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Lunario dei giorni di scuola


Appendice trentasettesimo

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Swami e i suoi amici

R. K. Narayan

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Lunedì mattina
Era lunedì mattina. Swaminathan era riluttante ad aprire gli occhi. Nel calendario, considerava il lunedì particolarmente spiacevole. Dopo la deliziosa libertà del sabato e della domenica, era difficile entrare nello stato d'animo di questo giorno, fatto di lavoro e disciplina. Rabbrividì al solo pensiero della scuola: quel tetro edificio giallo; Vedanayagam, il suo insegnante dagli occhi di fuoco; e il preside con la sua canna lunga e sottile...

Alle otto era già allo scrittoio nella sua "camera", che era  poi un angolo nello spogliatoio  del padre. Aveva un tavolo su cui tutte le sue cose, giacca, berretto, lavagnetta, calamaio e libri, erano gettate alla rinfusa. Si sedette sullo sgabello e chiuse gli occhi per fare mente locale sui compiti che aveva  per  quel  giorno:  senza dubbio  prima c’era aritmetica - quei cinque rompicapo di guadagno e perdita; poi inglese - doveva ricopiare una pagina dell'ottava lezione e trascrivere dal vocabolario i significati di parole difficili; e infine geografia. E aveva solo due ore per fare tutta questa montagna di lavoro e prepararsi per andare a scuola!
Vedanayagam dagli occhi di fuoco stava sorvegliando la classe con le spalle alla lunga finestra. Attraverso le inferriate si vedevano un tratto di campo sportivo e un angolo di veranda dell'Infant Standard. Sulla sinistra si aprivano finestroni che mostravano vasti terreni aperti, delimitati in fondo dalla ferrovia.
Per Swaminathan riuscire a resistere nell'aula era possibile soltanto perché poteva guardare i bambinetti dell'Infant Standard che inciampavano l'uno sull'altro, e attraverso le finestre a sinistra poteva assistere al passaggio del postale delle dodici e trenta che rombava e sferragliava mentre transitava sul ponte del Sarayu.
La prima ora passò tranquillamente. Nella seconda avevano aritmetica. Vedanayagam uscì e dopo pochi minuti ritornò nel ruolo d'insegnante di aritmetica. Parlava con tono piatto e uniforme. Swaminathan era terribilmente annoiato. Quella voce cominciava a dargli sui nervi. Era assonnato.
L'insegnante chiese agli alunni di portargli i compiti. Swaminathan lasciò il suo posto, saltò sopra la pedana e mise il quaderno sulla cattedra. Mentre l'insegnante stava esaminando i calcoli. Swaminathan gli fissava il volto, che da vicino sembrava proprio insignificante. Il suo parere su Vedanayagam era che aveva gli occhi troppo vicini, che aveva più peli sul mento di quanto si vedesse dalla panca e che era proprio bruttissimo.
Fu  distolto  dalle sue  fantasticherie. Sentì un dolore terribile nella carne soffice sopra il gomito sinistro. L'infame gli stava dando un pizzicotto con una mano e con l'altra stava cancellando tutti i calcoli. Scrisse "Molto male"' in fondo alla pagina, gli scagliò il quaderno in faccia e lo rimandò al posto.
 L'ora successiva avevano storia. I ragazzi l'aspetta vano con ansia e impazienza. La lezione era tenuta da D. Pillai, che nella scuola si era guadagnato un'ottima fama grazie alla gentilezza e al buonumore. Si diceva che non avesse mai guardato storto gli scolari o imprecato contro di loro. Il suo metodo d'insegnare storia non si conformava ad alcun canone d'istruzione. Raccontava ai ragazzi con dovizia di dettagli le storie private di Vasco de Gama, Clive, Hastings e altri. Quando descriveva i vari combattimenti nella storia, si sentivano il rumore metallico delle armi e i gemiti dei trucidati. Era la disperazione del preside ogni volta che questi percorreva il corridoio quatto quatto, con passo felpato, nei suoi giri d'ispezione.
 L'ora di religione era l'ultima della mattina. Non era poi così noiosa dopotutto. Vi erano momenti che regalavano immagini emozionanti: il Mar Rosso che si fendeva e faceva largo agli israeliti; le gesta di Sansone; Gesù che risorgeva dal sepolcro; e così via. L'unico guaio era che il maestro di religione, il signor Ebenezar, era un fanatico. "Oh, maledetti idioti!" imprecò l'insegnante, stringendo i pugni. "Perché adorate sporchi idoli di legno inanimati e immagini di pietra? Sanno parlare? No. Riescono a vedere? No. Sanno benedirvi? No. Possono portarvi in paradiso? No. Perché? Perché non hanno vita. Che cosa fecero i vostri dèi quando Muhammad di Gazni li ridusse in pezzi, li pestò e ne costruì gradini per la sua latrina? Se quegli idoli e quelle immagini avevano vita, perché non pararono l'attacco furibondo di Muhammad?"
Poi passò al cristianesimo. "Adesso guardate nostro Signore Gesù. Sapeva guarire gli infermi, soccorrere i bisognosi e portarci in cielo. Lui era un vero Dio. Credete in Lui e vi porterà in paradiso; il regno dei cieli è dentro di noi". Gli scorrevano le lacrime lungo le guance mentre si raffigurava Gesù. Un momento dopo la sua faccia di­ venne paonazza dalla rabbia quando pensò a Sri Krishna: " Nostro Gesù se ne andava forse a bighellonare con ballerine come il vostro Krishna? Nostro Gesù se ne andava forse a rubare burro come quel furfante matricolato di Krishna? Nostro Gesù faceva forse brutti scherzi a chi gli stava intorno?"
Si fermò per riprendere fiato. L'insegnante era insopportabile quel giorno. Swaminathan si sentì ribollire il sangue. Si alzò e gli chiese: "Se non lo fece, perché fu crocifisso?" L'insegnante gli rispose che poteva andare da lui alla fine della lezione e impararlo in privato. Incoraggiato da questa risposta benevola, Swaminathan gli pose un'altra domanda: "Se era un dio, perché mangiava  carne e pesce e beveva vino?"
In quanto ragazzo bramino, per lui era inconcepibile che un dio non fosse vegetariano. Per tutta risposta, Ebenezar lasciò la cattedra, avanzò lentamente verso di lui, e tentò di strappargli l'orecchio sinistro.




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