Vino
e pane Ignazio
Silone La maestra aveva ricevuto il nuovo numero del
giornale murale Le notizie di Roma destinato ad essere affisso sulla porta
della scuola. Prima di affiggerlo essa aveva l’abitudine di leggere e spiegare
le notizie più importanti ai cafoni riuniti nella cantina di Matalena. Tra i
cafoni si sparse la voce che quella sera anche il prete sarebbe stato presente
e perciò la cantina si riempì più del solito. Vennero persone che il prete non
aveva ancora viste. In poco tempo si formò una piccola folla di una trentina di
straccioni, accovacciati per terra, l’uno accanto all’altro. Don Paolo era
seduto ai piedi della scala che conduceva al primo piano e poteva vedere quasi
tutti in faccia. Dal mucchio si levava un puzzo di letame e di panni sporchi,
un tanfo che stringeva alla gola. Gente sottomessa e diffidente, teste
trasognate su ceppi contorti e ritorti, teste deformate dalla fame, dalle
malattie, e qualche giovanotto selvatico e rissoso. I più anziani, i notabili
come Sciatàp, Magascià, Grascia, rimasero in piedi, vicino alla porta. Alla
presenza del prete forestiero, la maestra fu insolitamente nervosa e loquace.
Ella raccomandò di stare bene attenti e di non aver timore di domandare
spiegazioni sulle parole difficili. Poi cominciò a leggere a voce alta e
stridula Le notizie di Roma. “Abbiamo un capo” lesse “che tutti i popoli della
terra ci invidiano e chissà che cosa sarebbero disposti a pagare per averlo nel
loro paese...” Magascià interruppe. Siccome non gli piacevano le espressioni
generiche, egli chiese quanto esattamente gli altri popoli sarebbero disposti a
pagare per acquistare il nostro capo. «È un modo di dire» disse la maestra.
«Nelle compravendite non vi sono modi di dire» protestò Magascià. «Vogliono o
non vogliono pagare? Se vogliono pagare, cosa offrono?» La maestra ripeté
stizzita che quello era solo un modo di dire. «Allora non è vero che vogliono
comprarselo?» disse Magascià. «E se non è vero, perché lì c’è scritto che
vorrebbero acquistarlo?» Anche Sciatàp aveva un’informazione precisa da
chiedere. «Quelli che vorrebbero comprarlo» disse «pagherebbero in contanti o
con una cambiale?» La maestra rivolse uno sguardo al prete, come per dire:
“Vedete un po’ con che razza di gente bisogna avere a che fare in questo
paese?”. La notizia seguente riguardava i rurali. «Chi sono i rurali?» domandò
uno del mucchio seduto per terra. «I rurali siete voi» rispose la maestra
perdendo la pazienza. «Ve l’ho detto e ripetuto cento altre volte.» Vari
scoppiarono a ridere. «Eravamo rurali e non lo sapevamo» dissero. La maestra
lesse: «“La rivoluzione rurale ha raggiunto i suoi scopi su tutta la linea...”»
«Che linea?» domandò uno. «La linea ferroviaria?» «I rurali siamo noi?» domandò
Sciatàp. «La rivoluzione rurale è la rivoluzione che abbiamo fatto noi?»
«Giustamente» disse la maestra. «Mi congratulo con te per la tua intelligenza.»
«Quale rivoluzione abbiamo fatto noi?» «Questa parola è qui intesa in senso spirituale»
disse la maestra. Sciatàp non volle sembrare ignorante e finse di capire, ma
Magascià si dichiarò insoddisfatto. «Quello è un foglio che ci manda il
governo» egli disse. «Sopra c’è scritto che i rurali, cioè, secondo voi, i
cafoni, hanno fatto una rivoluzione e che questa rivoluzione ha raggiunto i
suoi scopi. Quali scopi abbiamo noi raggiunto?» «Scopi spirituali» disse la
maestra. «Quali scopi spirituali?» La maestra diventò rossa, s’impappinò e
nessuno ci capì più nulla. Infine ella ebbe un’illuminazione, impose silenzio
e, nell’attenzione generale, disse: «La rivoluzione rurale ha salvato il paese
dal pericolo comunista.» «Chi sono i comunisti?» disse Grascia. La maestra era
salva. Non aveva più bisogno di riflettere. «Ve l’ho spiegato altre volte, ma
posso ripetervelo» disse. «I comunisti sono dei malviventi. Di preferenza essi
si riuniscono di notte, nelle fogne della città. Per diventare comunisti
bisogna calpestare il Santo Crocifisso, sputargli in faccia e promettere di
mangiare carne il Venerdì Santo.» «La carne chi gliela dà?» domandò Sciatàp.
«La ricevono gratis o la devono pagare?» «Non mi risulta» disse la maestra.
«Insomma» protestò il vecchio Grascia «il più importante non lo sapete mai.» La
maestra si volse verso don Paolo come per cedergli la parola e togliersi
d’impaccio, ma il prete pareva assorbito a esaminare le ragnatele del soffitto.
«Siccome non sono d’accordo, me ne vado» disse Grascia. La maestra lo invitò a
spiegare su quale punto non fosse d’accordo, ma il vecchio si allontanò senza
rispondere. Don Paolo lo raggiunse sullo spiazzo davanti alla locanda. «Bravo,
mi congratulo» gli disse il prete. «L’ho detto solo per fare arrabbiare la
maestra» disse Grascia. Egli trovava insopportabile che una donna volesse
insegnare a degli uomini. «Quando è la donna che insegna all’uomo» aggiunse «i
figli nascono gobbi.» |