Sotto
la pelle Doris
Lessing Prima di arrivare a frequentare la scuola vera e
propria, il Convento, andai in due scuole, per così dire, di passaggio. La
prima si trovava a Rumbavu Park, appena fuori Salisbury, ed era tenuta dalla
famiglia Peach. Io, che avevo appena compiuto sette anni, e mio fratello, che
ne aveva quattro, fummo mandati a quella scuola insieme, e a me fu dato l’ordine
di occuparmi di lui. Ma se io adoravo il mio fratellino, altrettanto facevano
tutti gli altri. Era costantemente affidato alle ragazze più grandi, di nove o
dieci anni, che se lo portavano appresso come fosse stato una bambola. Quello
era un luogo piacevole, tenuto da persone gentili – gentiluomini. Uso questa
parola perché la usava la direttrice Mrs James, e in continuazione. Proprio
come i russi dell’intellighenzia, che oggi parlano di sé definendosi
gentiluomini, con sdegnoso ripudio di decenni di rivoluzione e di egualitarismo
(“vengo da una famiglia di gentiluomini”), Mrs James sembrava fare tale
asserzione a ogni frase che pronunciava. Era un altro membro della borghesia
inglese spaventata dalle rozze abitudini coloniali ma, a differenza di tutti quelli
che intendono unicamente affermare la propria superiorità in una qualche
ineffabile e indefinibile maniera, Mrs James intendeva la stessa cosa che
dicono i russi, ovvero che sono loro i veri eredi della cultura letteraria,
musicale e artistica. Era una donna robusta, di pelle scura come una zingara,
capelli lisci e neri, come la Dorelia di Augustus John, una madre terra ante
litteram, ed era gentile. Quando scrivevo delle piccole composizioni sui fiori
e gli uccelli, mi diceva che ero straordinaria e le faceva vedere a tutti. Mi
spazzolava i capelli, mi faceva lavare sotto le ascelle e in mezzo alle gambe,
perché era afflitta da un vero orrore delle funzioni naturali, mi teneva sul
suo ampio grembo e sospirava e si lamentava della grossolanità del mondo e del
suo triste destino, quello di fare la direttrice di una scuola. Quando i miei
genitori venivano a trovarmi, Mrs James parlava di me e di mio fratello come
dei suoi successi. Ben lungi dall’essere infelice in quella scuola, ero piena
dell’eccitazione e dei piaceri della scoperta. I bellissimi giardini si
estendevano su due colline, allora come oggi. Terrazze, fontane, stagni, alberi
e fiori: era un luogo da visitare, e durante i fine settimana c’era gente che
si muoveva in macchina da Salisbury per venire ad ammirarlo. Rimasi nella
scuola di Rumbavu Park per un trimestre. Anni luce. Un’eternità. Quando
ricostruii i segmenti temporali di quei due anni, fui costretta ad ammettere
che si era trattato solo di un trimestre. Sembrava impossibile, ma era andata
così. Se solo avessi potuto rimanere là, ma i Peach erano falliti, una vera
sfortuna non soltanto per loro, ma anche per i bambini che frequentavano la
scuola. |