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Lunario dei giorni di scuola


Trentaquattresima settimana

immlunarioterza


La casa tra gli alberi

Renate Welsh 

Piemme


(...) Sulla strada che portava in paese le lucide scarpe nere si coprirono di polvere. Peter trotterellava accanto a Eva. Si dava continui strattoni alla cravatta. Gerte gliel'aveva annodata troppo stretta. Davanti alla scuola c'erano ragazzi grandi e piccoli, tutti con la loro lavagnetta. A ognuna era appeso un cancellino, che ballonzolava a ogni movimento. In mezzo ai ragazzi ben messi ce n'erano alcuni tutti sudici che correvano, si urtavano e si davano spintoni.
- Di nuovo quelli del Pian dell'Oca - disse una ragazza arricciando il naso.
Il maestro uscì dalla scuola: era vecchio, un uomo alto dai capelli grigi e vestito di grigio. A Eva sembrò che avesse grigia anche la faccia. Batté le mani. - Mettetevi in fila per due! Entrate in aula lentamente in silenzio!
Aveva una voce rauca, ma molto forte.Sotto il suo sguardo severo abbassarono la testa persino i ragazzi più turbolenti. - Cos'è questo strascicare i piedi?- esclamò. - I ragazzi tedeschi camminano ben diritti. E anche le ragazze.
Mentre entravano, squadrò ogni ragazzo da capo a piedi.
- Terzo banco dalla parte della finestra - disse a Eva, - e quarto banco dalla parte della porta - a Peter.
Non osarono chiedere di potersi mettere l'uno vicino all'altra. Nelle prime due file di banchi il maestro aveva sistemato quelli del Pian dell'Oca, a sinistra le ragazze, a destra i ragazzi, piccoli e grandi alla rinfusa, poi venivano i più piccoli e in fondo c'erano quelli grandi di quattordici anni.
Il maestro restò fermo davanti alla porta dell'aula. I più grandi bisbigliarono: - In piedi!
Quando il maestro entrò nell'aula, alzarono il braccio e urlarono: - Heil Hitler!
In città la mamma aveva proibito a Eva di giocare con i bambini del secondo piano, perché i loro genitori erano nazisti. Lì in paese a ogni domanda sui nazisti avevano ricevuto in risposta lo stesso sguardo che riceveva a ogni domanda su papà.
C'era un mucchio di cose sulle quali non si poteva fare domande. Quasi tutte quelle che erano interessanti .
- Sarebbe bella - disse il maestro - se non riuscissimo a fare di voi autentici ragazzi e ragazze tedeschi, di cui il Führer possa essere orgoglioso.
Quelle parole suonarono come una minaccia. Improvvisamente Eva vide sul collo della ragazza seduta davanti a lei un animaletto scuro che correva e che le sparì tra i capelli. La ragazza si grattò. Dappertutto all'attaccatura dei capelli si notavano dei graffi. La compagna di banco di Eva alzò la mano, non inclinata in avanti con le dita unite e il pollice in fuori, ma diritta verso l'alto. Il maestro alzò il mento verso di lei.
- Signor maestro, quelli del Pian dell'Oca hanno i pidocchi. Ne ho visto uno adesso.
Lui annuì, come se non avesse aspettato altro. Fece venire quelli del Pian dell'Oca uno per uno accanto alla cattedra, prese un bastoncino dal cassetto e lo passò tra i capelli dei ragazzi, come se volesse far loro la scriminatura.
- Tutti pieni di lendini - disse disgustato.
- Ora riceverete una bottiglia di petrolio. Dite alle vostre mamme che stasera vi frizionino la testa col petrolio e poi ve la avvolgano stretta con un panno. Di panni ne avete? Domani resterete a casa. Dopodomani vi voglio vedere tutti con la testa lavata.
I ragazzi del Pian dell'Oca dissero : - Sì, signor maestro.
Non si vergognarono affatto. Uno di essi si volse e scrutò i compagni con aria di sfida. Il maestro fece sgombrare i banchi della terza fila. - Dobbiamo scavare una trincea tra coloro che sono sani e gli elementi infetti, un cordone sanitario, come dicono gli strateghi. - Rise. Era evidentemente una battuta che Eva non aveva capito. Quella risata la turbava, si sentì sollevata quando il maestro smise di ridere. Per il resto della mattinata dovette stringersi con gli altri ragazzi nei banchi in fondo all'aula. - Sento che quell'uomo non mi piacerà - disse tornando a casa. Peter annuì.
- A me non piace già adesso.

(...)Lo sguardo di Eva cadde sull'orologio che era in cucina. Le due! Alle due e mezzo iniziavano le lezioni pomeridiane, e per arrivare a scuola c'erano da percorrere quattro chilometri, tre quarti d'ora buoni, andando svelti.
Eva e Peter partirono di corsa, ma dopo pochi passi si resero conto che la pancia troppo piena impediva loro di correre.
Non potevano farcela, dovettero rassegnarsi all'idea di arrivare in ritardo.
- Mi sembra di avere uno zaino nella pancia - gemette Eva.
- Pensavo che fossero sei gnocchi, invece sono sei macigni - disse Peter .
Si trascinarono fino a scuola. Quando entrarono nell'aula, trenta paia di occhi si voltarono verso di loro, senza contare lo sguardo irato del maestro.
Quest'ultimo esigette una spiegazione. Ma siccome ai due ragazzi non venne in mente alcuna scusa, la spiegazione non fu data. Il maestro iniziò a parlare a bassa voce dello spirito di sacrificio delle nostre truppe vittoriose, e continuò sempre più forte, asserendo che i due ragazzi con la loro negligenza si dimostravano indegni di quel sacrificio. Infine afferrò la bacchetta e ordinò a Eva di sdraiarsi sul banco. Le sollevò la gonna. I colpi le facevano male, la pancia piena le faceva male, ma la cosa peggiore era che tutti potevano vederle le mutande. Proprio quel giorno indossava le mutande azzurre, quelle tutte consumate a furia di essere lavate, che sembravano sporche. La bacchetta sibilava nell'aria.
- Otto, nove, dieci - contò il maestro.
Poi fu la volta di Peter, i colpi schioccavano sui suoi calzoni di cuoio. Il maestro continuava a picchiare, la fronte imperlata di sudore. Tredici, quattordici, quindici. Ai ragazzi toccavano più colpi, o si era dimenticato di smettere?
- Gli faceva piacere - disse Eva mentre tornavano a casa. - Proprio un gran piacere.
Peter alzò le spalle.
- Per me fa proprio lo stesso.
- Per me no - disse Eva. Lui la guardò.
- Ma tu sei una ragazza. E poi con i calzoni di cuoio fa meno male. Fa solo un baccano.
Eva accelerò il passo, e quando Peter la chiamò si mise a correre.
- Adesso dà anche i numeri - pensò Peter ansimando. (...)

 




















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