I
figli della mezzanotte Salman
Rushdie La prima mutilazione di Saleem Sinai, rapidamente
seguita dalla seconda, avvenne un mercoledì all’inizio del 1958 – il mercoledì
dell’attesissima Festa, organizzata sotto gli auspici della Anglo-Scottish
Education Society. Avvenne, cioè, a scuola. L’aggressore di Saleem: bello,
frenetico, con baffi incolti da barbaro: vi presento la saltellante figura
strappacapelli del signor Emil Zagallo, che ci insegnava geografia e ginnastica
e che, quel mattino, accelerò senza accorgersene la crisi della mia vita. Zagallo
sosteneva di essere peruviano e ci chiamava indiani-della-giungla e
fanatici-delle-perline; teneva appesa sopra la lavagna una stampa raffigurante
un severo e sudante soldato con un elmetto a punta e calzoni metallici e nei
momenti di tensione aveva l’abitudine di trafiggerla con un dito gridando: «Lo
vedete, selvaggi? Quest’uomo è la civiltà! Trattatelo con rispetto; porta la
spada!». E faceva vibrare la bacchetta nell’aria cinta di pietra. Noi lo
chiamavamo Pagal-Zagal, matto Zagallo, perché nonostante tutti i suoi discorsi
sui lama, sui conquistadores, e sull’Oceano Pacifico, sapevamo, con la certezza
assoluta delle dicerie, che era nato in un casamento di Mazagaon e che sua
madre, una donna di Goa, era stata piantata da uno spedizioniere marittimo; di
conseguenza non era soltanto un “anglo”, ma probabilmente anche un bastardo. Sapendo questo, sapevamo anche perché Zagallo sfoggiava il suo accento latino,
e perché era sempre furioso, perché batteva i pugni contro le pareti di pietra
dell’aula; ma saperlo non ci impediva di aver paura. E quel mercoledì mattina,
sapevamo che si annunciavano guai, perché era stata disdetta la visita
facoltativa alla cattedrale. Le due ore del mercoledì mattina erano occupate
dalle lezioni di geografia di Zagallo; ma le seguivano soltanto i deficienti e
i figli di genitori bigotti, perché erano anche le ore in cui volendo potevamo
andarcene in gruppo alla cattedrale di San Tommaso in formazione tipo
coccodrillo, una lunga fila di ragazzi di ogni confessione religiosa immaginabile,
che sfuggivano alla scuola per buttarsi in seno al Dio rispettosamente
facoltativo dei cristiani. Questo mandava Zagallo su tutte le furie, ma non
poteva farci niente; quel giorno, però, c’era un cupo bagliore nei suoi occhi,
perché l’Imbroglione (vale a dire il signor Crusoe, il preside) aveva
annunciato all’assemblea del mattino che la cattedrale era stata soppressa. Con
voce piatta e stridula che usciva dal suo viso di rana anestetizzata, ci
condannò a due ore di geografia e a Pagal-Zagal, cogliendoci tutti di sorpresa,
perché non ci aspettavamo che anche a Dio fosse lecito fare le sue scelte.
Ci radunammo depressi nell’antro di Zagallo; e uno di quei poveri idioti che i genitori non autorizzavano mai a venire nella cattedrale mi sussurrò maligno all’orecchio: «Aspetta e vedrai: ve la farà vedere lui oggi a voialtri». E così avvenne, Padma. Seduti malinconici in aula: Ghiandoloso Keith Colaco, Ciccio Perce Fishwala, Jimmy Kapadia, quello con la borsa di studio e col padre taxista, Brillantina Sabarmati, Sonny Ibrahim, Ciro-il-Grande e io. E anche altri, ma non c’è tempo per loro, perché con gli occhi che si restringono per la gioia, il matto Zagallo ci sta richiamando all’ordine. «Geografia umana» annuncia Zagallo. «Che cos’è? Kapadia?» «Mi scusi signore non lo so signore.» Si alzano mani – cinque appartengono agli idioti cui è vietata la chiesa, la sesta inevitabilmente a Ciro-il-Grande. Ma oggi Zagallo è deciso a spargere sangue; i devoti dovranno soffrire. «Luridume della giungla» e dà uno schiaffo a Jimmy Kapadia; poi comincia a torcergli con indifferenza un orecchio. «Resta in classe qualche volta e lo saprai.» «Ahi ahi ahi sì signore mi scusi signore...» Sei mani si stanno agitando, ma l’orecchio di Jimmy rischia di staccarsi. Vince in me l’eroismo... «Signore la prego la smetta signore soffre di cuore signore!» È la verità; ma la verità è pericolosa, perché ora Zagallo se la prende con me. «Ah, un piccolo contestatore, eh?» E mi trascina tirandomi per i capelli davanti ai miei compagni. Sotto i loro sguardi di sollievo – grazie a Dio tocca a lui non a noi – mi contorco dolorosamente