Memorie di un rivoluzionario Pëtr Alekseevic Kropotkin
Immaginatevi
un uomo piccolo e magrissimo, dagli occhi neri penetranti e furtivi, con i
baffi tagliati corti che gli davano un'impressione felina, molto calmo e
deciso; di un'intelligenza media, ma straordinariamente furbo; un despota in
fondo, capace di odiare di un odio intenso il ragazzo che non subiva il suo
ascendente e di far sentire quell'odio non per mezzo di persecuzioni stupide,
ma incessantemente, in ogni suo atto, per mezzo di una parola detta a caso, di
un gesto, di un sorriso, di un'esclamazione. Non camminava, strisciava, e il
contrasto dell'immobilità del suo capo con il suo sguardo mobilissimo e indagatore
completava quell'impressione. Un'espressione di fredda indifferenza era
stampata sulle sue labbra anche quando voleva aver l'aria benevola, e questa
espressione diventava ancor più crudele quando la sua bocca si contraeva in un
sorriso di disprezzo o di disapprovazione. Con tutto questo non aveva l'aria
dittatoria, faceva piuttosto pensare a prima vista a un padre benevolo che
discorre con i suoi ragazzi come se fossero già grandi. Il
colonnello era al corrente di tutto ciò. Aveva organizzato un sistema di
spionaggio perfetto e nulla gli sfuggiva. Ma tutto andava bene finché non si
scopriva che egli sapeva. Il suo sistema di disciplina era fondato
sull'ignorare ciò che faceva la prima classe. Ma
uno spirito nuovo aleggiava sulla scuola e solo pochi mesi prima del mio arrivo
era avvenuta una rivoluzione. Quell'anno la terza classe era diversa da quello
che era stata fino allora. Vi erano molti giovani che avevano studiato e letto
parecchio: alcuni di essi diventarono poi uomini notevoli. Feci conoscenza con
uno di loro che leggeva allora La critica
della Ragion Pura di Kant. Vi erano poi fra di essi alcuni dei giovani più
robusti della scuola. Il ragazzo più alto del Corpo era in quella classe e
anche un giovane fortissimo, Koštov. Gli
allievi di questa terza classe non subirono il giogo dei pages de chambre della prima con la docilità dei loro predecessori;
erano disgustati di quello che succedeva e, in seguito a un incidente che
preferisco non raccontare, ebbe luogo una battaglia fra la terza e la prima
classe e ne risultò una solenne bastonatura inflitta ai pages de chambre dai loro sottoposti. Girardot soffocò la faccenda,
ma l'ascendente della prima classe era svanito. Le fruste di caucciù rimasero,
ma non furono più adoperate. I circhi e altre cose simili appartennero al
passato. Fu
tanto di guadagnato; ma l'ultima classe, la quinta, composta quasi tutta da
ragazzi entrati da poco nella scuola, doveva ancora obbedienza ai capricci dei
paggi della prima. Avevamo un bellissimo giardino, pieno di alberi secolari, ma
i ragazzi della quinta lo godevano ben poco; erano obbligati a correre a far
commissioni mentre i giovani della prima stavano seduti a chiacchierare, o
dovevano riportare le palle quando questi signori giocavano. Due giorni dopo il
mio arrivo alla scuola, visto come stavano le cose in giardino, non vi andai,
ma rimasi in casa. Stavo leggendo, quando un page de chambre dai capelli rossi e la faccia coperta di lentiggini
mi venne incontro e mi ordinò di scendere immediatamente in giardino per
partecipare al gioco. "Non vengo; non vedete che sto leggendo?"
gli risposi. Il
suo viso antipatico si sfigurò per l'ira. Stava per scagliarsi contro di me: mi
misi sulla difensiva. Si provò a colpirmi in faccia con il berretto, io mi
schermii, allora buttò il berretto in terra. "Raccattalo." "Se lo raccatti lei." Una
simile mancanza di obbedienza era sconosciuta nella scuola. Non so perché non
mi picchiò spietatamente lì per lì. Era molto più grande e più robusto di me. L'indomani
e i giorni seguenti ricevetti altri ordini simili, ma rimasi ostinatamente di
sopra. Cominciarono allora una serie di meschine e seccantissime persecuzioni -
sufficienti a far disperare qualunque ragazzo. Fortunatamente sono sempre stato
di un temperamento gioviale e rispondevo scherzando o fingevo di non
accorgermene. Ma
anche questo presto finì. Incominciò a piovere, e passavamo quasi tutto il
giorno in casa. In giardino quelli della prima classe fumavano liberamente, ma
quando si stava dentro, la sala da fumare era "la torre." Questa era
tenuta pulitissima e vi era sempre il fuoco acceso. Gli "anziani"
punivano severamente il ragazzo che trovavano per caso a fumare, ma essi
stavano continuamente seduti intorno alla stufa a chiacchierare e a godersi le
sigarette. L'ora preferita era per loro dopo le dieci di sera, quando avrebbero
dovuto essere già a letto; prolungavano la serata fino alle undici e mezzo e
per proteggersi da una sorpresa da parte di Girardot ci costringevano a montare
la guardia. I ragazzi della quinta dovevano alzarsi a turno dal letto, due alla
volta, a restare sulle scale fino alle undici e mezzo per dare l'allarme se si
avvicinava il co- lonnello. Ci
si mise d'accordo per mettere fine a queste veglie notturne. Le discussioni furono
lunghe e ci si consigliò con le classi superiori sul da farsi. Finalmente si
arrivò a questa decisione: "Rifiutatevi concordemente di montare la
guardia e quando cominceranno a battervi, come è certo che faranno, andate per
quanto possibile tutti insieme e chiamate Girardot. Egli sa già tutto, ma
allora sarà obbligato a intervenire." Gli esperti in questioni d'onore
decisero che questo non poteva essere qualificato spionaggio: gli
"anziani" non si comportavano verso gli altri come dei compagni.
