Il nostro comune
amico Charles Dickens (...) La scuola dove Charley Hexam aveva
imparato qualcosa da un libro per la prima volta – (visto che per scolari del
suo stampo la strada è la grande scuola, dove si imparano senza i libri molte
cose che non si dimenticheranno mai) – non era altro che una miserabile
stamberga in fondo a un lurido cortile. L’atmosfera era soffocante e poco
gradevole, con tutto quel chiasso, quella folla e quella confusione. Una metà
dei ragazzi dormiva o cadeva in un dormiveglia inebetito; l’altra metà passava
il tempo a tenere i compagni in uno di quei due stati, producendo un monotono
ronzio, come se una cornamusa assai rozza stesse suonando fuori tono e fuori
tempo. I maestri, animati solo da buone intenzioni, non avevano la minima idea
di come metterle in pratica e il risultato dei loro sforzi era questa
deplorevole confusione. Era una scuola per tutte le età e di ambo i sessi.
Maschi e femmine venivano tenuti separati e suddivisi secondo l’età. Ma quella
che regnava dappertutto era la pretesa ridicola e crudele di considerare ogni
allievo come un fanciullino innocente. Le dame ispettrici incoraggiavano
moltissimo questa pretesa, che portava alle assurdità piú mostruose. Si voleva,
per esempio, che delle ragazze invecchiate fra i vizi della peggior vita, si
dimostrassero incantate dalle Avventure della piccola Margery, che abitava la
casetta vicino al mulino del villaggio; che all’età di cinque anni redarguiva e
annientava moralmente il cinquantenne mugnaio; che divideva il suo porridge con
gli uccellini; che rinunciava alla bella cuffietta di anchina nuova, perché né
le rape, né la pecora che di esse si nutre, portano cuffie di anchina; che
intrecciava paglia e teneva insopportabili concioni ai visitatori, alle ore piú
inopportune. Parimenti ai piccoli birbanti ribelli e intrattabili, vissuti fra
il fango del Tamigi, venivano propinate le vicende di Thomas Twopence, che
avendo deciso di non rubare (in circostanze atroci e straordinarie) diciotto
soldi all’amico e benefattore, era venuto in possesso per vie soprannaturali
della somma di tre scellini e sei pence e da allora in poi era vissuto in una
luce splendente. (Notare che il benefattore non ci aveva guadagnato nulla).
Vari peccatori, gonfi di superbia, avevano scritto le proprie biografie sullo
stesso tono; dalle lezioni di quelle persone orgogliose appariva sempre che il
bene non lo si doveva fare perché è bene, ma perché se ne può ricavare
profitto. Gli adulti, invece, imparavano a leggere (se ci riuscivano) sul Nuovo
Testamento; e a furia di incespicare su alcune sillabe e di fissare con occhi
sbarrati le altre che a volta a volta si presentavano, ignoravano del tutto
quel racconto sublime come se non ne avessero mai udito parlare. Questa scuola,
insomma, era un guazzabuglio, una confusione sconcertante, dove spiriti neri, grigi,
bianchi e rossi facevano un tafferuglio infernale ogni sera, specialmente ogni
domenica sera. Questo perché allora un intero carico di piccoli infelici veniva
affidato al peggiore e piú tedioso fra i maestri dalle buone intenzioni, uno
che i meno giovani non avrebbero sopportato. Questo saliva in cattedra come il
boia, assistito, secondo le usanze, da un volontario scelto fra gli scolari.
Non importa sapere come e quando fu inaugurato per la prima volta l’uso
convenzionale di picchiare con mano violenta il volto di un fanciullo stanco e
disattento in classe; né importa quando e come il volontario vide per la prima
volta il sistema all’opera e si infiammò di sacro zelo per seguirlo. Funzione
del boia era declamare, mentre l’accolito doveva scagliarsi contro i fanciulli
che dormivano, sbadigliavano, si agitavano, piagnucolavano, e doveva frizionar
loro energicamente il povero visetto; talvolta con una mano sola, come se
impomatasse una basetta; talvolta con tutte e due le mani, applicate a guisa di
paraocchi. E cosí, per la durata di un’ora mortale, il tafferuglio procedeva in
questa classe; l’oratore parlava con voce strascicante ai «Carrri Rrrragazzi»,
per esempio, del bellissimo arrivo al Sepolcro; e ripeteva almeno cinquecento
volte quella parola (usata comunemente tra i fanciulli), senza mai spiegarne il
significato; intanto, quale commento infallibile, l’assistente distribuiva
frizioni a destra e a sinistra, e l’intero vivaio di bambini, esausti e rossi
in volto, si scambiava, come fossero stati portati lí apposta per quello,
morbillo, rogna, tosse asinina, febbre e mal di stomaco. Ma anche in questo
tempio delle buone intenzioni, un ragazzo dalle doti eccezionali e dalla non
meno eccezionale volontà di studiare, poteva imparare qualcosa, non solo, ma,
dopo averla imparata, insegnarla molto meglio dei maestri stessi, perché era
piú istruito di loro e non si trovava in posizione di svantaggio davanti agli
scolari piú intelligenti. E fu cosí che Charley Hexam si era elevato al disopra
della massa in subbuglio, l’aveva ammaestrata e poi era passato di qui a
un’altra scuola. |