sotto le ciocche imprigionate. «E allora rispondi tu alla mia domanda. Sai cos’è la geografia umana?» Il male mi riempie la testa, annullando qualsiasi tentazione di imbroglio telepatico: «Ahi, signore no signore Ahi!». ... E adesso è possibile veder calare su Zagallo l’idea di uno scherzo, un’idea che gli tende la faccia in un simulacro di sorriso; è possibile notare una mano che guizza in avanti, pollice e indice tesi; osservare come pollice e indice si stringono intorno alla punta del mio naso e lo tirano in giù... e dove va il naso, la testa deve seguirlo, e alla fine il naso, la testa deve seguirlo, e alla fine il naso penzola in basso e i miei occhi sono costretti a fissare umidi i sandali di Zagallo con i loro piedi sporchi mentre Zagallo scatena la sua ironia. «Guardate, ragazzi – che cosa vedete qui? Osservate, vi prego, il viso repellente di questa creatura primitiva. Che cosa vi ricorda?» E le risposte zelanti: «Signore il diavolo signore». «Prego signore un mio cugino!» «No signore un ortaggio signore non so quale.» Finché Zagallo, urlando al disopra del tumulto: «Silenzio! Figli di babbuini! Questo oggetto che qui vedete» – uno strattone al mio naso – «questo è geografia umana!». «Come signore dove signore cosa signore?» Ora Zagallo ride. «Non lo vedete?» sghignazza. «Non vedete nella faccia di questo brutto scimmione l’intera carta dell’India?» «Sì signore no signore ci faccia vedere signore!» «Vedete qui – la penisola del Deccan che penzola!» Di nuovo ahi il naso. «Signore signore, se questa è la carta dell’India cosa sono le macchie signore?» È Ghiandoloso Keith Colaco che si fa coraggio. Risatine, sorrisetti dei miei compagni. E Zagallo, rispondendo subito alla domanda: «Queste macchie,» grida «sono il Pakistan! Questi nei sull’orecchio destro sono la zona orientale; questa guancia sinistra orrendamente chiazzata è l’occidentale! Ricordatevelo bene, stupidi ragazzi! Il Pakistan è una macchia sulla faccia dell’India!». «Ah-ah,» ride la classe «una trovata davvero favolosa, signore!» Ma ora il mio naso ne ha abbastanza; organizzando una propria spontanea rivolta contro il pollice e l’indice, fa partire una sua arma... una grande bolla di moccio luccicante emerge dalla narice sinistra, e cade sul palmo del signor Zagallo. Ciccio Perce Fishwala strilla: «Guardi quello, signore! Il gocciolio del suo naso, signore! Che sia Ceylon?». Col palmo imbrattato di moccio, Zagallo perde il suo buonumore. «Animale,» m’insulta «hai visto cosa hai fatto?» La mano di Zagallo abbandona il mio naso; torna ai capelli. I rifiuti nasali vengono asciugati sulle mie ciocche ordinatamente separate dalla riga. E, ancora una volta, i miei capelli vengono afferrati; ancora una volta la mano tira... ma in su adesso, e la mia testa viene alzata di scatto, i miei piedi si rizzano sulle punte, e Zagallo: «Che cosa sei tu? Dimmi che cosa sei!». «Signore un animale signore!» La mano tira ancor più forte. «Ancora!» Reggendomi ora sulle unghie dei piedi, strillo: «Ahi signore un animale un animale la prego signore ahi!». E sempre più forte e sempre più in alto... «Ancora una volta!» Ma all’improvviso smette; i miei piedi sono di nuovo appiattiti al suolo, e la classe è piombata in un silenzio mortale. «Signore!» sta dicendo Sonny Ibrahim «gli ha strappato i capelli, signore!» E di nuovo la cacofonia: «Guardi signore, sangue!». «Sta sanguinando signore!» «Per favore signore posso portarlo in infermeria?» Il signor Zagallo era immobile come una statua, con un ciuffo di capelli nel pugno. Mentre io – troppo traumatizzato per sentire il dolore – mi toccavo la chiazza sulla testa, dove Zagallo aveva creato una tonsura da frate, un cerchio in cui non sarebbero mai più cresciuti i capelli, e mi rendevo conto come la maledizione della mia nascita, che mi collegava alla mia patria, avesse trovato un’altra e più inattesa manifestazione. Due giorni dopo, Imbroglione Crusoe annunciò che, disgraziatamente, il signor Emil Zagallo doveva lasciare la scuola per ragioni personali; ma io sapevo quali erano i veri motivi. I miei capelli sradicati erano rimasti appiccicati alle sue mani, come macchie di sangue che niente può lavare, e chi lo vuole un insegnante con capelli sui palmi? |