Le
linee d’ombra Amitav
Ghosh Neri
Pozza Considerato
oggi il maggior scrittore indiano di lingua inglese, capace di intrecciare le
mille conradiane linee d’ombra che tessono un fitto ordito tra occidente e
mondo asiatico, Gosh ci propone qui un’insegnante che tenta di mantenere il
chiasso della realtà fuori dalla sua aula, inutilmente. (…) Quella mattina c’era lezione di matematica la prima
ora. La nostra insegnante era un’attempata signora angloindiana, Mrs Anderson,
una donna alta e magra che portava le gonne e aveva i capelli corti e
brizzolati. C’era soltanto un gruppetto di ragazzi nella classe e Mrs Anderson
non si curò del rituale dell’appello, il che provocò scompiglio tra di noi
perché era un’ulteriore infrazione alla norma, mentre fino a quel momento tutti
ci eravamo silenziosamente concentrati per mantenere le cose il più normali
possibile. Ma Mrs Anderson batté sulla cattedra con una matita, aggrottando le
sopracciglia sopra gli occhiali. Di fronte al rimprovero aprimmo i libri e
prendemmo posto. Subito la sua voce tranquillizzante e familiare prese a
spiegarci come potevamo usare la lettera “x” per rappresentare qualunque numero
ci piacesse. Dopo poco la giornata parve quasi normale, la lezione non diversa
dalle altre. Il mio banco era vicino alla finestra. A metà lezione mi sembrò di
sentire un rumore in lontananza: era debole e confuso, simile al gracchiare di
una stazione radio a onde corte. Non ero del tutto sicuro di aver sentito
qualcosa, quando notai che anche Tublu, che sedeva accanto a me, aveva alzato
gli occhi. Articolai sulle labbra la domanda: Che cos’è? Ma lui non ne sapeva
di più: fece una smorfia e alzò le spalle. Furtivamente, tenendo d’occhio Mrs
Anderson, sollevai la testa e guardai fuori dalla finestra. Adesso il rumore
era più forte. Sembravano voci, molte voci, ma non era il frastuono
disciplinato di una manifestazione. Eravamo abituati ai cortei che passavano
nei pressi della nostra scuola, ce n’erano ogni giorno e non vi prestavamo
attenzione. Ma questo era diverso, un grido, poi un altro e poi un altro ancora
si succedevano a singhiozzo, poi di colpo c’era silenzio e, proprio quando
sembravano smorzarsi, ecco una voce seguita da una dozzina d’altre, e poi di
nuovo un momento di silenzio. C’è una nota singolarmente spaventosa nel suono
di quelle voci, non rozza e potente come il frastuono di una folla infuriata,
piuttosto un timbro straziante, tormentato, un crescendo di disarmonia in cui,
nel momento in cui lo percepite, riconoscete l’autentico suono del caos a causa
della paura sfuggente, informe che alimenta dentro di voi. Adesso lo udivano
anche gli altri; ogni testa nella classe si era voltata a guardare fuori dalle
finestre. Con uno sforzo di volontà, Mrs Anderson cercò di chiudere fuori il
rumore. Incominciò a leggere a voce più alta, battendo sulla cattedra per
attirare l’attenzione, riempiendo la stanza con la sua voce. Ma anche quelle
altre voci erano diventate più forti, le sentivamo sollevarsi oltre il muro di
cinta della scuola. Mrs Anderson non poté ignorarle più a lungo. Posò il libro
e percorse a lunghi passi la stanza chiudendo le finestre. Le superfici dei
vetri erano state dipinte di verde per tenere lontano il sole dell’estate. Ora
sedevamo intrappolati in un’oscurità verdeggiante, mentre la voce di Mrs
Anderson risuonava ed echeggiava nella classe spiegando i principi
dell’algebra. Mrs Anderson fu visibilmente sollevata dal suono della
campanella. Ci ordinò severamente di concentrarci sui libri di storia, di non
fare assolutamente rumore e poi si affrettò fuori dalla classe. Appena fu
uscita spalancammo le finestre. Non potevamo vedere lontano perché la scuola
era circondata da muri molto alti. La folla era sparita; tutto sembrava calmo.
Poi sentimmo la sirena di un’autopompa che passò un minuto dopo a tutta
velocità. Qualcuno indicò qualcosa in lontananza e, guardando in su, vedemmo
levarsi nel cielo una colonna di fumo grigio. Non si capiva dove fosse
l’incendio. Mi chiedo chi stia battendo, disse qualcuno. Nessuno rispose. Ci
eravamo dimenticati della partita. Poi la voce di Mrs Anderson ci richiamò e ci
precipitammo verso i banchi. Ci guardò furiosa, con le mani sui fianchi, ma si
vedeva che non era arrabbiata come avrebbe dovuto essere. Battendo sulla cattedra,
ci disse che per quel giorno le lezioni erano sospese… (…) |