Le
sorelle Materassi
Aldo
Palazzeschi
A questo punto tacque, la direttrice, e si mise a
guardare giù in fondo, più giù… ma non in fondo alla stanza, il suo sguardo
oltrepassava tutte le muraglie. E veramente quando rientrando i denti, non al
completo perché la bocca non era capace di contenerli, e socchiudendo gli occhi
guardava laggiù laggiù… non era più la direttrice di una scuola elementare, ma
non si sapeva dove potesse incominciare né dove andasse a finire la sua
direzione. Quindi tamburellando le dita sopra la coscia, fece un conticello:
«Aprile, Maggio, Giugno… ce n’è d’avanzo» e disse un nome: «la Calliope, la
Calliope Bonciani: vi ricordate della Calliope?».
Le poverette non si
ricordavano nemmeno della Calliope, ma dissero “Sì, sì”, facendo finta di
ricordarsene in modo vago.
«Veniva sempre al Borghetto con la madre, è già in
pensione da qualche anno e la madre è ancora vivente: novantadue anni», scandì
la direttrice che bandiva i numeri nel discorso come parti di un valore
eccezionale: «novantadue» scandì più forte. Peccato che Niobe fosse con la
Tonina nel podere, nessuno le avrebbe impedito di rispondere a quel numero:
“figlia d’un cane!”. Essendo la vita tanto bella non poteva rattenere un grido
di compiacenza e di solidarietà per coloro che se la succhiano senza
discrezione.
La Calliope era un altro fiore, anzi, il più bel fiore del mazzo.
La causa per cui era rimasta nubile le tornava di onore grandissimo. Aveva
perduto il fidanzato nel colera di Napoli del 1884, scoppiato mentre faceva il
servizio militare in quella città. Essendosi prodigato generosamente nella
triste epidemia, era rimasto vittima del dovere di carità. La Calliope, bella e
giovane, non volle poi sapere di dare il proprio cuore a un altro uomo, e come
tante belle e romantiche creature del secolo scorso, rimase fedele a lui oltre
la morte. Sopra il suo cassettone era un bel ritratto del giovane nella montura
del bersagliere, col cappello dalle ricche penne che gli scendevano fin sopra
le spalle. Davanti a esso erano sempre dei fiori e un piccolo lume.
«Novantadue!» la direttrice ripeté ancora gli anni della madre della Calliope.
«Se la vedeste camminare! Un frullino, un granello di pepe. Stanno bene ma,
capirete, fa sempre comodo di guadagnare qualche cosuccia, e poi non ha nulla
da fare. Che maestra, quella! Sempre coi maschi e nelle classi alte: la quinta,
come facevo io, come me.»
Per quanto non fosse diventata direttrice la Calliope
riscuoteva tutta la sua stima. Aggiunse che le vere maestre si distinguono fra
i maschi e nelle classi alte: la quinta! Come lei e la Calliope. Carolina osò
tremolante: «Sono migliori i maschi delle femmine?» La direttrice roteò gli
occhi in senso pratico. Era del parere di Niobe. Per quanto i maschi avessero
lasciato anche a lei un conticino aperto, erano sempre migliori delle femmine.
Disse che i maschi si sa sempre quello che vogliono, e quando fanno un malestro
si sa come e perché lo fanno, sono vivaci, rumorosi, turbolenti, spesso dei
veri e propri demòni, ma sono aperti, si leggono fino in fondo con grande
facilità; se ne conoscono i sentimenti e basta saperli prendere se ne fa quel
che si vuole. Le femmine invece sono più quiete, rispettose, composte,
ubbidienti, ma serbano spesso qualcosina per sé, e te la mettono fuori quando
meno te l’aspetti; non si sa mai precisamente quello che hanno in corpo le
femmine, credi di averle tutte e ti accorgi, alla fine, che non avevi proprio
niente.
|
|