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Lunario dei giorni di scuola


Appendice trentaquattresimo

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Il maestro magro

Gian Antonio Stella

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Faceva freddo, fuori. Una di quelle giornate di ghiaccio col cielo così azzurro e sgombro di ogni nuvola che ti domandi come faccia il sole a essere così freddo e distante. Il cronista era impaziente. Il maestro si abbottonò il cappotto, si tirò su il bavero e disse: «La nostra è una scuola di recupero per analfabeti. Le elementari non sono qui, ma dall’altra parte, dopo il consorzio, a destra. Quelle quattro sciocchezze, perché di sciocchezze si tratta, sono successe lì».
«Lei definisce una sciocchezza dirottare un autobus?»
«Con le fionde! Per andare a vedere l’ottovolante e il “calcinculo” e le altre giostre a Taglio di Po!» «Sequestro plurimo di persona, interruzione di servizio pubblico...»
«Bambini! Sono bambini!» sbuffò esasperato il maestro. Si fermò un attimo, pesò il cronista cercando di capire se aveva davanti un uomo perbene, si chiese se non valeva la pena di raccontarla tutta. Decise di rischiare. Spiegò dunque che i ragazzini, eccitati dalla visione di Ombre rosse e altri western, «per non dire del clima di violenza che ancora si respira a tre anni e passa dalla fine della guerra», avevano dato vita a una banda di pellirosse pitturandosi la faccia coi gessi colorati e costruendosi archi e frecce e copricapi piumati «con le penne recuperate dando l’assalto a non so quante oche e tacchini in giro per le aie, mentre i contadini li inseguivano coi forconi» finché si erano riuniti per il giuramento di sangue e per scegliere il motto: «La nostra legge non conosce perdono».
«Difatti hanno sequestrato un compagno di classe condannandolo a morte» lo interruppe il cronista. «Certo, ma tramutando la condanna nel pagamento di sette rametti di liquirizia, sette gomme americane e sette sigarette popolari!» rise il maestro.
«E l’assalto al treno?»
«Una vecchia “vacca mora” a carbone che non so come sia ancora in servizio. C’è un punto in cui rallenta, su un curvone, fin quasi a fermarsi. I bambini son saliti lì (guadagnandosi dai genitori una ripassata con la cinta dei pantaloni per il pericolo che avevano corso) e si sono fatti consegnare dai passeggeri tutte le caramelle e le mentine che avevano dietro. Chi non aveva niente doveva pagare un obolo per acquisto bonbon. Le pare davvero una cosa così grave? Onestamente: valeva la pena di sbatterli sui giornali locali e poi perfino su quelli nazionali?»
«Fatto sta che se cominciano così...»
«Infatti, come le dicevo, i genitori hanno dato loro una ripassata. E le assicuro che qui, quando picchiano un figlio con la cinta o una canna, lasciano il segno. Non solo nella memoria: nella carne. Comunque stia tranquillo: è tutto finito.»
«E sono tornati a scuola?»
«Tutti e cinquantasei. Il direttore, dopo averli sospesi perché un giorno avevano “dissotterrato l’ascia di guerra contro la maestra” (così dissero) marinando la scuola in cinquantatré, ha chiuso un occhio. Si domandi piuttosto: è giusto che una maestra abbia classi con cinquantasei scolari? Mi dica: è giusto? Per prendere cosa, poi... Mille lire al giorno. Quello che costa un chilo di carne.»
«E l’unghia?»
«L’unghia?» rise Osto. «Quella è la cosa più divertente. Come segno di riconoscimento, dopo aver stretto tra di loro un patto di sangue coi fegatini di un paio di galline, decisero di non tagliarsi mai più, per tutta la vita, costi quel che costi, l’unghia dell’alluce del piede sinistro. Per questo la chiamavano la Ganga dell’Unghia. Dopo qualche settimana avevano certe unghie mostruose. Non le dico le mamme...» «Cioè?»
«Con quello che costano i calzettoni.»

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