Cécile. Il futuro è per tutti Marie-Aude Murail (...) Léon gridò di gioia uscendo da scuola: «Mimami!».
Sua madre era lì, tremante nel suo abito a tunica, a piedi nudi nelle
infradito, con la piccola Eden che dormiva, appiattita alla sua schiena. Le due
sorelle maggiori di Eden andarono ad accarezzare la testolina crespa. La vedova
Baoulé rimaneva piantata sul marciapiede, con l’aria inebetita, senza salutare
i figli. Cercava il nipote Alphonse con lo sguardo. Il signor Montoriol
lasciava spesso uscire i suoi allievi per ultimi. Alla fine lo vide:
«Alphonse!». Il ragazzo si avvicinò, prima sorridente, poi con lo sguardo inquieto.
«Cosa c’è?» «Non abbiamo più la casa» gli sussurrò sua zia. «I gendarmi…» Lei
girò di scatto la testa, all’arrivo di Montoriol. Aveva paura degli uomini.
«Buon giorno, signora Baoulé» la salutò il direttore con la sua cortesia da
cerimoniale. «Spero che stia bene. E la piccola?» Ottenne solo un silenzio
spaventato. «Non abbiamo più la casa» disse Alphonse a mezza voce. «Chétché,
chétché, bla!» fece sua zia. Afferrò Léon per il colletto e spinse Donatienne
davanti a lei. Ma Alphonse rifiutò di seguirla e Montoriol ebbe la sorpresa di
sentire il suo giovane allievo parlare con trasporto una lingua a lui
sconosciuta. Litigava con la zia. Poi si rivolse a Léon con un tono di comando
e il ragazzino si staccò dalla madre. Alla fine Alphonse rivolse al maestro uno
sguardo di straordinaria intensità: «È vero che abbiamo dei diritti quando
siamo bambini?». «Sì» rispose Georges battendo le palpebre. «Abbiamo anche il
diritto ad avere una casa?» «Sì». Alphonse rivolse un breve sorriso trionfale
alla zia. Poi spiegò: «I gendarmi sono venuti alla stazione, hanno messo fuori
le nostre cose e hanno inchiodato la porta. E adesso non abbiamo più una casa».
«L’avevamo occupata!» esclamò Léon, piuttosto soddisfatto di poter fornire
quella spiegazione aggiuntiva. Cécile, appena finito di complimentarsi con la
signora Cambon per i progressi di Audrey, raggiunse il gruppetto. «Cosa
succede?» Montoriol indicò i dodici bambini, la donna e la piccola sulla
schiena: «Sono in strada. I gendarmi li hanno buttati fuori». Alcuni genitori
iniziavano a guardare di sottecchi i Baoulé. Georges sentì che bisognava
prendere una decisione. «Torniamo dentro» disse loro. «Non possiamo pensare sul
marciapiede». Il portone si chiuse alle loro spalle. Lì erano al sicuro. Era
l’intervallo per chi restava il pomeriggio e alcuni bambini giocavano a
nascondino in cortile. Georges si isolò con Alphonse: «Dove sono i tuoi
genitori?». «A lavorare». «Sai come raggiungerli?» Alphonse fece “no” con la
testa. Non sembrava né preoccupato né abbattuto. Aveva fiducia nel suo maestro.
Georges tirò fuori il cellulare, un gadget che aveva a lungo disdegnato, e
chiamò la moglie per avvertirla di un “piccolo contrattempo”. Poi fece cenno a
Cécile che stava consolando i più piccoli: «Conosce il numero dell’associazione
che aiuta gli stranieri?». Lei annuì e prese il telefono che lui le porgeva.
«Cosa devo dire?» «Che abbiamo quattordici persone a loro disposizione». Cécile
trovò Nathalie in servizio e si beccò una lavata di capo. «Quattordici!
Addirittura! E dove vuole che li metta? Non c’è posto da noi. In ogni caso,
quell’occupazione era demenziale, l’ho sempre detto io. Bisognava dividerli, i
vostri Baoulé». «Ma chi può accoglierli?» le chiese Cécile. «Crede che abbia un
servizio prenotazioni? Si dia una mossa anche lei! Faccia delle telefonate,
suoni a qualche campanello. Dopotutto sono solo quattordici persone. Ce ne sono
altre centinaia in strada». Riattaccò a Cécile, che spiegò a Georges: «Mi ha
mandato a quel paese, è una specie di folle». «Davvero?» fece Georges,
sconcertato. Aveva sperato un po’ troppo in fretta di rifilare il problema a
specialisti del settore. «Stasera non avremo la casa?» disse una voce accanto a
lui. Trasalì. Alphonse, senza perdere la fiducia, lo interrogava con lo
sguardo. Montoriol si sentì messo alle strette: «Non sono mica Aladino, non
farò di certo apparire un castello dal nulla!». Il ragazzo abbassò lo sguardo,
dispiaciuto di essersi fatto rimproverare, ma ancora fiducioso. Nel cortile
della ricreazione stava già scendendo la sera. «Bisognerà trovare un posto
caldo» suggerì la vocina di Cécile. A quel punto si alzò un pianto infantile.
