo
arriva una tarantella e comincia a canticchiare senza accorgersene.
Rosy, la maestra di danza delle ragazze, ha portato un mangianastri e dei
dischi di canzoni napoletane. Dalle copertine di cd artigianali occhieggiano
cantanti impomatati e improbabili, ma i ragazzi vanno in delirio soprattutto
per Maria Nazionale, che a Napoli è una celebrità da Fan Club ed è considerata
pure una bellissima guagliona.
<< Putesse andà in galera pè Maria Nazionale>> fa Ciro, romantico,
appena si sentono le prime note di The best of Maria.
Dapprima ballano ognuno per conto suo. Poi un po' i maschi con i maschi e le
femmine con le femmine, tenendosi d'occhio senza parere. Alla fine è Ciro che
tenta la sorte con Nunziata di cui è innamorato pazzo. È opinione comune che
anche lei abbia un debole per lui, ma lo consideri assai al di sotto delle sue
possibilità. Accetta, ma ritiene suo preciso dovere fumare distrattamente
mentre lui la abbraccia e si dondola da una gamba all'altra. Ciro è contento lo
stesso, e grida <Professore, vi amo> alle insegnanti che gli passano
vicino nella confusione della festa. (...)
|
|