Swami e i suoi amici
R. K. Narayan
(...)
Lunedì mattina
Era lunedì mattina. Swaminathan era
riluttante ad aprire gli occhi. Nel calendario, considerava il lunedì
particolarmente spiacevole. Dopo la deliziosa libertà del sabato e della domenica,
era difficile entrare nello stato d'animo di questo giorno, fatto di lavoro e
disciplina. Rabbrividì al solo pensiero della scuola: quel tetro edificio
giallo; Vedanayagam, il suo insegnante dagli occhi di fuoco; e il preside con
la sua canna lunga e sottile...
Alle otto era già allo scrittoio nella
sua "camera", che era poi un
angolo nello spogliatoio del padre.
Aveva un tavolo su cui tutte le sue cose, giacca, berretto, lavagnetta, calamaio
e libri, erano gettate alla rinfusa. Si sedette sullo sgabello e chiuse gli
occhi per fare mente locale sui compiti che aveva per
quel giorno: senza dubbio
prima c’era aritmetica - quei cinque rompicapo di guadagno e perdita;
poi inglese - doveva ricopiare una pagina dell'ottava lezione e trascrivere dal
vocabolario i significati di parole difficili; e infine geografia. E aveva solo
due ore per fare tutta questa montagna di lavoro e prepararsi per andare a
scuola!
Vedanayagam dagli occhi di fuoco stava
sorvegliando la classe con le spalle alla lunga finestra. Attraverso le inferriate
si vedevano un tratto di campo sportivo e un angolo di veranda dell'Infant
Standard. Sulla sinistra si aprivano finestroni che mostravano vasti terreni
aperti, delimitati in fondo dalla ferrovia.
Per Swaminathan riuscire a resistere
nell'aula era possibile soltanto perché poteva guardare i bambinetti
dell'Infant Standard che inciampavano l'uno sull'altro, e attraverso le
finestre a sinistra poteva assistere al passaggio del postale delle dodici e
trenta che rombava e sferragliava mentre transitava sul ponte del Sarayu.
La prima ora passò tranquillamente.
Nella seconda avevano aritmetica. Vedanayagam uscì e dopo pochi minuti ritornò
nel ruolo d'insegnante di aritmetica. Parlava con tono piatto e uniforme. Swaminathan
era terribilmente annoiato. Quella voce cominciava a dargli sui nervi. Era
assonnato.
L'insegnante chiese agli alunni di
portargli i compiti. Swaminathan lasciò il suo posto, saltò sopra la pedana e
mise il quaderno sulla cattedra. Mentre l'insegnante stava esaminando i
calcoli. Swaminathan gli fissava il volto, che da vicino sembrava proprio
insignificante. Il suo parere su Vedanayagam era che aveva gli occhi troppo vicini,
che aveva più peli sul mento di quanto si vedesse dalla panca e che era proprio
bruttissimo.
Fu
distolto dalle sue fantasticherie. Sentì un dolore terribile
nella carne soffice sopra il gomito sinistro. L'infame gli stava dando un
pizzicotto con una mano e con l'altra stava cancellando tutti i calcoli.
Scrisse "Molto male"' in fondo alla pagina, gli scagliò il quaderno
in faccia e lo rimandò al posto.
L'ora successiva avevano storia. I ragazzi l'aspetta vano con ansia e
impazienza. La lezione era tenuta da D. Pillai, che nella scuola si era
guadagnato un'ottima fama grazie alla gentilezza e al buonumore. Si diceva che
non avesse mai guardato storto gli scolari o imprecato contro di loro. Il suo
metodo d'insegnare storia non si conformava ad alcun canone d'istruzione. Raccontava
ai ragazzi con dovizia di dettagli le storie private di Vasco de Gama, Clive,
Hastings e altri. Quando descriveva i vari combattimenti nella storia, si
sentivano il rumore metallico delle armi e i gemiti dei trucidati. Era la
disperazione del preside ogni volta che questi percorreva il corridoio quatto
quatto, con passo felpato, nei suoi giri d'ispezione.
L'ora di religione era l'ultima della mattina. Non era poi così noiosa
dopotutto. Vi erano momenti che regalavano immagini emozionanti: il Mar Rosso
che si fendeva e faceva largo agli israeliti; le gesta di Sansone; Gesù che
risorgeva dal sepolcro; e così via. L'unico guaio era che il maestro di
religione, il signor Ebenezar, era un fanatico. "Oh, maledetti
idioti!" imprecò l'insegnante, stringendo i pugni. "Perché adorate
sporchi idoli di legno inanimati e immagini di pietra? Sanno parlare? No.
Riescono a vedere? No. Sanno benedirvi? No. Possono portarvi in paradiso? No.
Perché? Perché non hanno vita. Che cosa fecero i vostri dèi quando Muhammad di
Gazni li ridusse in pezzi, li pestò e ne costruì gradini per la sua latrina? Se
quegli idoli e quelle immagini avevano vita, perché non pararono l'attacco furibondo
di Muhammad?"
Poi
passò al cristianesimo. "Adesso guardate nostro Signore Gesù. Sapeva guarire
gli infermi, soccorrere i bisognosi e portarci in cielo. Lui era un vero Dio.
Credete in Lui e vi porterà in paradiso; il regno dei cieli è dentro di noi".
Gli scorrevano le lacrime lungo le guance mentre si raffigurava Gesù. Un
momento dopo la sua faccia di venne paonazza dalla rabbia quando pensò a Sri
Krishna: " Nostro Gesù se ne andava forse a bighellonare con ballerine
come il vostro Krishna? Nostro Gesù se ne andava forse a rubare burro come quel
furfante matricolato di Krishna? Nostro Gesù faceva forse brutti scherzi a chi
gli stava intorno?"
Si fermò per riprendere fiato.
L'insegnante era insopportabile quel giorno. Swaminathan si sentì ribollire il
sangue. Si alzò e gli chiese: "Se non lo fece, perché fu crocifisso?"
L'insegnante gli rispose che poteva andare da lui alla fine della lezione e
impararlo in privato. Incoraggiato da questa risposta benevola, Swaminathan gli
pose un'altra domanda: "Se era un dio, perché mangiava carne e pesce e beveva vino?"
In quanto ragazzo bramino, per lui era inconcepibile
che un dio non fosse vegetariano. Per tutta risposta, Ebenezar lasciò la
cattedra, avanzò lentamente verso di lui, e tentò di strappargli l'orecchio
sinistro.
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