Eden si era svegliata e la madre non cercava nemmeno di rassicurarla. «Ci
mancava anche la piccola» mormorò Georges, a un passo dal perdere la pazienza.
«Allora, Alphonse, porta tutti in biblioteca!» «Sì, signore». Cercò un’ultima
volta lo sguardo del maestro e il direttore capì di essere con le spalle al
muro. O i bambini avevano dei diritti, come sosteneva lui, o le sue belle
canzoni erano solo prese per il sedere. «Di’ a Nonnina che avete il permesso di
sistemarvi lì». «Sì, signore». Il cortile si svuotò in pochi secondi. Georges
rimase un momento a guardarlo. In lui si insinuava la paura. Forse non era
all’altezza della situazione. «Io posso portare uno o due bambini a casa mia»
propose timidamente Cécile. «Scusi?» Cécile ripeté la frase. «Questo non
risolve il problema» mugugnò Georges. Sentì allora una voce attraverso il
cortile: «Signor Montoriol!». Era Nonnina che accorreva verso di lui: «È vero
quello che dicono i Baoumbula? I gendarmi gli hanno portato via la casa?». «Era
una stazione occupata» la corresse il direttore. «Sono stati espulsi». «Ma dove
dormiranno?» «In effetti è proprio questo il problema» scandì Georges,
infastidito. «Io, se può servire, ho la camera che era di mio figlio grande. Ce
ne stanno almeno due. Il piccoletto, quello tutto bruciato in faccia, e il suo
gemello». «Lei prenderebbe Deimorti e Ognissanti?» si risollevò Georges con una
scintilla in fondo agli occhi. «E gli faccio da mangiare e tutto». Georges si
girò verso Cécile: «Lei mi diceva che potrebbe ospitare…». «Io.. ho un divano
in salotto» balbettò Cécile, «il piccolo Léon, per esempio, potrebbe…» «Bene.
Io prendo Alphonse» decise Georges. Qualcosa gli diceva: «Adesso o mai più. È
adesso che saprai cosa vali, quanto valgono gli altri». «Chiamo Chantal. Abita
qui vicino». «La signora Pommier?» si stupì Cécile. «La signora Pommier»
confermò Montoriol, in tono quasi feroce. «Sarà pur disposta a dare ospitalità
a un poverello, no? Pronto, Chantal? Sono Montoriol». Cécile si allontanò,
parecchio dubbiosa sul risultato. Fu allora che vide Léon vagare dalla parti
della cucina. «Cosa fai qui?» «Ho troppa fame». Nonnina non ci mise molto a
trovare del pane e delle mele in cucina. Dieci minuti dopo, tutta la piccola
truppa dei Baoulé stava facendo merenda sui cuscini della biblioteca. Montoriol
li raggiunse. «Allora, ho sistemato Prudence e Pélagie dai Pommier». «Davvero?»
Cécile era sbalordita. «Hanno una casa di duecento metri quadri». Poi si mise a
mulinare i polsi e mimò: «Sa, mio marito guadagna molto, molto bene…» poi
aggiunse: «E ho sistemato Clotilde da Mélanie De Belle». «Oh, poveretta!» la
compianse Cécile. «Fa già tanta fatica con i suoi due figli». «Appunto. Le ho
venduto la cosa dicendole che Clotilde è bravissima a occuparsi della sorellina
minore. In pratica le ho trovato una baby-sitter». Era scatenato. «Allora, a
chi sta? Ah, sì, Donatienne!» Sentendo il proprio nome, la ragazzina alzò gli
occhi dal libro illustrato: «Io voglio andare dal mio dentista». «Come si
chiama?» «Bruno» disse la piccola con un sorriso estasiato. «In più ha una
figlia della mia età che ha la Barbie dentista e…» «Non sarebbe male se tu
sapessi il cognome» la interruppe Georges. La piccola fece una smorfia. Non lo
ricordava più. «È il doto’ Mouliè’e» rispose la vedova Baoulé uscendo infine
dallo stato di ebetudine. Georges andò a consultare l’elenco nel suo ufficio e
trovò in effetti un Bruno Moulière. Purtroppo gli rispose una segreteria
telefonica, cosa che gli provocò un lieve cedimento dell’umore. Non sarebbe mai
riuscito a sistemarli tutti! In quel momento bussarono alla sua porta. «Sì?»
Era Éloi in tenuta da combattimento. I due uomini si misurarono con lo sguardo.