Quella sera doveva montare la guardia il principe Šahovskoj, un vecchio
allievo, e Selanov, un nuovo venuto, ragazzo timidissimo dalla voce femminile.
Šahovskoj fu comandato per il primo, ma rifiutò di andare e fu lasciato in
pace. Allora due pages de chambre andarono
dal timido nuovo venuto che era a letto; e siccome si rifiutò di obbedire, cominciarono a fustigarlo brutalmente con le pesanti cinghie di
cuoio. Šahovskoj svegliò diversi compagni che si trovavano vicini e tutti
assieme corsero da Girardot. Anch'io
ero a letto quando due mi si avvicinarono e mi ordinarono di montare la
guardia. Mi rifiutai. Subito afferrarono due paia di bretelle - invariabilmente
si posavano gli abiti in perfetto ordine su di una panca accanto al letto, le
bretelle sopra e la cravatta attraverso - e cominciarono a fustigarmi. Seduto
sul letto, mi coprivo con le mani e
avevo già ricevuto diversi colpi, quando si udì l'ordine: "La prima classe
dal colonnello!" I feroci combattimenti si ammansirono improvvisamente e
frettolosamente rimisero a posto i miei abiti. "Non una parola!" mi sussurrarono. "Mettete
la cravatta al suo posto!" gridai loro, mentre le spalle e le braccia mi
bruciavano per i colpi ricevuti. Durante il primo inverno passai molto tempo in infermeria. Dopo un attacco di tifo, durante il quale il direttore e il dottore ebbero per me cure veramente paterne, soffrii di attacchi di gastrite gravi e prolungati. Girardot, facendo il suo giro quotidiano nell'infermeria e vedendomi spesso, incominciò a dire tutte le mattine ironicamente, in francese: "Ecco un giovanotto sano come il Ponte Nuovo e che non vuol lasciare l'ospedale." Risposi un paio di volte scherzando, ma infine, accorgendomi della sua malignità, persi la pazienza e mi adirai davvero. "Come osate parlarmi così'?" esclamai, e aggiunsi: "Pregherò il dottore di proibirvi l'ingresso in questa camera'." Girardot indietreggiò di un passo e i suoi occhi scuri scintillarono, le sue labbra sottili si strinsero più del solito. Finalmente disse: "Dunque vi ho offeso? Ebbene, abbiamo nell'atrio due pezzi d'artiglieria: volete battervi in duello?" "Io non scherzo, e vi dico che non tollero le vostre insinuazioni," continuai. Non ripeté più il suo sciocco ritornello, ma mi prese in odio più che mai. Fortunatamente per me non davo occasioni per castigarmi. Non fumavo, i miei abiti erano sempre in buono stato e abbottonati e messi bene in ordine la notte. Mi divertivo a qualsiasi gioco, ma ero tanto occupato nella lettura e nella corrispondenza con mio fratello che trovavo appena il tempo per fare una partita a lapta nel giardino, e avevo sempre premura di ritornare ai miei libri. Quando ero colto in fallo, però, non ero io che Girardot puniva, ma l'anziano dal quale dipendevo. Una volta, per esempio, feci a pranzo nientemeno che una scoperta di fisica! Osservai che il suono fatto da un bicchiere dipende dalla quantità di acqua che contiene e cercai subito di ottenere un accordo con quattro bicchieri. Ma dietro di me stava Girardot, e senza una parola mise agli arresti il mio "anziano." Fortuna volle che fosse un ottimo ragazzo, un mio terzo cugino, che non volle sentire le mie scuse, dicendo: "Va bene, so che non ti può vedere." Però i suoi compagni incominciarono a farsi sentire: "Stai attento briccone! Non intendiamo farci castigare per colpa tua!" E se la lettura non fosse stata la mia costante occupazione mi avrebbero probabilmente fatto pagar caro il mio esperimento di fisica. Ma l'influenza del colonnello declinava rapidamente. Il carattere della scuola stava subendo un cambiamento radicale. Durante vent'anni Girardot aveva realizzato il suo ideale che consisteva nell'avere i ragazzi ben pettinati arricciati e di aspetto effeminato, e nel mandare alla Corte come i cortigiani di Luigi Nel
Corpo dei Paggi, come in tutte le altre scuole, andava prevalendo un nuovo
spirito, di serietà e di studio. Un tempo i paggi certi di ottenere, con un
mezzo o con l'altro, i punti necessari per essere nominati ufficiali nel
reggimento della Guardia, passavano i primi anni alla scuola senza imparare
quasi niente, e incominciavano a studiare un poco solo nelle ultime due classi;
ora anche nelle classi inferiori si studiava con serietà. Anche moralmente il
tono era ben diverso da quello di qualche anno prima. (...)
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