Il maestro magro
Gian Antonio Stella
(...)
Faceva freddo, fuori. Una di quelle giornate di
ghiaccio col cielo così azzurro e sgombro di ogni nuvola che ti domandi come
faccia il sole a essere così freddo e distante. Il cronista era impaziente. Il
maestro si abbottonò il cappotto, si tirò su il bavero e disse: «La nostra è
una scuola di recupero per analfabeti. Le elementari non sono qui, ma
dall’altra parte, dopo il consorzio, a destra. Quelle quattro sciocchezze,
perché di sciocchezze si tratta, sono successe lì».
«Lei definisce una
sciocchezza dirottare un autobus?»
«Con le fionde! Per andare a vedere
l’ottovolante e il “calcinculo” e le altre giostre a Taglio di Po!» «Sequestro
plurimo di persona, interruzione di servizio pubblico...»
«Bambini! Sono
bambini!» sbuffò esasperato il maestro. Si fermò un attimo, pesò il cronista
cercando di capire se aveva davanti un uomo perbene, si chiese se non valeva la
pena di raccontarla tutta. Decise di rischiare. Spiegò dunque che i ragazzini,
eccitati dalla visione di Ombre rosse e altri western, «per non dire del clima
di violenza che ancora si respira a tre anni e passa dalla fine della guerra»,
avevano dato vita a una banda di pellirosse pitturandosi la faccia coi gessi
colorati e costruendosi archi e frecce e copricapi piumati «con le penne
recuperate dando l’assalto a non so quante oche e tacchini in giro per le aie,
mentre i contadini li inseguivano coi forconi» finché si erano riuniti per il
giuramento di sangue e per scegliere il motto: «La nostra legge non conosce
perdono».
«Difatti hanno sequestrato un compagno di classe condannandolo a
morte» lo interruppe il cronista. «Certo, ma tramutando la condanna nel
pagamento di sette rametti di liquirizia, sette gomme americane e sette
sigarette popolari!» rise il maestro.
«E l’assalto al treno?»
«Una vecchia
“vacca mora” a carbone che non so come sia ancora in servizio. C’è un punto in
cui rallenta, su un curvone, fin quasi a fermarsi. I bambini son saliti lì
(guadagnandosi dai genitori una ripassata con la cinta dei pantaloni per il
pericolo che avevano corso) e si sono fatti consegnare dai passeggeri tutte le
caramelle e le mentine che avevano dietro. Chi non aveva niente doveva pagare un
obolo per acquisto bonbon. Le pare davvero una cosa così grave? Onestamente:
valeva la pena di sbatterli sui giornali locali e poi perfino su quelli
nazionali?»
«Fatto sta che se cominciano così...»
«Infatti, come le dicevo, i
genitori hanno dato loro una ripassata. E le assicuro che qui, quando picchiano
un figlio con la cinta o una canna, lasciano il segno. Non solo nella memoria:
nella carne. Comunque stia tranquillo: è tutto finito.»
«E sono tornati a
scuola?»
«Tutti e cinquantasei. Il direttore, dopo averli sospesi perché un
giorno avevano “dissotterrato l’ascia di guerra contro la maestra” (così
dissero) marinando la scuola in cinquantatré, ha chiuso un occhio. Si domandi
piuttosto: è giusto che una maestra abbia classi con cinquantasei scolari? Mi dica:
è giusto? Per prendere cosa, poi... Mille lire al giorno. Quello che costa un
chilo di carne.»
«E l’unghia?»
«L’unghia?» rise Osto. «Quella è la cosa più
divertente. Come segno di riconoscimento, dopo aver stretto tra di loro un
patto di sangue coi fegatini di un paio di galline, decisero di non tagliarsi
mai più, per tutta la vita, costi quel che costi, l’unghia dell’alluce del
piede sinistro. Per questo la chiamavano la Ganga dell’Unghia. Dopo qualche
settimana avevano certe unghie mostruose. Non le dico le mamme...» «Cioè?»
«Con
quello che costano i calzettoni.»
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