«Buona sera, signor de Saint-André». «Salve. Nat mi ha detto che siete nella
merda…» «Si potrebbe presentare la situazione anche in altri termini» gli fece
notare il direttore corrugando la fronte. «Lascia perdere, amico» rispose Éloi
con il suo sorriso ammaliatore. «Ero un pessimo alunno». Si sedette a
cavalcioni su una sedia di fronte a Montoriol. «Nathalie è andata alla stazione
dove stavano con un furgone. Così può avvertire i signori Baoulé e recuperare
tutto quello che è ancora recuperabile». Georges sospirò, liberato da un certo peso.
Mise al corrente Éloi di quello che aveva già fatto per i suoi alunni. «Stavo
per chiamare la signora Gervais, ha militato nel movimento antirazzista.
Contavo di proporle…» Consultò la lista: «Honorine e Victorine. Sette anni. Due
chiacchierine, ma carine». «Cosa resta?» si informò Éloi. «Una coppia di
gemelli. Félix e Tiburce. Tiburce, un po’ poltrone. Félix, invece, piuttosto
sveglio. Ma basta un urlo ogni tanto per cavarsela. Poi ci sono ancora la
signora Baoulé con la piccolina» «Loro le prendo io. I Guérard l’hanno già
ospitata quando è arrivata in Francia. Sono disponibili a ridarle la stanza».
Alla fine, la signora Gervais accettò le piccole gemelle, Marie-Claude Acremant
si sacrificò per Tiburce a Félix, il dottor Moulière, raggiunto all’ambulatorio,
accolse ridendo la domanda di ospitalità per Donatienne. I genitori sarebbero
stati invece provvisoriamente alloggiati nei locali dell’associazione. I due
uomini uscirono dall’ufficio per raggiungere i Baoulé in biblioteca. Rimasero
per un istante sulla soglia, meravigliati. Cécile stava raccontando come i
cacciatori avessero tappato la tana dei conigli senza preoccuparsi di
Coniglietto né dei suoi fratelli e delle sue sorelle. Adesso i conigli vagavano
per la foresta, scendeva la notte e non sapevano nemmeno dove fossero i loro
genitori. I piccoli Baoulé erano seduti in cerchio attorno a Cécile con la
bocca spalancata o succhiandosi il pollice. “Biancaneve, pensò Montoriol, e i…
uhm… dodici nani.” La signora Baoulé cullava Eden, con lo sguardo lontano,
isolata da troppe sofferenze. Senza fare rumore, Éloi si accovacciò, Georges si
appoggiò al muro, e tutti e due attesero il trionfo di Coniglietto. Allora, i
bambini tornati in sé rivolsero lo guardo al direttore e Cécile arrossì vedendo
Éloi. «Ascoltatemi, bambini» disse il signor Montoriol. «Non ho trovato una
tana abbastanza grande per tutti voi. Dobbiamo separarvi». I suoi occhi
entrarono nel profondo di quelli di Alphonse: «Stiamo facendo del nostro meglio
e voi farete altrettanto». Poi lesse la piccola lista: «Deimorti e Ognissanti
da Nonnina. Léon da Cécile». «Sì» sussurrò il ragazzino. «Prudence e Pélagie
dal dottor Pommier. Vedrete, hanno una bellissima casa. Honorine e Victorine
dalla signora Gervais. Ha due cani e tre gatti». «Che fortuna» le invidiò
Tiburce. «Tu, tu vai da Marie-Claude Acremant con Félix» le disse Georges. E
siccome i gemelli storcevano il naso, aggiunse: «Ha un figlio della vostra età
che non sa proprio fare il bravo. Donatienne… dal tuo dentista!» La ragazzina
fece il segno V di vittoria con le dita. «Signora Baoulé, i Guérard la
aspettano». Lei chinò la testa in silenzio. «I signori Baoulé per questa notte
staranno nei locali dell’associazione. E… credo non manchi nessuno» Il signor
Montoriol finse di cercare sulla lista: «Ah sì… Alphonse». Aveva voluto
scherzare e non si era reso conto che, dall’inizio delle assegnazioni, Alphonse
era rimasto pietrificato. «Vieni a casa mia?» gli propose Georges. Alphonse
saltò addosso al suo maestro per abbracciarlo. Troppi bambini sono ancora
condannati A vivere la loro infanzia nella sofferenza. Dimmi, come possono
essere aiutati? Basta che ascolti la tua coscienza. Ed era vero, ed era vero.
«In marcia!» strombazzò Éloi. Il furgone dell’associazione era davanti alla
porta della scuola, e Nathalie era al volante. Dovette fare diversi viaggi per
portare i bambini nei vari posti della città, con i loro piccoli fagotti di
abiti e le cartelle. Georges si allontanò con Alphonse che regolava il proprio
passo sul suo e Cécile andò dalla parte opposta tenendo per mano il piccolo
Léon. (...) |